La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
(Salmo 118, 22)
Ora pro nobis è il primo romanzo storico di Silvana De Mari. È una storia di guerra e d’amore, che ha inizio nella Grande Polonia di metà Seicento e finisce il 12 settembre 1683 davanti alle mura di Vienna, dove l’esercito cristiano – contro ogni logica e previsione, se non forse quella del Beato Marco d’Aviano – sconfisse l’esercito turco, salvando così l’intera Europa da un’invasione rovinosa.
Ci si potrebbe chiedere cosa abbia allontanato questa scrittrice dal genere fantasy, quello delle sue opere più famose, come L’ultimo elfo, L’ultimo orco e i romanzi del ciclo di Hania, la principessa guerriera ma, a ben vedere, la distanza tra questo e i suoi precedenti romanzi è solo apparente: in Ora pro nobis (anzi, proprio nella realtà storica in cui è ambientato) si trovano infatti tutti gli elementi cari al genere fantasy: regni antichi, eroi generosi, il nemico più sanguinario e un popolo indifeso da proteggere.
C’è però un ulteriore elemento comune tra Ora pro nobis e i romanzi fantasy di Silvana De Mari, amati da tanti ragazzi e adulti: il bambino salvato che diventerà salvatore.
Se il bene vince, se, ne L’ultimo orco, gli orchi saranno sconfitti e l’eterna guerra contro gli uomini fermata, se nell’ultimo libro di Hania, la principessa guerriera, il Male sarà fermato e l’armonia riportata nel mondo e se in Ora pro nobis i turchi non distruggeranno Vienna, il merito sarà sempre di un bambino salvato, di un bambino a cui è stato permesso di nascere, che qualcuno si è rifiutato di abortire. Non per amore, magari, ma perché era giusto. Perché non si uccidono gli innocenti. Mai.
Silvana De Mari crede in Dio e nella sacralità della vita e sa che è la pietra scartata quella che reggerà il mondo. Un filo rosso lega Rankstrail – il mezzo orco frutto di uno stupro durante una razzia -, Hania – la principessa guerriera concepita con la violenza dall’Oscuro Signore – e Andrzej, seme di tartaro piantato nel seno di una donna cristiana: questi bambini, cresciuti senza vedere l’amore negli occhi delle proprie madri, hanno avuto da loro almeno la possibilità di vivere, di diventare persone straordinarie e capaci di amare nonostante tutto.
Dio scrive dritto su righe storte. Dio fa condurre gli israeliti alla Terra Promessa da un improbabile figlio di schiavi balbuziente, bimbo destinato per legge alla morte. Dio salva il mondo tramite il Suo Figlio, neonato scampato a una strage di bambini innocenti. Da sempre Dio sconfigge le armate del principe di questo mondo servendosi delle creature più indifese, quelle che il mondo scarta, ma che qualche anima generosa, nel silenzio, protegge.
Così, anche nei romanzi di Silvana De Mari – fantasy o storici che siano – si rispetta questa legge della metafisica, legge del Dio che rende invincibili i deboli, che umilia i superbi e innalza gli umili, che ha proibito di uccidere e che ci ha donato nel Suo Figlio amatissimo l’emblema di quei bambini innocenti salvati dal massacro e poi capaci, a loro volta, di salvare tutti noi.
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