La denuncia nel rapporto pubblicato da Iran Human Rights (Ihr) ed Ensemble Contre la Peine de Mort. Nel 2022 impiccato il 75% di persone in più rispetto agli anni precedenti. Lo scopo è di “instillare paura e terrore” per fermare le manifestazioni pro Mahsa Amini. Fra i giustiziati aumentano i reati per droga e le minoranze, soprattutto curdi e beluci.
Teheran (AsiaNews) – Nel 2022 il governo iraniano ha impiccato il 75% in più di persone rispetto agli anni precedenti, continuando anche per i primi mesi dell’anno in corso ad armare il boia con lo scopo di “intimidire” la popolazione e arginare le proteste di piazza, sfruttando le condanne per reati di droga. È quanto denunciano oggi due ong pro-diritti umani, che definiscono la Repubblica islamica una “macchina da esecuzioni” il cui scopo ultimo è quello di “instillare la paura e il terrore” fra i propri abitanti. La maggior parte delle impiccagioni (288, pari al 49% del totale) sono per omicidio, il dato più alto degli ultimi 15 anni, ma vi è un ricorso esteso anche per reati legati al consumo e traffico di stupefacenti.
Nel rapporto pubblicato oggi dalla norvegese Iran Human Rights (Ihr) e dall’ong parigina Ensemble Contre la Peine de Mort (Ecpm) si parla di 582 esecuzioni compiute lo scorso anno (ma i numeri potrebbero essere maggiori), dato più elevato dal 2015 e ben oltre le 333 del 2021. Ad armare il boia e a spingere le autorità a ricorrere alla pena capitale è stata, in primo luogo, l’imponente ondata di protesta popolare in risposta all’uccisione della 22enne curda Mahsa Amini per mano della polizia della morale, perché non indossava correttamente l’hijab. Le manifestazioni contro il velo obbligatorio si sono trasformate in un movimento più ampio per la libertà e i diritti, il più importante e partecipato dalla rivoluzione del 1979, represso nel sangue dagli ayatollah.
Il direttore Ihr Mahmood Amiry Moghaddam sottolinea che se da un lato la reazione internazionale alle esecuzioni legate alla protesta popolare ha fermato il ricorso alla pena di morte per questa vicenda, dall’altro Teheran continua a giustiziare per altri reati, con lo scopo di intimidire la popolazione. “Le reazioni internazionali – sottolinea – alle condanne a morte contro i manifestanti hanno reso difficile per la Repubblica islamica procedere con le loro esecuzioni”. Per compensare, aggiunge, “e al fine di diffondere la paura, le autorità hanno intensificato le esecuzioni per reati non politici. Queste sono le cosiddette vittime a basso costo della macchina da esecuzione” che è l’Iran odierno.
Riguardo le proteste, il rapporto sottolinea che dopo le prime quattro esecuzioni di manifestanti Teheran ha congelato ulteriori impiccagioni degli oltre 100 condannati a morte e che, ancora oggi, rischiano di finire fra le mani del boia. Di contro, vi è un aumento costante di giustiziati per reati di droga dall’inizio delle rivolte nel settembre dello scorso anno, con altri movimenti fra cui Amnesty International che accusano l’Iran di “agghiacciante escalation nell’uso della pena di morte” in particolare contro curdi e beluci.
Un calo del numero di esecuzioni per droga – legato agli emendamenti del 2017 alla legge contro il narcotraffico – avevano determinato un crollo nel ricorso alla pena capitale fino al 2021. Di contro, oltre la metà dei giustiziati dopo l’inizio delle manifestazioni e il 44% delle 582 esecuzioni compiute lo scorso anno sono legate alla droga. Un dato superiore del doppio rispetto al 2021 e 10 volte maggiore al dato di esecuzioni per traffico o uso di stupefacenti nel 2020. Al contempo, i movimenti attivisti denunciano il mancato intervento dell’Ufficio Onu per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) e dei Paesi donatori contro questa “drammatica escalation”.
Lo studio mostra come i membri della minoranza beluci, principalmente musulmani sunniti, rappresentavano il 30% del totale delle esecuzioni in tutto il Paese, pur rappresentando solo il 2-6% della popolazione iraniana. Anche il numero di curdi e arabi giustiziati è stato sproporzionato, specialmente per i crimini contro la droga, se rapportato alla popolazione. “La pena di morte fa parte della discriminazione sistematica e della vasta repressione – conclude il rapporto – a cui sono sottoposte le minoranze etniche dell’Iran”.
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