Oltre mille morti chiedono giustizia

dhaka_savar_building_collapseBenetton risarcirà con due anni di ritardo le vittime del crollo del Rana Plaza in Bangladesh.

La mobilitazione internazionale ha avuto un ruolo chiave e Benetton risarcirà le vittime. A quasi due anni dallo spaventoso crollo del Rana Plaza, il palazzo di otto piani che alle porte di Dhaka, in Bangladesh, ospitava i laboratori tessili destinati a creare gli abiti di alcune delle più celebri firme della moda, anche il marchio italiano si è finalmente impegnato a versare un contributo ai familiari dei 1138 morti e degli oltre duemila feriti. Numeri apocalittici. Giovani e giovanissimi, donne per lo più, stipate all’inverosimile e obbligate a turni sfiancanti con paghe da fame per cucire gli abiti destinati al mercato globale. Rana Plaza ha portato per l’ennesima volta alla ribalta la terribile frattura fra nord e sud del mondo, fra lustrini e paillettes ostentati e chi rende possibile questo regno dell’effimero pagandolo sulla propria pelle. Turni di 12 ore, sette giorni su sette, una paga di circa 40 dollari al mese( 260 dollari al mese è la soglia minima di sopravvivenza in Bangladesh secondo le stime dell’Asian Floor Wage).

Sono oltre 150 le aziende della moda che utilizzavano i lavoratori a basso costo del Rana Plaza, e Benetton era fra le pochissime a non aver ancora contribuito al fondo per le vittime creato dall’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia delle Nazioni Unite. Contro l’atteggiamento del marchio veneto si è scatenata una battaglia internazionale che è diventata presto virale raggiungendo il fantastico risultato di oltre un milione di firme raccolte. Benetton in un primo momento, nel maggio del 2013, aveva sottoscritto l’accordo di risarcimento, salvo poi disattenderlo completamente. Ora la notizia, data direttamente dal sito della società, di «star lavorando per la definizione della nostra parte, giusta ed equa, di risarcimento al fondo fiduciario Rana Plaza».

Manca poco più di una settimana all’avvio della settimana della moda di Milano, e la petizione on line minacciava azioni clamorose in quei giorni in cui i giornalisti di tutto il mondo si ritrovano per visionare le nuove collezioni. Il rischio di una figuraccia globale era enorme. Più della pietas poté la paura dell’onta quindi. A quanto ammonti questa parte giusta ed equa non è dato saperlo. La Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign che opera per il miglioramento delle condizioni di lavoro e il rafforzamento dei lavoratori nell’industria tessile globale ha stimato in circa cinque milioni di euro la cifra che Benetton dovrebbe versare. Difficile pensare ad un simile impegno. Entro aprile, quando saranno trascorsi due anni dal crollo, sapremo.

Claudio Geymonat

Tratto da: http://riforma.it/it/

Foto “Dhaka Savar Building Collapse” by rijansFlickr: Dhaka Savar Building Collapse. Licensed under CC BY-SA 2.0 via Wikimedia Commons.


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