Lascia perplessi l’informazione dei media sul caso del dirigente scolastico di Palermo.
Ha suscitato scalpore la circolare con cui il professor Nicolò La Rocca, dirigente scolastico della Direzione didattica statale «Ragusa Moleti» di Palermo, il 23 novembre ha «vietato» ai docenti di far recitare alle bambine e ai bambini preghiere all’inizio delle lezioni e cantare «canzoncine beneauguranti» prima dei pasti, rimuovendo finanche la statua della Madonna e le foto dei papi presenti nelle aule e nel suo ufficio, evidentemente ormai parte dell’arredo scolastico. La circolare riguarda plessi in cui, sia nella scuola dell’infanzia sia nella primaria, l’essere una «scuola statale» di uno Stato laico è evidentemente un ricordo ormai cancellato dalla memoria, se mai se ne avesse avuta la percezione.
Quel che si legge sui media in merito a questo fatto non rende certo onore al dirigente che applica la normativa vigente, bensì sposta l’attenzione sull’uso e consuetudine con cui in molte scuole si riscontrano atti di culto e altarini votivi dedicati al culto mariano, all’effigie dei papi, viventi e non, oppure al santo in voga. Si arriva a definire «circolare shock» una comunicazione in cui si ricorda quanto già ben descritto nel parere reso dall’Avvocatura dello Stato nel gennaio del 2009 sugli atti di culto nei locali scolastici, possibili solo in orario extrascolastico e su base volontaria, senza alcun obbligo né per l’istituzione scolastica né per ogni singola persona che la frequenti a vario titolo (alunni, docenti, personale amministrativo e ausiliario o genitori).
Sempre nel medesimo parere l’Avvocatura richiama anche sentenze della Corte Costituzionale in cui si chiarisce che «in nessun caso il compimento di atti appartenenti alla sfera della religione possa essere l’oggetto di prescrizione obbligatoria», dando così una lettura della libertà religiosa «in positivo», quale manifestazione di una libertà che non può essere oggetto di obblighi «in regime di pluralismo confessionale e culturale».
Eppure quello di Palermo è solo uno dei casi che, dall’inizio del corrente anno scolastico, si sono verificati in spregio del principio supremo della laicità dello Stato. Sempre rimanendo nell’ambito delle preghiere, nello scorso mese di ottobre una docente della Facoltà di Lingue dell’Università di Macerata ha interrotto la lezione per far recitare a studentesse e studenti l’Ave Maria. Immediate le rimostranze degli allievi presenti, con tanto di denuncia al Rettore, Francesco Adornato, che ha subito preso posizione definendo «improprio e censurabile» il comportamento della docente, e chiedendo scusa a nome dell’ateneo: «L’Università non è luogo di gesti divisivi, né, tantomeno, di imposizione e se ciò è avvenuto nel nostro ateneo non può essere accettato».
In simili contesti ben si comprende come l’insegnante di religione (confessione) cattolica sia visto quale docente che si fa carico dei percorsi religiosi tout court in ambito scolastico, poiché figura portatrice di cultura e valori «universali». Prova ne è il fatto che, oggi, questa figura docente entra in contatto con tutta la popolazione scolastica, tenendo lezioni a tutta la classe durante l’orario provvisorio, potendo accedere alle supplenze brevi ed essendo, spesso, referente per svariate tipologie di progetti.
Per correttezza dobbiamo anche ammettere che nel caso dei concorsi promossi dalla Sezione Bibbia e Scuola dell’Associazione laica di cultura biblica «Biblia», con cui collabora anche il Servizio Istruzione Educazione della Fcei, quasi il 90% dei docenti referenti sono gli insegnanti di Irc, fatto prevedibile poiché certamente i più competenti in materia.
Una discussione su come e dove vogliamo, o possiamo, collocarci come evangelici nel contesto del sistema dell’istruzione sarebbe utile per fare chiarezza in questo panorama davvero poco rispettoso della laicità.