Ne avevamo già parlato, e purtroppo siamo ancora qui… Ricordate l’insegnante irlandese costretto a 400 giorni di detenzione in carcere per essersi opposto all’utilizzo dei pronomi gender nella sua classe? Ebbene, lo scorso lunedì 2 settembre è stato nuovamente condannato alla reclusione dal tribunale di Dublino dopo essersi rifiutato di rispettare un’ordinanza che gli vietava di avvicinarsi alla Wilson’s Hospital School, la scuola dove insegnava.
Per lo stesso motivo era già stato incarcerato nel settembre 2022, dopo essere stato sospeso dal consiglio scolastico dell’istituto nel maggio dello stesso anno per essersi rifiutato di usare il nuovo nome di uno studente che si era dichiarato trans e che pretendeva anche l’utilizzo del pronome “loro”, non identificandosi in un genere preciso. È stato poi rilasciato dopo tre mesi e nuovamente incarcerato con l’accusa di oltraggio alla corte nel settembre 2023.
Dopo il rilascio lo scorso giugno, corrispondente all’inizio delle vacanze estive, nel recente periodo di ripresa delle lezioni, il professore Enoch Burke ha continuato a presentarsi a scuola e, intervistato da Sky News, ha dichiarato di essere ancora pagato dall’istituto e che si era recato lì per svolgere il suo dovere di insegnante. Alla domanda del giornalista sul perché non volesse rispettare l’identità transgender dello studente ha semplicemente risposto: «Io insegno a tutti gli studenti che sono nella mia classe, senza fare distinzioni. Ma quando mi impongono di fare qualcosa che va contro le mie convinzioni religiose obbligandomi a sostituire una nuova ideologia con i valori della mia fede, sulla base dei quali esistono solo due generi, allora si stanno violando i miei diritti».
Dopo queste dichiarazioni la scuola si è nuovamente rivolta all’Alta Corte di Dublino, dove lunedì si è svolta l’udienza che si è conclusa con la nuova – ed ennesima – condanna alla reclusione di Enoch Burke, che ha dichiarato: «Detesto la prigione, è un posto orribile dove perdi la tua libertà. Sei costretto a passare 18 ore al giorno chiuso in una stanza».
Intanto, il caso ha assunto un rilievo internazionale, e l’insegnante irlandese è diventato un simbolo dell’attuale battaglia tra l’ideologia progressista cosiddetta “woke” e la difesa dei valori tradizionali. Le opinioni nel Paese sono divise: chi sostiene l’effettiva lesione dei diritti costituzionalmente garantiti del professore, in particolare del suo diritto alla libertà religiosa, e chi al contrario considera il suo comportamento inaccettabile, sia a scuola sia in tribunale.
Il caso, inoltre, rischia di diventare un pericoloso precedente, non solo in Irlanda ma in tutta la nostra società occidentale, poiché in nome dell’ideologia si legittimano queste gravissime lesioni alla libertà personale. In Italia siamo riusciti a schivare il tentativo del Parlamento di approvare la proposta di Legge Zan, che avrebbe avuto effetti disastrosi come quelli che stiamo vedendo verificarsi in Irlanda e in altri Paesi, come gli Stati Uniti, dove la dittatura del pensiero unico si è affermata da tempo anche sul piano legislativo. Pensiamo, ad esempio, alla legge irlandese che vieta di pregare, anche silenziosamente, vicino alle cliniche per gli aborti, pena sempre la detenzione in carcere.
Qualcuno considera Burke un martire della causa, lui non si è mai considerato tale, ma sicuramente è una persona con un grande coraggio e un’immensa forza di volontà, oltre che una profonda fede. Una persona che è disposta a rischiare la prigione, la gogna pubblica e il divieto di continuare a svolgere il mestiere che ama, pur di continuare ad affermare la verità. Una grande ispirazione per ognuno di noi.
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