Come noto, la legge 194 ha legalizzato nel 1978 l’interruzione volontaria di gravidanza nel nostro paese, rendendola libera nei primi 90 giorni e limitandola in misura piuttosto generica e generosa per il periodo successivo.
Una generosità accresciuta dal clima di lassismo introdotto dalla legge stessa. Ora, di fronte al fenomeno dell’aborto si può giuridicamente assumere solo due posizioni: a ) Favorevole alla legalizzazione, ritenendo la prevalenza del diritto di scelta della donna, alla quale attribuire il diritto di Vita e di morte sul proprio figlio; b ) Contraria alla legalizzazione, sostenendo la centralità del diritto alla Vita del nascituro.
Non esiste una terza via, proprio perché parliamo della Vita degli individui, una persona o la si salva o la si sopprime. E che il concepito sia una persona lo si può desumere da una semplice considerazione: ciascuno di noi esiste naturalisticamente in presenza di due condizioni, il concepimento e l’assenza di eventi letali durante la gravidanza.
Orbene, l’evento letale casisticamente più ricorrente è l’aborto volontario, che si traduce dunque nella soppressione di un individuo. Del resto, è la scienza che ci conferma che un uomo non può svilupparsi da una cosa o da un animale, quindi il concepito è esso stesso individuo.
L’unico punto d’incontro tra le due situazioni opposte è rappresentato dall’ipotesi che la gravidanza o il parto ponga in grave pericolo la Vita della potenziale madre. In questa fattispecie la prevalenza della Vita del concepito è giuridicamente impraticabile nel nostro ordinamento, fatti salvi gli atti di eroismo delle dirette interessate. Atti di eroismo, del resto, che, in quanto tali, non possono essere frutto di un’imposizione.
Anzitutto, la donna godeva in questo caso già prima del 1978 dell’applicazione della scriminante generale di cui all’art. 54 c.p., secondo cui un fatto previsto di per sé come reato è giustificabile in presenza dalla necessità di salvare se stessi o altri dal pericolo involontario, non altrimenti evitabile e attuale di danno grave alla persona, sempreché il fatto sia proporzionato al pericolo.
In secondo luogo, una legge che obbligasse la donna a morire per far nascere il proprio figlio sarebbe, come ovvio, incostituzionale almeno per contrasto con il diritto alla salute, garantito dall’art. 32 della carta, come ribadito dalla Corte Costituzionale, diritto che viene considerato da quest’ultima solo con riferimento alla donna e non al concepito.
In caso contrario la 194 sarebbe già stata dichiarata incostituzionale in questi 37 anni . Salva questa ipotesi limite e salva la ovvia e consueta proposizione tecnica di quesiti in via meramente subordinata alla mancata ammissibilità secondo la Consulta del quesito abrogativo totale, ogni soluzione di compromesso deve considerarsi fuori luogo, frutto di un macchiavellismo praticato sulla pelle del nostro prossimo, in ogni caso va ritenuta incompatibile con il concetto stesso di antiabortismo, al pari di ogni posizione che prescinda dalla legge o che si limiti a una sterile critica della stessa.
Non a caso l’antiabortista viene definito, secondo dizionario, come colui che è contrario alla legalizzazione dell’aborto. Di qui l’ineludibile identità antiabortista=abrogazionista.
Ciò premesso, occorre concludere che l’unica via in concreto per abrogare la 194 in Italia è quella referendaria, se è vero che l’altra via astrattamente possibile, quella esercitabile tramite il potere legislativo, è preclusa da oltre 34 anni di assoluta inattività della classe parlamentare, che ha dimostrato una particolare sensibilità verso gli interessi di comodo degli elettori, dal cui consenso essa dipende, e nessuna sensibilità verso gli interessi vitali dei concepiti, che elettori non sono.
Una via, quella referendaria, già praticata con esito negativo nel 1981, in un’epoca ben diversa dall’attuale, dominata dallo strapotere dei partiti, oggi quasi unanimemente osteggiati, sulle coscienze dei singoli, libera ora da rigidi steccati culturali.
Di qui la nostra iniziativa neo-referendaria, che si è tradotta nella costituzione del comitato NO194 (il quale, grazie all’apporto di molti, vanta a oggi oltre 25.000 iscritti, con 80 referenti provinciali) e dell’omonima associazione a sostegno, organizzazioni che ho fondato.
A sostegno della stessa organizziamo eventi come i cortei di aprile e ottobre a Milano e Caserta (la prossima edizione, il 10-10), le 9 ore nazionale di preghiera per la Vita, che si svolge a giugno e dicembre a Bologna, e la sua versione regionale, che si tiene ogni primo sabato dei mesi dispari dalle ore 9 alle 18 all’esterno di ospedali che praticano aborti, indicati in dettaglio sul nostro sito www.no194.org.
Ma il nostro fine è unico ed il nostro operato è strettamente legato alle procedure referendarie. A tal ultimo proposito, vorremmo iniziare la raccolta ufficiale delle firme, trimestrale per legge, nel periodo marzo-maggio dell’anno successivo a quello in cui entrerà in vigore la riforma dell’istituto referendario.
Ringraziandovi per l’attenzione, invito, quindi, tutti ad aderire tramite il sito www.no194.org per essere partecipi di questa grande, dura ma concreta battaglia di civiltà a tutela della Vita dei più deboli.
Avv. Pietro Guerini – Presidente nazionale del comitato NO194 e dell’omonima associazione
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