Smentendo le ottimistiche previsioni, in Nuova Caledonia i focolai di ribellione non sono ancora del tutto spenti.
Il 15 agosto si è registrata l’11° vittima (di quelle ufficiali almeno, due sono poliziotti), colpita alla testa dal tiro di un gendarme nel corso dell’ennesimo scontro tra manifestanti (una ventina) e forze di polizia durante un’operazione di sgombero stradale per spostare una barricata.
Un altro manifestante risulta gravemente ferito al collo. Stando alla versione ufficiale, tutto sarebbe cominciato con un lancio di pietre da parte degli indipendentisti (si parla anche di qualche molotov e forse di colpi di arma da fuoco) che avevano ferito al volto un agente. La persona rimasta uccisa sarebbe un abitante di Thio di 43 anni.
Già due giorni prima un centinaio di manifestanti indipendentisti (chiamati a raccolta dalle CCAT) avevano commemorato l’inizio della rivolta contro la riforma del corpo elettorale definita “colonialista” (momentaneamente sospesa, ma evidente questo non li ha rassicurati più di tanto). E numerosi scontri si erano sviluppati in varie parti dell’isola principale.
Mentre a Noumea la situazione attualmente appare sotto controllo ormai da un mese, la parte meridionale della principale isola dell’arcipelago rimane di fatto inaccessibile a causa delle barricate.
Païta, Dumbéa e Mont Dore (Genung Emâs in lingua kanak) rimarrebbero – almeno durante la notte e nonostante il copri-fuoco dalle 22 alle 05 – completamente in mano ai rivoltosi. In particolare a esponenti della tribù di Saint-Louis, considerata particolarmente legata all’indipendentismo (e tra cui si anniderebbero la maggior parte dei “francs-tireurs” – cecchini – che rendono alquanto rischioso percorrere alcune arterie).
Altre zone di fatto non raggiungibili si trovano nella costa est, intorno ai comuni di Ponérihouen e di Poindimié.
In sostanza un vero e proprio conflitto, per quanto ancora a bassa intensità.
Dopo tre mesi di proteste, secondo il governo di Parigi provocate e dirette dalle CCAT (Cellule de coordination des actions de terrain), la situazione resta preoccupante. Anche – soprattutto – a livello economico con circa 2,2 miliardi di danni a causa degli incendi e dei saccheggi (cifre fornite dal governo locale) e almeno 700 imprese (oltre la metà a Nouméa) rimaste coinvolte e danneggiate.
Così come una trentina di scuole (almeno un paio di licei completamente distrutti) e decine di edifici pubblici. E almeno un lavoratore su cinque è rimasto disoccupato.
Tra le proposte più o meno improbabili per uscire dalla situazione di crisi, spicca quella di Sonia Backés (ex segretario di Stato) favorevole a una “autonomisation des provinces”. In quanto “le monde kanak et le monde occidental ont (…) des antagonismes encore indépassables”.
Dal vago sapore di apartheid.
Proposta rispedita al mittente non solo dagli indipendentisti, ma anche dai “lealisti” (filofrancesi) moderati.
Da parte governativa pare si voglia puntare su una ripresa del confronto, del dialogo ai primi di settembre. Sempre che per allora il FLNKS (Fronte di liberazione nazionale kanak e socialista) sia in grado di tenere il previsto congresso e formulare le proprie rivendicazioni.
Possibilmente prima della scadenza del 24 settembre (data della presa di possesso dell’arcipelago da parte della Francia nel 1853). Per gli indigeni “giorno del dolore per il popolo kanak” e possibile occasione per nuove insorgenze.
Gianni Sartori
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