Terrorismo in Europa? “Niente di nuovo sotto il sole, negli anni ’70 era peggio”, tende a rispondere lo storico. “La maggior parte delle vittime del terrorismo è costituita da asiatici musulmani, non da europei cristiani”, tende a rispondere l’analista. E così il cittadino comune europeo, scioccato dalle notizie che arrivano da Manchester e Londra, Nizza e Berlino, è indotto a sentirsi come un esagerato, o comunque viziato da “troppi” anni di quiete. Negli anni ’70 il terrorismo, di matrice marxista, fascista, indipendentista o arabista, era molto più frequente e letale. Eppure, c’è qualcosa che rende il terrorismo attuale un fenomeno molto più inquietante. E non è solo un’impressione soggettiva.
I numeri delle serie storiche tendono a dar ragione agli ottimisti. Il periodo nero dell’Europa va dal 1975 al 1980, quando vennero condotti dai 750 ai 1000 attacchi all’anno in tutto il Vecchio Continente. Il picco venne raggiunto nel 1979, con 1019 attacchi. Gli attori principali degli anni di piombo furono le Br in Italia, la Raf in Germania occidentale, l’Ira in Gran Bretagna, l’Eta in Spagna, l’Olp nel Medio Oriente (e in Europa, anche), il gruppo di Carlos in tutto il mondo, mentre l’Urss ufficialmente disconosceva i terroristi rossi, ma segretamente li appoggiava tutti, palestinesi inclusi. L’anno più sanguinoso fu comunque il 1988 (440 morti), con l’attentato di Lockerbie per il quale, successivamente, il dittatore libico Muhammar Gheddafi ammise la responsabilità.
Che cosa rende speciale il terrorismo che stiamo vivendo in questi ultimi anni? Sempre da un punto di vista squisitamente numerico: l’incremento degli attacchi terroristici è senza precedenti. Visto in prospettiva, dunque, il nostro tempo è caratterizzato da anni di escalation. Secondo il Global Terrorism Index 2016, pubblicato dall’Institute for Economics and Peace, nei paesi dell’area Ocse le vittime per attentati sono aumentate del 650% dal 2014 al 2016, con la maggior concentrazione in Francia e in Turchia. L’Europa non registra il più alto numero in assoluto di morti e feriti: il triste record è detenuto da Iraq, Afghanistan, Nigeria, Pakistan e Siria, in cui sono morte il 72% delle vittime del terrorismo. L’area Ocse, fra cui l’Europa, è invece la terra in cui il terrorismo aumenta più rapidamente, per frequenza e letalità. Sul piano globale, la letalità del terrorismo è diminuita del 10%, ma il maggior contributo alla riduzione della violenza terroristica lo danno due paesi che restano altamente instabili: Nigeria e Iraq. Questa riduzione del 10% delle vittime del terrorismo nel mondo va poi letta in prospettiva. Le morti per attacchi dei terroristi, dal 2008 al 2016 sono aumentate complessivamente del 247%. Questi dati fanno risaltare ancora di più l’aumento della letalità del terrorismo nell’area Ocse (dunque Europa inclusa) che, ripetiamo, è del 650% negli ultimi due anni presi in esame dallo studio. Quindi è perfettamente corretta la sensazione di pericolo, perché stiamo passando da una fase di quiete ad una di violenza, in tempi molto rapidi. E la cattiva notizia è: questo indice non include ancora le statistiche che riguardano il terribile 2016, né l’ancor più terribile inizio del 2017. Il prossimo indice sarà molto peggiore.
Gli attori del terrorismo internazionale sono molto cambiati dagli anni ’70 ad oggi. Se negli anni ’70, come abbiamo visto, erano movimenti ideologici o nazionalisti, oggi sono quasi esclusivamente islamici. Quattro gruppi sono responsabili del 74% di tutte le morti per terrorismo: Isis, Boko Haram, Talebani e Al Qaeda. Sono tutti movimenti armati jihadisti. E qui si apre anche un discorso qualitativo, che sfugge alle mere statistiche.
Il terrorista ideologico, fascista o comunista che fosse, aveva un fine politico: instaurare un regime totalitario in cui avrebbe voluto vivere (e comandare, possibilmente). Il terrorista indipendentista aveva un fine politico e territoriale: ottenere l’indipendenza per un paese in cui vivere. Il terrorista jihadista non mira direttamente al potere, né all’indipendenza, ma soprattutto: non vuole vivere. Con il terrorista indipendentista o ideologico si poteva trattare, per la liberazione di ostaggi, così come su più ampie concessioni politiche. Con il jihadista no. Perché il militante di Al Qaeda o dell’Isis vuole prima di tutto morire, trascinando nella tomba più infedeli possibili. Non rende possibile il compromesso, perché il suo reale obiettivo non è qui in terra, ma nel Paradiso musulmano, a cui anela con la morte nel jihad. Il suo stesso suicidio-omicidio diventa addirittura più importante dell’obiettivo che vuole distruggere: è il fine, non più il mezzo. E’ per questo che, in questo 2017, è lecito aver paura.
di Stefano Magni | Lanuobabq.it
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