NORD DELL’IRAQ: ANCHE I TRIBALI CONTRO L’INVASIONE TURCA

Un comunicato dei capi tribali iracheni condanna senza mezzi termini l’invasione turca e – mentre rivolge un appello all’opinione pubblica mondiale – richiede l’intervento del governo iracheno. Esprimendo sostegno alla resistenza del PKK contro lo Stato islamico (appoggiato da Ankara).

Non senza ragione da più parti il progetto del Confederalismo democratico, originariamente elaborato dal movimento di liberazione curdo, ma a cui aderiscono e partecipano (v. In Rojava) popolazioni (armeni, ezidi, turcomanni, arabi…) e comunità religiose di origine diversa, viene considerato una possibilità di fuoriuscita dalle gabbie della “modernità capitalista”, dal nazionalismo sciovinista, dal fanatismo religioso integralista che insanguinano il Medio oriente.

Senza arrivare a darne per scontata la futura adesione anche da parte delle popolazioni non curde del Nord Iraq (Kurdistan del sud, Bashur), è sicuramente significativa la dura, esplicita presa di posizione contro l’invasione-occupazione turca e il riconoscimento del ruoloqui svolto dal PKK (in particolare contro l’Isis) da parte di alcuni capi tribali.

Mentre Ankara persevera nei suo attacchi (supportata dal PDK di Barzani) queste tribù irachene hanno reagito denunciando sia le minacce per la popolazione, sia la palese intenzione della Turchia di annettersi parte della regione per trasformarla in un territorio sotto controllo militare.

Nel comunicato  si riconosce apertamente che “mentre il PKK combatte lo Stato islamico, la Turchia lo sostiene”. Inoltre lo Stato turco “conduce la sua aggressione contro tutti i popoli iracheni, in particolare contro i Curdi, allo scopo di occupare la regione”.

Dure critiche, come si diceva, al PDK che “coopera con lo Stato turco, mentre il governo di Bagdad rimane in silenzio. Un silenzio che pone interrogativi in merito ai crimini perpetrati dallo Stato turco occupante”.

In quanto capi tribali e sceicchi iracheni “noi condanniamo tali attacchi e rivolgiamo un appello alla comunità internazionale, al governo iracheno e al parlamento iracheno invitandoli ad assumersi le loro responsabilità umanitarie, morali e giuridiche di fronte a questi crimini ponendo termine agli attacchi da parte dello Stato turco occupante contro il nostro popolo e le nostre terre”.

Dichiarandosi pronti a “proteggere la sovranità dell’Irak” e denunciando come la Turchia abbia l’intenzione di “modificare la demografia della regione”. Oltre naturalmente a voler saccheggiare le risorse irachene.

Opponendosi all’occupazione turca e sostenendo apertamente “il nostro popolo in Irak e nella regione del Kurdistan, denunciamo ancora una volta che le azioni dello Stato turco sono delittuose e criminali”.

Una presa di posizione alquanto significativa anche se forse non determinante in un quadro complesso e tormentato come quello odierno dell’Iraq.

Sia dal punto di vista economico (v. il blocco dei flussi petroliferi deciso dalla Turchia, l’oleodotto Kirkuk-Ceyhan.) che delle relazioni tra governo federale (Goi) e governo regionale del Kurdistan (Krg) con sede a Erbil. A cui vanno ad aggiungersi le complicate relazioni tra Baghdad e Washington (v. le questioni aperte in seno alla coalizione internazionale).

Sempre accesa la questione della ripartizione delle risorse economiche Tra Erbil e Baghdad, rinfocolata con le ultime decisioni della Corte suprema irachena.

Oltre che sul contenzioso per il petrolio (a lungo esportato da Erbil bypassando il governo federale) e sulla ripartizione dei profitti, la Corte suprema è intervenuta – contestandola come incostituzionale – sulla presenza di undici seggi per le minoranze etnico-religiose nel parlamento del Krg. Questione sollevata da due esponenti dell’Upk (Unione patriottica del Kurdistan) che accusavano il Pdk (Partito democratico del Kurdistan) di controllare tali seggi. Antiche rivalità tra le diverse formazioni curde che riemergono talvolta forse strumentalmente e che al momento verrebbero ulteriormente alimentate da piccoli partiti cristiani e turkmeni già estromessi dal parlamento regionale.

Quanto alla criminalità (in senso lato), se negli ultimi tempi si sono intensificate le misure per contrastare il contrabbando di dollari (vietando ad alcune banche di operare transazioni in valuta statunitense), meno efficaci appaiono gli interventi per frenare il ricorrente risorgere della minaccia jihadista. Nonostante i recenti arresti di qualche presunto appartenente all’Isis (in particolare tra quelli rimpatriati da al-Hol che ne “ospita” ancora migliaia).

Gianni Sartori

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