Non meditare la vendetta ma esercita la pazienza…

“UOMO, NON MEDITARE LA VENDETTA, NON AGIRE RABBIOSAMENTE E VIOLENTEMENTE, MA ESERCITA LA PAZIENZA SOPPORTANDO AMOREVOLMENTE LE INGIUSTIZIE RICEVUTE (QUINTA ANTITESI)

LIBERI DA OGNI RIVALSA

MATTEO 5:38-42

La letteratura favolistica è un mondo letterario fantastico e suggestivo, soprattutto per i bambini, ma anche per gli adulti che conservano ancora nel profondo del loro essere l’impronta dell’essere fanciulli, a cui piace sbizzarrirsi con la creazione di mondi ridenti o con la creazione dell’isola che non c’è, dove solo i bambini possono accedervi, grazie alla loro immaginazione. Esòpo (620 -560 a.C.) è uno dei più autorevoli scrittori di favole dove realtà e fantasia si fondono, dove il mondo animale assume sembianze umane: essi possono parlare, vivono situazioni analoghi agli uomini, provano emozioni e sono eticamente motivati.

Credo che molti di noi abbiano letto o sentito parlare della favola “La Volpe e la Cicogna”. Essa recita nel seguente modo: “Non si deve fare del male a nessuno: ma se qualcuno avrà recato danno, la favoletta insegna che deve essere ripagato con la stessa moneta. Si racconta che la volpe per prima avesse invitato a pranzo la cicogna e le avesse imbandito, in un piatto largo, una vivanda liquida, che la cicogna in nessun modo poté assaggiare, benché affamata. Ma questa, avendo a sua volta invitato la volpe, le pose davanti una bottiglia piena di cibo tritato: inserendovi il becco, essa stessa si sazia e tormenta con la fame l’invitata. E mentre quella leccava invano il collo della bottiglia, sappiamo che l’uccello migratore così parlò: «Ciascuno deve sopportare con rassegnazione gli esempi dati (agli altri)». In altre parole, la cicogna volle dare alla volpe una lezione di vita: “chi la fa l’aspetti”. Inoltre, è detto che “la vendetta è un piatto che va servito freddo”, intendendo che il torto subito va sempre ricordato, perché ci sarà sempre una occasione per farla pagare all’avversario. Si potrebbe dire che la vendetta alimenta la vita, e fa l’uomo forte.

Probabilmente i Farisei al tempo di Gesù insegnavano alle folle questa forma di etica popolare che la vendetta era una reazione legittima di chi aveva subito un torto o un danno, ampliando il comandamento biblico “occhio per occhio, dente per dente” anche nei rapporti interpersonali. Gesù con il suo insegnamento etico rigetta il pensiero farisaico della vendetta personale e afferma la controcultura cristiana del desistere dal nutrire sete di vendetta, che accumula violenza a violenza,lasciando a Dio l’esercizio della giustizia, che trova la sua ragione d’essere nello scandalo della croce. La quinta antitesi di Gesù esclude lo spirito di vendetta e di rappresaglia. Essa suona nel seguente modo: “Voi avete udito che fu detto: Occhio per occhio, dente per dente”. Ma io vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra porgigli anche l’altra, e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello,. Se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due. Dà a chi ti chiede, e a chi desidera un prestito da te, non voltare le spalle”.

La frase “occhio per occhio e dente per dente” è estratta da Gesù dall’insegnamento orale dei Rabbini ed è strettamente legata con il codice civile e morale della legge mosaica. Esodo 20 contiene i dieci comandamenti, mentre Esodo 21-23 espone una serie di ingiunzioni attraverso cui le norme del decalogo sono applicati alla vita della nascente comunità ebraica. Leggendo questi testi il lettore si imbatte in una serie di casi in cui la legge mosaica viene applicata, dando una particolare attenzione a quelle azioni che danneggiano le persone e la proprietà. Leggiamo in Esodo 21:22-25: “Se durante una rissa qualcuno colpisce una donna incinta e questa partorisce senza che ne segua altro danno, colui che l’ha colpita sarà condannato all’ammenda che il marito della donna gli imporrà; e la pagherà come determineranno i giudici; ma se ne segue danno, darai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, scottatura per scottatura, ferita per ferita, contusione per contusione” (cfr. Lev.24:19-21). Sembra chiaro dal contesto che la legge del taglione era un affare legale, gestito dai giudici d’Israele. Similmente, considerando il testo di Deuteronomio 19:16-21, la legge del taglione viene descritta come una sentenza legale, evidenziando il principio di una proporzionata retribuzione, il cui scopo era quello di impartire una punizione che compensa il danno arrecato alla vittima. La legge del taglione era proibita al di fuori delle aule del tribunale e nessun uomo poteva esercitarla nella sfera privata, dando vita a incresciosi casi di orribili vendette o a faide familiari. Al tempo di Gesù la legge del taglione fu rimpiazzata nella pratica legale ebraica da una ammenda in denaro. Con tutta probabilità gli Scribi e i Farisei estesero il principio della giusta ed proporzionata retribuzione come norma giuridica amministrata dai giudici nelle aule dei tribunali nella vita privata e nelle relazioni interpersonali. I giudei amavano usare tale norma giuridica nelle loro vendette personali, nonostante l’esplicita proibizione legale: “… Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il Signore” (Lev.19:18). E’ doveroso dire che Gesù con il suo “Ma io vi dico” non critica il principio legale della legge del taglione. Gesù afferma con la sua quinta antitesi che tale principio, sebbene appartenga alla legge di Israele, non può essere applicato alle semplici relazioni personali, che sono disciplinate dalla legge dell’amore-agape e non da forti risentimenti e dalla sete di vendetta. Il dovere-libertà del cristiano nei confronti di chi arreca una offesa o un danno non è la ricerca spasmodica della vendetta, ma l’accettazione dell’ingiustizia senza fare affidamento alla ritorsione: “Non resistere al malvagio”.

Chi è il malvagio, a cui noi non dobbiamo rendere la pariglia? E perché non dobbiamo rendere pan per focaccia?

Se osserviamo attentamente le brevi illustrazioni con cui Gesù vieta al suo discepolo di far uso della vendetta, possiamo dedurre che essi non ha la pretesa di essere tassativi, ma esprimono paradossalmente indicazioni valide per l’uditorio di Gesù che è imbevuto di cultura palestinese.

Esse sono vivaci descrizioni di differenti situazioni di vita palestinese. Ciascuna di esse introduce una persona che viene descritta come malvagia che cerca di fare al discepolo di Gesù uno sgarbo, come uno che dà un voltafaccia al discepolo, un altro lo persegue per legge, un terzo lo costringe a fare un servizio e l’ultimo gli chiede denaro.

Con la prima vivida illustrazione Gesù sottolinea quella ingiustizia patita dai discepoli per il semplice fatto di essere discepoli di Gesù, il quale fu sospettato dai capi religiosi di eresia. Infatti, il “manrovescio”, che è praticato ancora oggi in Oriente, è un atto oltraggioso di massimo disprezzo ed insulto gravissimo, che sottolinea l’azione della persecuzione religiosa(cfr. Mt 26:67; Is. 50:6). E’ questa la sottomissione che Gesù richiede ai suoi discepoli, invece che un ricorso alla vendetta o alla legge. Questo atteggiamento è quello che Bonhoeffer definisce “una visibile partecipazione alla croce (1)

Ma i Cristiani non sono zerbini. Lo stesso Gesù non assunse mai una condotta di debolezza, senza mai protestare. Al contrario, Gesù durante il suo processo-farsa davanti ai maggiorenti del Sinedrio sfidò il Sommo Sacerdote rispondendo autorevolmente alle sue domande (cfr. Giov. 18:22-23).

La seconda vivida illustrazione evidenzia il torto subito da un cristiano in sede legale. La parola “litigare (gr. Krithenai) si riferisce alle corti legali, e alle sentenze da loro pronunziate. La tunica era il vestito di sotto (il chitone), mentre il mantello era una sorta di sopraveste con larghe maniche, che veniva indossato dagli ebrei, andando fuori, e, nelle giornate fredde anche a casa( per i poveri era la sola coperta durante la notte, come si evince da Esodo 22:25-27). L’insegnamento del Signore sottolinea che perfino la cosa che possa essere di estremo aiuto deve essere sacrificata senza ricorrere alla vendetta mimetizzata con una azione legale difensiva che avrebbe rivendicato i propri diritti.

La terza briosa, immagine evidenzia l’esortazione del discepolo di Gesù a soffrire le azioni del malvagio che sostenere e difendere i propri diritti con uno spirito di vendetta. Tale illustrazione è tratta da una consuetudine presente nella cultura greco-romana, consistente nel requisire uomini e cavalli per scopi governativi, ossia diffondere notizie governative, in particolar modo reali per tutto l’impero (cfr. Mt 27:32; Ester 8:10-14).I corrieri pubblici preposti a questo compito di inoltro e consegna dei dispacci si chiamavano messi, corrieri a cavallo che svolgevano il servizio in uno stato di costrizione(gr. Aggaroi, che a sua volta viene dal verbo aggareuo, che significa costringere qualcuno a fare un viaggio). La parola greca è conservata nel vocabolo italiano “angariare”. Il “miglio” romano di cui si parla nel testo equivale a mille passi. In altre parole, Gesù sta affermando di respingere lo spirito vendicativo come conseguenza della costrizione di percorrere un migliaio di metri, ma di percorrerne almeno il doppio con uno spirito di umile servizio senza ricercare la vendetta.

La quarta illustrazione, forse quella che urta oltremodo, è quella di dare in prestito a colui che probabilmente sarà un truffatore, che non restituirà più i soldi, ricavando l’immagine forse da Esodo (22:25-26). Anche in questo caso vale la legge della solidarietà che quella dell’insensibilità spietata espressa con le parole forti del “voltar le spalle”.

Tutte e quattro le illustrazioni fortemente enfatizzano situazioni diversificate in cui si vengono a trovare i discepoli di Gesù, che senz’altro possono dare adito a nutrire forti risentimenti personali e a dare spazio ad aspri sentimenti di vendetta. Ma Gesù instaura una controcultura etica dell’incassare pazientemente le ingiustizie personali e, nello stesso tempo, attivare anche propositi di altruismo anche se sai che sarai truffato. Certo è che queste accattivanti illustrazioni devono essere anche considerati come iperboli, come esempi paradossali che ci inducono a non usare l’arma della ripicca, del “adesso te la faccio pagare magari con gli interessi”, che è la logica dell’etica mondana, ma al contrario, esse sono “finestre” aperte per far ricordare ai discepoli di Gesù che deve prevalere la logica della buona disponibilità alla paziente sopportazione delle piccole ingiustizie distillate nella quotidianità della vita. Con esse Gesù non si contrappone all’ordinamento giuridico e statale a cui è data la “spada” per amministrare la giustizia, ma tende ad inculcare un cammino nuovo ai discepoli nei loro rapporti interpersonali, dove lo spirito della vendetta e della rivalsa è messa al bando. Di questa stile di “passione” Gesù diventerà modello nella sua passione.

“… La passione di Gesù come superamento del male mediante l’amore divino è l’unico sostegno valido dell’obbedienza del discepoli. Gesù con il suo comandamento chiama chi lo segue ancora una volta alla compartecipazione alla sua passione. Come potrebbe essere visibile e credibile per il mondo l’annunzio della passione di Gesù Cristo, se i discepoli di Gesù cercano di evitare questa passione, se la rifiutano nel loro proprio corpo? Gesù stesso compie sulla croce la legge che egli da, e allo stesso tempo mantiene benevolmente i suoi seguaci nella comunione della sua croce”. (2)

1) Dietrich Bonhoeffer-Sequela- Queriniana ed, BS, 1975, pag. 124

2) Bonhoeffer Dietrich- Op. Cit.- pag. 124

Paolo Brancè | Notiziecristiane.com


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