Non ho dubitato… convinto della liberazione!

unnamed (1)Il Signore è fedele se tarda, aspettalo… per certo verrà e non indugerà (Abacuc 2:3 – versione Diodati).

Dieci dei miei 46 anni li ho vissuti con un mal di testa atroce, la “cefalea a grappolo” (o “del suicidio” come la chiamavano anni fa gli studiosi francesi).
Negli ultimi dieci anni questa patologia cronica mi ha impedito ogni attività.
È un male incurabile che ha invalidato la mia vita concedendomi un’esistenza in apnea, nell’attesa di un dolore che periodicamente annullava ogni programma, un handicap nascosto in testa, poco visibile ma sempre presente, che da un momento all’altro poteva riemergere e scatenarsi.
È una malattia figlia dei giorni nostri, generata anche da questa società che corre verso chissà cosa o chissà chi, che si porta in spalla lo stress e la solitudine, vere cause di tanti mali.
Avevo paura di programmare una vacanza, un viaggio o più semplicemente una cena con gli amici, in quanto non sapevo se sarei riuscito a concludere l’intera giornata senza dovermi appartare per le solite punture che, se a volte facevano passare quel dolore atroce, di contro mi stordivano rendendomi inutile.
Ho trascorso dieci lunghi anni in quasi totale isolamento, un lunghissimo tempo fatto di rinunce: la cefalea è una malattia che mina i rapporti sociali. Solo gli amici intimi erano ammessi, e non sempre, perché bastava poco per risvegliare la crisi.
Conoscevo ogni sfumatura del male, lo sentivo arrivare da lontano, era come una spada conficcata nella mia testa giorno e notte.
In queste circostanze ho sempre cercato Dio, nonostante una ridda di pensieri mi rincorresse convincendomi che, poiché la risposta non arrivava, ero indegno della grazia divina. Eppure, avevo già sperimentato la salvezza, il dono della vita, avevo una moglie credente e una figlia, Giorgia, che era un reale dono di Dio…
Mi sono convertito a Torino, rivedendo dopo circa vent’anni dei parenti che appartenevano ad un mondo diverso, quello evangelico.
Dall’incontro scaturì un invito ad assistere al culto nella loro chiesa evangelica, una richiesta alla quale io e la mia compagna rispondemmo più per dovere che per piacere.
Non è possibile spiegare con la logica quel che avvenne, come si può entrare in una chiesa con delle idee e uscirne cambiati, totalmente rinnovati, benedetti, felici di essere stati alla presenza di Dio, sentire di appartenere a Lui.
In quel culto divenni una persona nuova e iniziò per me una vita nuova, cambiarono le mie abitudini, le amicizie, gli usi, i costumi, il linguaggio.
Io e la mia compagna volevamo un bambino che non arrivava, così iniziammo a pregare Dio, convinti che a Lui nulla è impossibile.
Fino a quel momento avevamo convissuto, perché avevo delle riserve riguardo al matrimonio, ma essendo diventato Gesù il centro della nostra vita, decidemmo di sposarci e consacrare così definitivamente la nostra vita al Signore.
Non passarono che tre mesi e mia moglie scoprì di essere in attesa di un figlio, la gioia era grande, era un susseguirsi di lodi a Dio.
Un atto di fede ci fece decidere di non procedere, nonostante la nostra età, ad alcuna analisi particolare, certi com’eravamo del dono di Dio, che arrivò fedelmente.
Intanto, i miei ripetuti mal di testa, così come il mio pellegrinare per ospedali, continuavano. Avevo interpellato tanti altri medici e assunto nuovi farmaci, mi ero trasferito anche in altre città, ma il verdetto rimaneva sempre lo stesso: “Ci dispiace, lei ha fatto già tutto quel che era possibile, proviamo con quest’altro farmaco, ma sappia che non c’è cura per questo male”.
Accumulavo delusioni su delusioni, cercando coraggio in Dio e perseverando nella fede, consapevole che solo Lui poteva fermare quel male.
Gli attacchi cominciarono a susseguirsi sempre più repentinamente, con una violenza superiore alle mie forze, al punto da farmi pensare, in certe circostanze, di smettere di vivere.
La mia fede, a volte, ha vacillato, ma il Signore mi ha sempre tenuto per mano e ogni volta che passavano le crisi, che erano ormai quotidiane, Egli mi infondeva forza e coraggio, facendomi dimenticare la sofferenza di prima e convincendomi ad apprezzare la vita che Egli stesso mi aveva donato.
Sono andato avanti così finché, negli ultimi mesi dello scorso anno la situazione è precipitata e sono arrivato a farmi iniezioni due, quattro, sei volte al giorno, sebbene dovessi far uso della mia medicina non più di due volte in ventiquattrore.
Provavo quasi vergogna ad andare nelle stesse farmacie, e così consegnavo le ricette in punti diversi della città.
Sono approdato all’anno nuovo come un naufrago, ma il 2 gennaio del 2006 mi sono sentito diverso, mi sono svegliato senza un minimo di mal di testa, cosa che ormai capitava raramente. Mi sono sentito felice e ho avvertito dentro il mio cuore l’invito ad inginocchiarmi e ringraziare il Signore per la guarigione. Non ho dubitato e, convinto della liberazione, mi sono inginocchiato, ho pregato e ringraziato Dio, poi ho chiamato mia moglie e le ho raccontato l’accaduto.
È trascorso qualche mese da quel giorno e non ho più usato quelle terribili iniezioni, che pure erano la sola cosa che mi dava sollievo.
Non ho più mal di testa!
Il Signore, l’Onnipotente, Colui che non ci lascia e non ci abbandona ha detto: “…invocami nel giorno della distretta: Io te ne trarrò fuori, e tu mi glorificherai” (Salmo 50:15).

Filippo Raimondi

Tratto da «Cristiani Oggi»  16 – 31 marzo 2006

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