Nel 1995 fu proiettato nelle sale cinematografiche “Dead man walking” (uomo morto che cammina), film realizzato dall’attore-regista Tim Robbins, già protagonista di un altro film capolavoro “le ali della libertà”, attraverso cui viene denunciata l’orrore della pratica della pena di morte. Il regista trae il soggetto da un libro autobiografico della suora cattolica Helen Prejean, narrando le ultime ore di vita di un condannato a morte, Matthew Poncelet, che di fronte al suo destino ineluttabile di morte abbraccia l’evangelo che lo libera interiormente dai suoi crimini commessi (violentò una ragazza e uccise il suo ragazzo), chiedendo perdono alle famiglie delle vittime, impietrite e indurite dall’odio. Al di là di quello che ognuno può pensare sulla pena di morte, a noi interessa in questa sede l’atteggiamento freddo, ostile, malevolo dei genitori di fronte a un uomo che muore, sì, per i crimini commessi, ma che non è stato oggetto di perdono né di uno sguardo umano. In questi casi vale il detto farisaico, “Ama tuo fratello e odia il tuo nemico”. L’ultima antitesi di Gesù rappresenta il culmine di un insegnamento etico straordinario, che non trova alcun riferimento alcuno nel codice etico dell’uomo. Si può dire che quest’antitesi è il fattore cristiano dello straordinario, dell’eccezionale, che esce fuori da ogni comportamento etico naturale. E’ la “giustizia maggiore” che supera quella dei Farisei, che va oltre ogni comportamento etico umano. Così si esprime ancora Bonhoeffer: “ Lo straordinario del fattore cristiano è la croce, che fa sì che il cristiano vada al di là del mondo e gli dà così vittoria sul mondo. La passione nell’amore del Cristo crocifisso-ecco lo “straordinario” dell’esistenza cristiana. Lo straordinario è senza dubbio il fattore visibile per il quale il Padre celeste viene glorificato… Non restare nascosto. La gente deve vederlo. La comunità dei seguaci di Gesù, la comunità della giustizia maggiore è una comunità visibile, uscita dalle istituzioni terrene: ha abbandonato tutto per guadagnare la croce di Cristo”.
Voi avete udito che fu detto: “Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico…” Gesù, riportando quello che i Rabbini del suo tempo divulgavano tra il popolo, si proponeva di ricomporre l’insegnamento antico-testamentario nel suo significato divino originario. L’amore del prossimo, è comandato espressamente dal Lev. 19:18, al contrario in nessun passo veterotestamentario è prescritto l’odio verso il nemico. Anzi, vi sono riferimenti biblici, che avvalorano l’insegnamento di Gesù dell’amore per il nemico (cfr. Es.23:4-5; Deut.22:1-2; 1^Sam.24:17-20). La malevola steccata dei Farisei circa l’odio verso i nemici probabilmente era dovuto al fatto che essi estesero a un livello personale il divieto divino di convivere con le pratiche idolatriche dei popoli pagani limitrofi.
Le invettive contro i popoli stranieri, considerati nemici di Dio, favorirono nel pensiero israelita una mentalità razzistica. La conseguenza fu che essi restrinsero la parola “prossimo” all’interno della loro etnia. Il prossimo era soltanto il compatriota, e solo a lui era rivolta l’attenzione amorevole, mentre alimentavano l’odio e l’inimicizia verso il nemico oppressore romano, verso i pubblicani, amici dei romani, verso i Samaritani, popolo tradizionalmente odiato. Ancora una volta Gesù smonta la falsa interpretazione dei testi biblici da parte dei depositari della Legge di Dio con l’autorità eccezionale che gli si addice com’era eccezionale la sua etica: “…Ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a coloro che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano, affinché voi siate figli del Padre vostro che è nei Cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti… L’amore per il nemico è uno scandalo per l’uomo naturale. E’ una richiesta che travalica le sue proprie forze morali e spirituali. E’ un vero e proprio scandalo per l’uomo naturale che coltiva l’etica universale dell’esclusione dalla sua sfera d’amore e di azione colui che l’ha danneggiato o continua ancora a danneggiarlo. No, proprio no, è disumano, è tremendamente innaturale. L’uomo naturale rifiuta, si ribella contro una richiesta che esige di coinvolgere il nemico nella sua esperienza d’amore. Qui, ci aiuta a capire la richiesta di Gesù la parola “greca” che è usata nel testo originale. Noi chiamiamo con il termine generico “amore” la richiesta di Gesù che in greco è “agapao” ossia l’amore che si riversa verso l’altro senza distinzioni. Vero è che Gesù, spiegando meglio la sua esigenza etica, parla d’inutilità dell’esperienza d’amore dei suoi discepoli, se essi amano solo chi è amabile, ossia la propria famiglia, i propri amici, i propri parenti, la propria gente. Non fanno niente di eccezionale. Questa esperienza d’amore è universale, essa è vissuta sia dai pubblicani sia dai pagani. Nel linguaggio odierno, possiamo dire che questo tipo di amore coinvolge anche il malvivente, il mafioso, il terrorista, oltre le persone per bene, perché tutti hanno bisogno di amare i propri cari. Ma i nemici no. Essi sono esclusi. Non hanno alcun diritto di cittadinanza, perché loro possano godere della nostra minima attenzione. Ma il comandamento di Gesù toglie il discepolo da questa logica restrittiva dell’amore. I discepoli di Gesù della prima ora conoscevano bene il loro nemico, era all’interno del loro nucleo sociale. Essi venivano maledetti come distruttori della fede e come trasgressori della legge divina, venivano scherniti e oltraggiati per la loro radicalità nel vivere la loro fede. Il nemico era il colui che stata da parte della religiosità popolare e istituzionalizzata, che mal sopportava la rivendicazione di Gesù come portatore di un nuovo modo di concepire la fede in Iahvè. Inoltre, va annoverato anche l’Aquila imperiale che simboleggia il potere politico di Roma, che aveva gradualmente intrapreso un’azione persecutrice nei confronti dei Cristiani. Infine, vi erano i nemici personali, anch’essi ostili e malevoli. I discepoli lo sapevano bene che la richiesta di Gesù di amare il nemico si riferiva a queste tre categorie di persone. Ma cosa significa concretamente “amare il proprio nemico”? Gesù induce i suoi seguaci a farsi massacrare dai loro aguzzini, offrendo loro un’azione benevola? Credo che Gesù abbia in mente non un principio etico astratto, ma teologicamente motivato che si esprime in situazioni concrete circostanziate. Certo è che il credente non si avvarrà quotidianamente della compagnia di chi lo vessa, né passeggerà a braccetto con il suo avversario, non lo va a cercare per riversare su di lui in maniera romantica il suo amore. No, Gesù ha in mente situazioni simili alla parabola del buon Samaritano (Lc.10:25-37), Gesù stesso appeso al legno pronunciò parole commoventi di benedizione nei confronti dei suoi carnefici e di chi l’ha fatto condannare ingiustamente.
Gesù ha guarito il servo del centurione, un soldato romano odiato dai Giudei. L’amore per i nemici è annuncio di salvezza in azione anche quando i nemici forse, resteranno sempre nemici. L’azione etica straordinaria del discepolo di Gesù è imitazione dell’azione di amore di Dio, che ha cercato l’uomo, suo acerrimo nemico, e ha offerto a lui con amore servile e disinteressato il dono della riconciliazione e della redenzione con il sacrificio d’amore di Gesù. L’amore per i propri nemici è esperienza di libertà del discepolo che è alla sequela di Gesù, richiedendo dai suoi una triplice azione che spiega concretamente la richiesta di amare il non amabile, il detestabile, colui che angaria, che calunnia, che ordisce viscide cospirazioni nella oscurità della notte, che guarda con occhi astiosi e pieni di odio. Colui che infligge il corpo mortale, cioè il seguace di Gesù è chiamato a vivere la libertà di benedire il suo carnefice, di fare il bene al suo aguzzino di pregare per i suoi millantatori. La prima caratteristica dell’esigenza etica di Gesù di amare il nemico è quella di benedire. Alla maledizione pronunciata dal nemico, il discepolo risponde con l’invocazione della benedizione, che significa richiedere per il nemico che maledice atti di bontà dalla parte del Signore. La seconda caratteristica che contrassegna l’amore del discepolo per il proprio avversario è agire benignamente nei suoi confronti. Gesù non richiede soltanto belle parole, ma anche azione. Questo imperativo di Gesù è stato ben incarnato da Paolo, il quale esorta i Romani a intervenire benevolmente verso il proprio nemico: “ Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere … (Rom.12:20). Bonhoeffer dice: “ …Dove si trova nel mondo miseria più profonda, ferite e dolori più gravi che presso il nemico? Dove è più necessario e più bello fare del bene che al nemico? Il donare rende più felice del ricevere”.
La terza caratteristica dell’amore per il detestabile è la preghiera. Nella preghiera ci poniamo accanto al nemico, al suo fianco, siamo con lui, presso di lui, per lui davanti a Dio. Gesù non ci promette che il nemico, che amiamo e benediciamo, non ci offenderà e perseguiterà. Lo farà senz’altro. Ma anche in questo non ci può nuocere né vincere, se noi facciamo l’ultimo passo verso di lui nella preghiera d’intercessione. Così prendiamo su di noi la sua povertà e miseria, la sua colpa e perdizione e intercediamo per lui presso Dio. Facciamo in sua vece per lui quello che lui non può fare. Ogni offesa del nemico ci stringerà solo maggiormente a Dio e al nostro nemico. Tale comportamento etico eccezionale fa sì che il discepolo di Gesù sia perfetto come il Padre, che fa levare il suo sole sopra gli ingiusti e sopra i buoni, e che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Essere perfetto non significa raggiungere la perfezione morale, ma essere compiuti nell’esercizio dell’amore verso tutti, amici e nemici. “…Lo straordinario è una azione dei seguaci. Deve essere messo in pratica fatto in modo visibile.
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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