Mi chiamo Ciro Peluso, sono nato a Napoli nel 1961 nel quartiere di Capodimonte dovo ho trascorso la mia gioventù.
Questo quartiere a Napoli è caratterizzato dalla presenza di un bosco dove da giovane trascorrevo gran parte delle mie giornate. Quando avevo circa cinque anni ci trasferimmo ad Aprilia, provincia di Latina, a quaranta chilometri da Roma per motivi lavorativi di mio padre, il quale ha veramente portato avanti la nostra famigliola con stenti. Ho frequentato la prima elementare ad Aprilia e la seconda a Ciampino (Roma). Ricordo che quando stavamo ad Aprilia, quasi due anni, abitavamo a fianco di una chiesa evangelica A.D.I. (Assemblee di Dio in Italia) e mia madre spesso partecipava ai culti, seguendo sua sorella che da anni era già evangelica.
Mia madre spesso mi raccontava di aver frequentato anche da piccola una comunità evangelica di Napoli, una delle prime nella nostra città che all’epoca si trovava a san Giovanni a Carbonara.
Seguendo la mia mamma e mia zia in quella comunità ad Aprilia, ho avuto fin da piccolo insegnamenti riguardo la Parola di Dio e spesso avevo ascoltato testimonianze di persone che erano state miracolate o salvate da Gesù. Frequentai anche qualche riunione di scuola domenicale per fanciulli.
Nella nostra famiglia abbiamo ricevuto alcuni miracoli dei quali ne racconto qualcuno. Una volta mia madre cominciò ad avere una flebite alla gamba che cominciò a gonfiarsi e ad annerirsi. Essendo stata visitata da vari medici, questi le prospettarono la necessità di doverle amputare una gamba.
Ero molto piccolo ma ricordo le sofferenze di mia madre. Sembrava non ci fosse niente da fare, la gamba doveva essere tagliata. La Chiesa d’Aprilia faceva fervide preghiere.
Una domenica mattina mia madre, accompagnata a braccia perché non ce la faceva più a camminare, entrò in chiesa durante il culto. Dentro il locale s’inginocchiò a terra quasi a peso morto ed invocò il Signore. All’istante la gamba si sgonfiò e guarì! Tutta la chiesa potette glorificare il Signore per il miracolo avvenuto.
Un’altra volta mio padre ebbe una setticemia per un male alla gola. Il collo gli si gonfiò a tal punto che sembrava gli scoppiasse. La chiesa fece anche allora fervide preghiere. Mio padre fu guarito miracolosamente.
Avevo quasi sette anni e si prospettò per la mia famigliola la necessità di tornare a Napoli. Poco prima di partire mi accadde un episodio al seguito del quale stavo rischiando di morire.
Stavo giocando con mio fratello che all’epoca aveva circa quattro anni. mia madre non era in casa ed aveva lasciata la porta chiusa mentre la finestra della cucina era aperta. Io e mio fratello decidemmo di scavalcare la finestra per uscire nel cortile. Cominciai a salire per primo per fare strada. Mio fratello, per accelerare i tempi, ebbe la brillante idea di darmi una spinta. Caddi con la faccia sul selciato da un’altezza di circa due metri e rimasi tramortito. Ero caduto col naso a terra e mi si deviò il setto nasale.
Ero in un lago di sangue quando mia madre mi soccorse e, riportandomi a casa, mi fece fermare il getto di sangue tamponandomi il naso e mettendomi ghiaccio sulla fronte. Dopo un po’ mi salì la febbre alta.
Era giunto il momento di partire per Napoli. Mio padre non ha mai guidato. Ci venne a prendere uno zio con una cinquecento. A quei tempi, che non c’erano le strade come quelle d’oggi e con quella macchina, fu un’impresa giungere a Napoli. Mio padre restò a Ciampino mentre io, la mamma e mio fratello, con lo zio che faceva da autista ci avventurammo verso Napoli.
Tutto imbacuccato e con la febbre alta, mi sentivo come un pacco trasportato da un carro postale. Arrivati a Napoli, vista la mia condizione che peggiorava, mi portarono d’urgenza all’ospedale. Lì, ricordo come fosse stato ieri, mi fecero un intervento dal vivo. Il chirurgo m’infilò un ferro nel naso per farmi uscire il sangue che si era coagulato all’interno e che, impedendone l’uscita di altro rischiava di farmelo arrivare fino al cervello. I medici affermarono che sarebbero bastati altri pochi minuti che potevo morire. La mano del Signore fu su di me anche in quel caso!
Mi ricoverarono per accertamenti. Ricordo che mia madre piangeva ma lo faceva anche perché pensava alla sua mamma che nel frattempo era a casa in gravi condizioni.
Dopo qualche giorno io uscii dall’ospedale sano e salvo e i medici consigliarono di farmi operare il setto nasale all’età di sedici anni che poi fu fatto.
Mia nonna morì dopo pochi giorni e noi rimanemmo ad alloggiare con il nonno.
Mio padre per qualche tempo fu costretto a fare il pendolare tra Roma e Napoli, poi trovato un lavoro a Napoli si stabilì con noi.
Per me quello con Napoli fu un vero impatto, poiché qui riscontrai una realtà totalmente diversa da quella che avevo lasciata nella provincia di Latina e Roma. A Napoli, il quartiere di Capodimonte, nel quale sono nato ed ho passato gran parte della mia gioventù, è caratterizzato dalla presenza di un bosco che è sicuramente il “polmone” più grande della città.
In questo bosco ho passato gran parte della mia gioventù. Da piccolino giocavo con gli amici a fare la “guerra” con i ragazzi d’altri rioni vicini. Un po’ più grande mi rifugiavo in quei posti per fumare spinelli.
Nell’età adolescenziale ho frequentato miei coetanei che, crescendo, hanno poi intrapreso la via della delinquenza e qualcuno di loro, ha provato poi il carcere. Vivendo come “scugnizzo”, ho potuto costatare che quell’impronta evangelica segnatami nella mia fanciullezza dalla mamma prima, poi anche dalla zia, ha inciso molto sulla mia vita anche da giovanissimo. Facevo sicuramente cose non piacevoli agli occhi di Dio, spesso però rivolgevo a Lui il mio pensiero e credo che in molte occasioni Egli non ha permesso facessi una brutta fine. Fu in quel tempo che cominciai ad “evadere” dalla realtà cominciando a fumare spinelli. Hashish, Marijuana cominciarono ad entrare nella mia vita.
Fu un periodo in cui cominciai ad estraniarmi da tutto quello che avveniva nel mondo. L’unica cosa che in quel tempo mi colpì in modo particolare, fu l’escalation di violenza per opera dei terroristi ed in particolar modo delle Brigate Rosse. L’omicidio d’Aldo Moro mi sconvolse ma poi col tempo passò in second’ordine nella mia mente.
Un giorno un amico di Capodimonte bussò al mio citofono. Era di pomeriggio ed io mi ero assopito sul letto. Ero solo in casa. Mi affacciai al balcone e questo mio amico mi chiese di scendere. Per strada, mentre ci dirigevamo verso il bosco mi disse che sapeva che avevo cominciato a fumare spinelli. Mi raccontò che da un po’ alcuni nostri amici si stavano radunando nel bosco, in un angolo che gli abitanti del quartiere ancora oggi chiamano “dietro la vasca”. Questo nome perché questo posto è caratterizzato dalla presenza di una vasca piena d’acqua.
Qui i nostri amici si radunavano per bere birra e fumare spinelli, a quei tempi l’eroina non era tanto diffusa come purtroppo lo è oggi.
Oggi questo luogo è molto più pulito ed ordinato di allora anche per la presenza massiccia di Polizia e Carabinieri. È molto curato ed è diventato una bell’attrazione turistica. In poco tempo cominciai a provare cose sempre più pesanti. Facevamo cocktail con alcol e roi epnol che diventavano vere e proprie “bombe” e più di una volta mi hanno portato in coma a casa. Dicevano ai miei genitori che mi bucavo, perché quei miscugli che facevamo ci portavano in condizioni che sembrava che veramente ci bucavamo a eroina. Quel periodo facevo anche cose strane. Una volta per esempio per vendicarmi di una scortesia che mi aveva fatta una persona che faceva il benzinaio, andai nella sua stazione di notte e gli tagliai i tubi di tutte le colonnine di benzina. Alcune volte ho rischiato anche la galera. Frequentavo l’ultimo anno della scuola A. Volta e dovevo dare l’esame per il diploma. Avevo quindi alcuni libri che mi servivano. Uno di quei miei amici, mi propose di provare con lui l’eroina che lui già faceva uso da qualche tempo. Per racimolare la cifra che mi serviva per la mia parte, vendetti alcuni dei libri che mi servivano ancora per l’esame. Mettemmo insieme dei soldi e andammo comprare una bustina d’eroina. Ci appartammo nel Bosco e ci bucammo.
Fu quella la prima e unica volta che provai il “buco”. I miei amici si meravigliavano di come mi bucai per una sola volta.
Dopo il buco mi ritirai a casa. Mi sdraiai sul letto. La mia testa sembrava girare come una trottola. La stanza sembrava un caleidoscopio, poi non ricordo più niente.
Per quella mia condizione mia madre piangeva e allo stesso tempo pregava per me.
Credo che il Signore ascoltava le preghiere di mia madre, perché ad un certo momento io cominciai a provare fastidio per la vita che stavo facendo. Gli insegnamenti che avevo avuto nella chiesa di Aprilia cominciarono a risalire alla mia mente. Una volta entrai di notte nel bosco di Capodimonte. Per farlo dovetti scavalcare un muretto perché il cancello era chiuso. Mi inginocchiai su un prato e alzai le mani al cielo invocando con tutto il mio cuore il Signore. Ero solo, se qualcuno mi avesse visto mi avrebbe preso per pazzo, ma io non badai a niente, avevo voglia di chiedere a Dio un aiuto. Anche se avevo frequentata la chiesa non avevo mai pregato in quel modo. Sentii la prima volta la presenza di Dio nella mia vita e cominciai a piangere come non avevo mai fatto. Fu una esperienza bellissima. Sentivo come se Dio mi avesse svuotato e liberato. Il giorno dopo, sono sicuro non fu per caso, incontrai un fratello che frequentava la chiesa di Secondigliano del pastore Michele Romeo, al quale mia madre aveva chiesto di pregare per me, che mi invitò a fare una preghiera nel retrobottega della sua salumeria che sveva sotto casa mia. Io ci andai volentieri e lì incontrai altri fratelli con i quali facemmo una preghiera. Da allora ho cominciato a frequentare la chiesa di Secondigliano. Dopo un po’ il Signore mi battezzò con lo Spirito Santo. Il 15 maggio del 1985 mi battezzai in acqua nel mare di Mergellina a Napoli. Anche quella fu una giornata indimenticabile. Scendemmo nelle acque battesimali 120 persone e “Il Mattino”, il giornale locale, ci dedicò anche un articolo. Da allora il Signore mi ha tanto benedetto. Sono stato da Dio completamente liberato e ha messo una pace nel mio cuore che solo Lui può dare. Dopo di me si battezzò anche mia madre, mia sorella e mio fratello. Oggi sono sposato con mia moglie e ho due figli. Nella mia casa grazie a Dio regna la pace.
Ringrazio il Signore e prego che questo mio scritto possa essere di aiuto a quanti leggono. Il Signore può liberare chiunque. Basta invocarlo con tutto il cuore confessandogli i propri peccati come feci io quella notte nel bosco. Gesù vi benedica.
Ciro Peluso
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