Ladi è una sopravvissuta a un campo di prigionia dei Boko Haram. Il suo racconto e quello di molte altre getta luce a una realtà di rapimenti di donne cristiane continua che sta minando la resistenza delle chiese nel nord della Nigeria. Porte Aperte è presente in quelle aree: sostenere queste chiese e curare i traumi delle famiglie è un nostro obiettivo.
La sedicenne Ladi Apagu è una delle tante cristiane rapite dai Boko Haram; quando l’abbiamo trovata a Yola ci ha spiegato che è stata rinchiusa in una casa-prigione per 4 mesi. Ha visto portare là donne ogni settimana. I combattenti hanno provatocon la forza a convertire Ladi all’islam, ribattezzandola Fatima, ma lei ha rifiutato e per questo è stata picchiata brutalmente per giorni. Non era l’unica a essere punita per aver disobbedito all’imam del campo in cui era detenuta. “Avevano prelevato una ragazza della città di Madagali per portarla in un luogo che chiamavano la Prigione. Quando l’hanno riportata tra noi, dopo sei giorni, era più sottomessa”, alludendo all’animo spezzato di quella ragazza, sottoposta a chissà quali torture e abusi.
Le gambe di Ladi sono sfregiate dai lividi delle percosse che ha subito in quella casa. Ma non porta solo le cicatrici fisiche. È ossessionata e traumatizzata dalle frequenti uccisioni che è stata costretta ad assistere degli uomini che si rifiutavano di aderire a Boko Haram. Un giorno di dicembre i rapitori hanno detto a Ladi e alle altre che avrebbero tutte sposato dei combattenti entro le successive 2 settimane. “Abbiamo gridato e supplicato, ma ci dissero che se non smettevamo di piangere, ci avrebbero uccise“. Hanno anche messo in guardia coloro che pensavano di fuggire dicendo: “Ovunque voi andiate, sia a Yola o altrove, vi seguiremo e vi uccideremo“.
Ladi era destinata a sposare uno dei combattenti, soprannominato “L’arabo”. Ma dopo un’angosciosa attesa di un paio di giorni, ha deciso di scappare con altre donne. Indossavano l’hijab per camuffarsi come le mogli dei Boko Haram e in un momento di distrazione delle guardie hanno scavalcato la recinzione. Hanno strisciato attraverso i cespugli e visto altre case nella zona, anch’esse utilizzate per tenere prigioniere delle donne. “Ho visto almeno 10 case simili a Gulak“, riferisce Ladi. Quando sono state intercettate dai Boko Haram lungo la strada, hanno avuto il sangue freddo di dire loro: “Siamo le mogli dei rijale“, gli uomini forti, come si definiscono i combattenti di Boko Haram, e le hanno lasciate andare. Dopo un pericoloso viaggio di una settimana sono arrivate a Yola, dove hanno trovato aiuto anche dalla nostra missione.
Porte Aperte Italia
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