Viviamo in un’epoca caratterizzata da analfabetismo religioso e tensioni fondamentaliste, dice il sociologo francese Jean-Paul Willaime, ma non stiamo andando verso una guerra delle religioni.
(Anne-Sylvie Sprenger) Secondo il sociologo emerito Jean-Paul Willaime, ex direttore dell’Istituto europeo di scienze delle religioni e attuale direttore degli studi alla École pratique des Hautes études, facoltà di scienze religiose, non stiamo andando verso una guerra delle religioni. Lo afferma in un libro di interviste (“La guerre des dieux n’aura pas lieu”), pubblicato dalle edizioni Labor et fides di Ginevra.
Negli ultimi quarant’anni il campo religioso è cambiato. Quali sono, secondo lei, gli aspetti più preoccupanti? Quali le sfide principali da affrontare?
Sono venute meno le risposte collettive alla domanda di senso, perciò spetta a ciascuno trovare la propria strada, fare le proprie scelte. Per farlo è necessario disporre di risorse sociali e culturali alle quali attingere e di ambienti in cui condividere interrogativi e ricerche. La situazione attuale genera precarietà simbolica e insicurezza culturale. Di fronte al vortice della globalizzazione alcuni credono – tanto in ambito politico quanto in ambito religioso – di poter trovare rifugio in universi di certezze e cittadelle identitarie.
Lei parla di un “analfabetismo religioso” che oggi si starebbe diffondendo. Quali rischi porta con sé questo fenomeno?
Il rischio dell’incomprensione di tutto un patrimonio architetturale, artistico, letterario, filosofico, di un universo culturale che ha contribuito a fare di noi ciò che siamo, a prescindere dalle pratiche o non pratiche religiose dell’uno e dell’altro. Per le generazioni che non hanno avuto una socializzazione cristiana, il cristianesimo appare oggi strano e poco comprensibile. C’è poi anche un analfabetismo esistenziale alimentato dal vagabondaggio: non si riesce a stabilizzarsi in un determinato mondo di senso. Alcuni reagiscono rivolgendosi agli universi fittizi forniti da internet, finendo per dare persino credito alle teorie del complotto.
Per le generazioni che non hanno avuto una socializzazione cristiana, il cristianesimo appare oggi strano e poco comprensibile
La laicità non è diventata a sua volta un’ideologia, addirittura un integralismo?
Alcuni hanno difficoltà ad abbandonare l’idea che la laicità implicherebbe l’invisibilizzazione del religioso, la sua relegazione nell’intimo della coscienza individuale e la pratica del culto all’interno degli edifici previsti a tale scopo. Identificando la religione con una realtà obsoleta e alienante il cui impatto dovrebbe essere limitato il più possibile, i militanti laici confondono la neutralità laica con la critica della religione. Vorrebbero laicizzare la società, cioè estendere la laicità alla società civile, al di là quindi delle istituzioni pubbliche e dei funzionari pubblici – dove essa è invece necessaria e pienamente legittima. È di fronte all’islam che sono venute a galla le aspirazioni a una maggiore laicità.
Lei parla, invece, di una “laicità inclusiva”. Quali sarebbero i suoi contorni?
La laicità che definisco “inclusiva” non scomunica socialmente i gruppi religiosi con il pretesto che sono religiosi, non rende illegittima la loro partecipazione all’azione pubblica; al contrario, accoglie i loro contributi nella misura in cui questi, nel rispetto della legge, sono in linea con gli interessi riconosciuti della vita collettiva e li rafforzano. Questa laicità inclusiva, lungi dal ritenere che bisogna prima di tutto premunirsi contro la religione, articola il principio di separazione e il principio di cooperazione nel rispetto dell’autonomia reciproca della sfera politica e di quella religiosa.
Ogni religione si troverà di fronte alla necessità di ripensare sé stessa in un quadro pluralistico.
Lei afferma che non stiamo andando versa “la guerra degli dèi”. Come mai secondo lei una guerra delle religioni non è destinata a realizzarsi?
Di fronte al terrorismo jihadista, ai fanatismi e ai nazionalismi religiosi – e penso a quelli cristiani, musulmani, ebraici, buddisti, indù – si può avere l’impressione di essere entrati in uno scenario di “scontro di civiltà” e di “guerra degli dèi”. Tuttavia, senza negare il triste quadro offerto dall’attualità religiosa in tutto il mondo, sostengo che la tendenza dominante, a lungo termine, è quella della secolarizzazione, con le religioni che perdono gradualmente la loro dimensione esclusiva e la loro pretesa di voler dettare legge su tutto. Con l’andar del tempo nessuna società sfuggirà alla secolarizzazione favorita dalla globalizzazione e dall’aumento del livello d’istruzione.
È dunque più probabile che sorgano tensioni fra credenti e atei?
Sì, innegabilmente. Potrebbero aumentare l’incomprensione e l’ostilità reciproca tra coloro che trovano un senso nella religione e gli atei convinti. Ravvivate dalle sfide bioetiche e tecnologiche – penso ad esempio al campo dell’intelligenza artificiale -, le tensioni non si produrranno tra le religioni, bensì tra le visioni religiose e quelle non religiose. Già oggi vediamo che le tensioni, all’interno di ogni mondo religioso, tendono a essere più accese tra i “liberali” e i “fondamentalisti”. Questo genera ecumenismi interreligiosi liberali ed ecumenismi interreligiosi fondamentalisti.
“Religions: lʹère des guerres intestines”, RTS Babel | Ascolta l’intervista con Jean-Paul Willaime
Lei è esperto di protestantesimo. Che cosa distingue oggi questa confessione dalle altre religioni?
Il protestantesimo ha spostato il luogo della verità dall’istituzione al messaggio. Così facendo ha desacralizzato la religione. Mediante questo spostamento degli accenti, il protestantesimo ha rappresentato un importante cambiamento nel modo di essere religiosi: ha sostituito gli oggetti, gli edifici e i luoghi sacri con i fedeli che leggono e meditano la Bibbia da soli e in assemblea. Il suo capitale principale, per far vivere il corpus di senso e di speranza di cui è depositario, più che nell’istituzione e nel rito è nella sua base sociale. Sta in ciò la sua grandezza e la sua fragilità.
Il protestantesimo ha un ruolo specifico da svolgere nella società odierna?
Il protestantesimo continua a incarnare un modo di essere religiosi che si inserisce positivamente nella modernità. L’accesso delle donne al ministero pastorale e alle cariche direttive della chiesa ne costituisce un buon esempio. L’importanza delle opere educative e sociali del protestantesimo è un altro esempio. Di fronte alla crisi profonda che il cattolicesimo sta vivendo e senza minimizzare le potenti risorse che esso ha per riformarsi – in un contesto in cui le istituzioni centralizzate e verticali vengono messe in discussione a vantaggio di reti policentriche e orizzontali -, i modi protestanti di vivere il cristianesimo possono risultare oltremodo interessanti. Ma in materia di comunicazione, specialmente attraverso tutte le arti visive, mi sembra che il protestantesimo denoti dei ritardi. (da ProtestInfo; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)
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