Un monitoraggio ha permesso di leggere i dati e le proposte diffuse dal governo, scoprendo che molte cose sono andate storte. Intervista a Michele Tiraboschi (Adapt).
Più di mezzo milione (560 mila) di giovani italiani fino ai 29 anni si sono iscritti nell’ultimo anno a Garanzia giovani. Di questi solo ad un parte irrisoria (80 mila) è stata garantita una risposta: un lavoro, o un tirocinio o un percorso di formazione. «Le istituzioni europee e poi il governo italiano hanno scelto uno slogan molto forte per questo programma. Per la prima volta non solo si parlava, come spesso accade, di giovani, ma di “garanzia” sottolineando che lo scopo è dare al giovane che si iscrive, entro quattro mesi, un contratto o un tirocinio o in alternativa almeno un percorso di formazione e di riqualificazione professionale. Tutto ciò, però, non è accaduto», spiega a tempi.it Michele Tiraboschi, giuslavorista e direttore del centro studi Adapt-Marco Biagi, che ha monitorato in questo periodo l’andamento del piano insieme al sito repubblicadeglistagisti.
Questo monitoraggio informale ha permesso, per la prima volta, di andare oltre le statistiche pubblicate dal governo ogni settimana sul sito di Garanzia giovani, e di ascoltare la voce di tremila giovani che hanno effettivamente aderito: un piccolo campione, ma rappresentativo. Ragazzi da tutt’Italia hanno raccontato cosa è successo dopo che si erano iscritti al sito e così è emerso che neanche i più fortunati che sono riusciti ad essere chiamati ad un colloquio hanno poi avuto davvero alcuna “garanzia”. Il 39 per cento dei partecipanti al monitoraggio ha raccontato che durante il colloquio non ha ricevuto nulla di concreto, e il 44 per cento solo «un generico riferimento a offerte di lavoro future o di stage».
Tiraboschi qual è il bilancio che fa di questo programma ad un anno dall’attivazione?
I giovani ne emergono allo stesso tempo come vincitori e sconfitti. Vincitori perché il numero dei ragazzi iscritti è imponente, moltissimi di loro hanno voluto credere alle istituzioni malgrado l’opinione pubblica li consideri come i più diffidenti e sfiduciati verso la politica. Hanno creduto nella promessa che sarebbe stata data una risposta. Sono stati sconfitti. La maggior parte non ha avuto nemmeno la presa in carico né un colloquio. In 270 mila hanno solo fatto un colloquio e sono rimasti in attesa di un lavoro, e solo pochissimi, in 80 mila, hanno ricevuto una proposta concreta. È una grande sconfitta anche per le istituzioni perché, a fronte di un gesto di fiducia, in seguito ad una promessa chiara, una eventuale mancata presa in considerazione genera sconforto anche in coloro che, al contrario di molti coetanei, non si erano arresi o sdraiati. E il 72 per cento dei tremila ragazzi che sono stati “monitorati” era già impegnata attivamente nella ricerca di un lavoro.
Cosa l’ha più colpita di quanto emerso da questo monitoraggio informale che avete condotto?
Anzitutto che l’immagine del giovane apatico e passivo non descrive davvero gli under 30 italiani. Questi ragazzi si aspettavano davvero che le istituzioni dimostrassero loro che non erano da soli nella lotta alla disoccupazione. In realtà, molti dei tremila intervistati ci hanno raccontato la sostanziale inerzia dei servizi all’impiego, che spesso suggeriscono direttamente di “cercarsi da soli” le opportunità (di stage o di lavoro) e poi ripresentarsi allo sportello per farle “vidimare” (per l’ottenimento degli incentivi economici). Ho poi verificato la raccolta di offerte di lavoro pubblicate dal governo sul sito di Garanzia giovani e abbiamo scoperto che si tratta spesso di offerte non indirizzate davvero ai giovani perché, ad esempio, si cerca un «capocantiere con dieci anni di esperienza». In moltissimi altri casi si tratta di offerte di lavoro dipendente “taroccate”, spacciate per tirocini: “cerco aiuto commessa”, “cerco imbianchino”. Insomma: lo Stato paga per un’offerta di lavoro finta, e la pubblica persino sul sito. Sembra una presa in giro ulteriore. Noi di Adapt la denunciamo da quattro mesi, ma il ministero del Lavoro non sembra interessato a verificare. È una cosa scandalosa, i nostri giovani non meritano tutto questo.
Oltretutto, a fronte di mezzo milione di giovani iscritti, sono proposte solo 80 mila offerte di lavoro. Questa discrepanza è lo specchio della crisi delle politiche attive in Italia?
Sì, assolutamente. La scusa che c’è la crisi e non c’è lavoro non regge. In primo luogo perché il ministero non dovrebbe pubblicare offerte di lavoro taroccate, in secondo luogo perché le Regioni non stanno chiamando i giovani che si sono iscritti nemmeno a fare un colloquio, in terzo luogo perché non ci sono prese in carico né c’è una reale pianificazione del percorso da offrire ai ragazzi. È il ritratto del fallimento delle politiche attive attuali, perché è del tutto mancata la programmazione da parte delle istituzioni e persino la capacità di cercare e proporre vere offerte di lavoro. È urgente prendere atto di queste criticità e far il possibile per invertire la rotta. In questo potrebbe essere alleato il decreto del Jobs act sulle politiche attive.
Come?
Il governo ha svolto il ruolo più “facile”: ha liberalizzato le assunzioni e i licenziamenti. Ora però dovrebbe attuare la seconda parte del Jobs act, quella delle politiche attive, cioè permettere che in Italia ci sia un vero percorso di offerta del lavoro, di confronto tra formazione, università e mercato. Un momento di incontro che è molto diffuso anche nel Nord Europa. I nostri giovani finiscono l’università o la scuola, ma poi restano soli nel cercare un impiego, per cui al massimo utilizzano il passaparola o la raccomandazione. Invece un sistema di politiche attive avvicina le imprese alle scuole e università, prevedendo già nei percorsi formativi momenti di tirocinio, e poi uffici che siano capaci già nelle scuole di prendersi in carico gli studenti.
Foto lavoro da Shutterstock
Chiara Rizzo
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