Nelle società più “inclusive” migliora la salute mentale delle persone Lgbt?

Jennifer Roback Morse, fondatrice e presidente del Ruth Institute, che aiuta coloro che si sentono vittime della rivoluzione sessuale a ritrovare la felicità perduta e a diventare protagonisti di un cambiamento positivo, ha pubblicato sul National Catholic Register un articolo che vuole rispondere alla seguente domanda: i cambiamenti sociali degli ultimi 30 anni hanno effettivamente migliorato la salute mentale e il benessere delle persone Lgbt che soffrivano per mancanza di inclusione, omofobia, ecc.?

Nessun ricercatore serio, dice la dottoressa, nega che i tassi di disagio psicologico siano più alti per gli uomini gay e le donne lesbiche rispetto al resto della popolazione. In particolare soffrono in grado maggiore per abuso di sostanze, disturbi affettivi, disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, autolesionismo, disturbi alimentari e tendenze suicide. Secondo molti tale disagio è causato dalla “teoria dello stress delle minoranze”: la discriminazione ingiusta. La correlazione è ovvia: i bambini che vengono bullizzati o picchiati hanno più probabilità di essere depressi rispetto ai bambini che non lo sono. Perciò, secondo il mainstream, una società più gay-friendly dovrebbe portare a un miglioramento del benessere delle persone con tendenze omosessuali, e quindi in definitiva un miglioramento del benessere della società.

Ci sono però diverse indagini statistiche citate dalla dottoressa Roback Morse, condotte in Paesi decisamente gay-friendly, che smentiscono tale conclusione.

L’accettazione sociale del comportamento omosessuale è aumentata notevolmente negli ultimi 30 anni. In tutto l’Occidente – e non solo – sono state introdotte le unioni civili e anche nei Paesi che non le riconoscono come “matrimonio gay” (per es. l’Italia), di fatto gli uniti civilmente sono considerati “marito e marito” oppure “moglie e moglie”. Anche nei Paesi dove non esistono vere e proprie leggi bavaglio “anti-omofobia”, nei posti di lavoro, nelle pubbliche amministrazioni e soprattutto attraverso gli schermi (film, telefilm, pubblicità, talkshow, ecc.) i rapporti omosessuali sono ormai “normalizzati”, tanto che sono davvero pochi ad aver ancora il coraggio di dire che i rappporti erotici tra persone dello stesso sesso sono contro natura.

Eppure, il benessere delle persone Lgbt non è aumentato. Anzi.

Paesi Bassi, per esempio, sono ampiamente riconosciuti come uno dei paesi più “gay-friendly” del mondo: hanno introdotto il “matrimonio” gay nel 2001. Eppure il team di ricercatori olandesi che ha esaminato parametri di salute mentale, tra cui disturbi d’ansia, fobie, abuso di sostanze, depressione e disturbo bipolare in uno studio del 2001 (dati raccolti nel 1996) e li ha confrontati con i dati raccolti nel 2007 – 2009, in un secondo studio del 2014 concludono che «non si sono verificati cambiamenti significativi nel tempo»  nella disparità di salute tra eterosessuali e omosessuali.

Un altro studio del 2022 su donne che hanno cambiato orientamento sessuale è stato condotto in Australia, altro paese “gay-friendly”. La conclusione: «Il disagio psicologico aumenta quando le donne cambiano il loro orientamento allontanandosi dalla norma eterosessuale e diminuisce quando abbandonano l’omosessualità e ritornano etero».

Ma lo studio più triste, secondo  la dottoressa Roback Morse, è un’analisi condotta da ricercatori (pro-gay), che utilizzano dati del Williams Institute (pro-gay), ospitato presso l’UCLA. Il “Generations Study” delinea diverse “generazioni”, che hanno vissuto diversi momenti “chiave” nel grado di accettazione sociale.

La “Pride Cohort”, per la quale la rivolta di Stonewall è stata l’evento determinante, sono i  nati tra il 1956 e il 1963 che avevano tra i 52 e i 59 anni al momento dell’indagine.

La “Visibility Cohort” è nata tra il 1974 e il 1981. L’HIV-AIDS è stato l’evento determinante della loro generazione.

La “Equality Cohort”, infine, è la generazione più giovane, nata tra il 1990 e il 1997, che ha assistito alla legalizzazione del “matrimonio” gay.

Lo studio esamina il tasso di suicidi o tentati suicidi e il disagio psicologico tra uomini e donne. Questi grafici pubblicati dalla Roback Morse illustrano i risultati che oseremmo definire tragici: le nuove generazioni stanno molto peggio di quelle più vecchie. I ricercatori concludono che c’è «poca differenza nell’esperienza dello stress delle minoranze tra i gruppi» e «non c’è nessun miglioramento percepibile nello stress delle minoranze e nella salute delle minoranze sessuali».

Non possiamo non concludere, d’accordo con la dottoressa Roback Morse, che il sesso biologico per la persona è davvero importante. L’idea che dei nostri corpi sessuati possiamo fare ciò che vogliamo è sbagliata e porta a comportamenti e stili di vita che causano infelicità personale e problemi sociali.  «Questa conclusione è ampiamente coerente con il dato naturale (e l’insegnamento costante della Chiesa) secondo cui l’eterosessualità è, osiamo dirlo, normativa».

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