Uno studio pubblicato sulla rivista ‘Scandinavian Journal of Work Environment and Health’, firmato dai ricercatori italiani dell’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (Ispo), dell’Asl e dell’Università di Firenze, rivela che c’erano fibre di amianto nella famosa pasta per modellare conosciuta col nome di Das e prodotta dalla ditta Adica Pongo di Lastra a Signa, chiusa dal 1993.
Secondo la ricostruzione dei ricercatori, “55 milioni di confezioni di ‘Das’ contenenti amianto sono state prodotte e vendute sul mercato interno e internazionale in 13 anni, con un numero di utenti nell’ordine dei milioni”.
“Lanciamo un forte appello alle autorità affinché vengano effettuati test accurati su articoli di importazione, tra cui i giocattoli, quando provengano da Paesi in cui l’amianto non è ancora vietato”, avverte Stefano Silvestri, Igienista del Lavoro dell’Ispo di Firenze.
“Dato che il ‘Das’ e stato commercializzato in Italia ed esportato in altri paesi europei – sottolineano gli autori dello studio – i nostri risultati suggeriscono che ai pazienti affetti da mesotelioma che non riferiscono di essere stati esposti ad amianto per motivi professionali, dovrebbero essere chiesto se in passato hanno usato il ‘Das’. Questa scoperta dimostra che gli usi dell’amianto nel passato non sono stati ancora del tutto chiariti e che non vi erano limiti al suo impiego, essendo presente persino nei giocattoli”.
Oltre alla sua commercializzazione come giocattolo, il ‘Das’ e stato utilizzato come strumento di insegnamento nelle scuole, ma anche da artigiani, restauratori di ceramica e artisti.
Per i primi tre anni, ‘Das’ è stato commercializzato in polvere da miscelare con acqua e successivamente in pasta pronta all’uso. Dal 1976 in poi l’amianto fu sostituito con la cellulosa. “Tuttavia – riporta lo studio – è possibile che qualcuno possieda ancora manufatti modellati tra il 1960 e il ’70, ma questi articoli non rappresentano un rischio per la salute di chi li possiede. Viene comunque raccomandato di non rompere tali oggetti e, in particolare, di non ridurli in polvere, perché le fibre di amianto potrebbero ancora disperdersi in aria con il rischio di essere inalate”.
La ricerca è stata resa possibile grazie al contributo fornito da alcuni ex dipendenti di Adica Pongo a Lastra a Signa (Firenze). Inoltre, i ricercatori sono riusciti a reperire le fatture dell’acquisto dell’amianto, oggi depositate nell’Archivio di Stato di Torino insieme alla documentazione del produttore, l’Amiantifera di Balangero. Sofisticate analisi di laboratorio sui prodotti originali hanno confermato la presenza della sostanza. (Adnkronos)
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