Con l’intensificarsi del conflitto nel Nagorno-Karabakh (regione del Caucaso meridionale), i cristiani dell’Armenia e dell’Azerbaigian chiedono di essere sostenuti in preghiera. Anche se non parlano la stessa lingua e vivono in due Paesi differenti, condividono la stessa fede e fanno parte di una stessa famiglia. Essi sono coinvolti però in un conflitto storico: il controllo del territorio di Nagorno-Karabakh.
Prima il Covid-19 poi la guerra
Prima la crescente diffusione del Covid-19 ha alimentato quarantene molto rigide, ora l’escalation di violenza a motivo del conflitto contribuisce a rendere la stabilità nei due Paesi sempre più precaria.
Il livello di sofferenza della popolazione è palpabile:
- In Armenia è stata varata la legge marziale e tutti gli uomini sotto i 55 anni possono essere chiamati alle armi, tra loro anche i cristiani come Peter*, marito di 45 anni e padre di 3 figli, o come alcuni giovani studenti cristiani impegnati nell’evangelizzazione all’interno delle università locali, membri dei Gruppi biblici Universitari. “Il mio cuore è stato travolto quando, entrando in una chiesa, ho visto una grande quantità di persone. C’erano anziani che pregavano per i loro nipoti e donne che intercedevano per i loro mariti”, ha detto un cristiano della città di Yerevan, capitale dell’Armenia.
- In Azerbaigian i cristiani soffrono di una cattiva reputazione a causa del modo con cui i media locali li descrivono. “Nemici dello Stato”, è così che vengono definiti. Nella società azera, di lingua turca e prevalentemente musulmana, molti sostengono che i cristiani siano traditori che collaborano con l’Armenia cristiana.
Strumenti di pace
Che si tratti di armeni o di azeri, i cristiani chiedono di essere sostenuti in preghiera affinché la luce di Cristo brilli in mezzo alle tenebre, nella speranza che i due Paesi giungano ad un accordo di pace.
“Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio”, ha detto Gesù.
*pseudonimo
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