Elham Manea è una delle voci più coraggiose e brillanti dell’islam contemporaneo. Da anni si batte per una riforma dell’islam dall’interno che trova come punto di partenza una profonda dell’islam politico a favore di un islam del singolo e dell’essere umano.Elham Manea ha la doppia cittadinanza, yemenita e svizzera. È politologa, scrittrice e attivista per i diritti umani. Attualmente è professore associato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Zurigo e consulente del governo svizzero e di organizzazioni internazionali per i diritti umani.
È una delle principali sostenitrici della causa del giovane blogger saudita Raif Badawi, condannato a dieci anni di carcere e a mille frustate per avere fondato un sito di intellettuali liberali nel proprio paese.
È attiva su twitter @ElhamManea.
L’articolooriginale inglese “Time to face the ISIS inside us” – che qui pubblichiamo – è stato scritto per il sito della Global Minorities Alliance.
(V.C.)
«Noi siamo l’ISIS».
Un’affermazione sorprendente? Tuttavia questo è il titolo di un articolo scritto dall’ex ministro kuwaitiano dell’Informazione, Saad bin Tafla al Ajami, pubblicato dal quotidiano qatariota Al Sharq il 7 agosto 2014. L’articolo non celebrava lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) né le atrocità che quest’ultimo sta commettendo contro i civili e le minoranze in Iraq e Siria.
L’autore ricordava che l’ISIS, seppur condannato dalla maggioranza dei musulmani, è il prodotto di un discorso religioso islamico che ha dominato la nostra sfera pubblica negli ultimi decenni – un discorso diffuso e ricorrente! L’ISIS «non è arrivato da un altro pianeta», ha affermato al Ajami. «Non è un prodotto dell’Occidente infedele o di un Oriente dei tempi che furono», ha ribadito.
No. «La verità che non possiamo negare è che l’ISIS ha studiato nelle nostre scuole, ha pregato nelle nostre moschee, ha ascoltato i nostri mezzi di comunicazione … e i pulpiti dei nostri religiosi, ha letto i nostri libri e le nostre fonti, e ha seguito le fatwe (responsi religiosi) che abbiamo prodotto».
Ha ragione. Sarebbe facile continuare a insistere che l’ISIS non rappresenta i corretti precetti dell’islam. Sarebbe molto facile. Ebbene sì, sono convinta che l’islam sia quel che noi, esseri umani, ne facciamo. Ogni religione può essere un messaggio di amore oppure una spada per l’odio nelle mani del popolo che vi crede.
Ciononostante, resta il fatto che le azioni di ISIS sono ideologicamente veicolate ormai da molto tempo: nelle moschee che maledicono i “cristiani-crociati”, gli “ebrei” e gli “infedeli” in ogni sermone del venerdì. Con religiosi che ci salutano quotidianamente dai loro programmi televisivi e che predicano un messaggio di odio e intolleranza contro l’«altro», indipendentemente da chi sia questo «altro». Nelle scuole che ci insegnano che la pena per chi abbandona l’islam per un’altra religione è la morte; che i cristiani e gli ebrei sono “popoli protetti”, che dovrebbero pagare una tassa per essere lasciati in pace mentre in caso contrario la guerra li attende. Il destino degli appartenenti alle “altre religioni” invece è un non detto, ma noi sappiamo leggerlo tra le righe. Durante queste lezioni non ci hanno mai insegnato che un cittadino ha il diritto di scegliere la propria religione oppure che un cittadino è uguale davanti alla legge, indipendentemente dalla religione o dal credo.
L’ISIS è il prodotto del nostro discorso religioso, un discorso diffuso. È prodotto di un processo politico che è iniziato con la nascita dell’ideologia dell’islam politico, propagato a partire dal 1973 grazie ai soldi del petrolio delle monarchie del Golfo e proseguito con la rivoluzione iraniana del 1979.
Si tratta di un prodotto di una strategia politica. Capi di Stato sfruttano il fenomeno dell’islam politico, appoggiano alcuni gruppi islamici piuttosto che altri e intessono alleanze politiche con loro. Il loro fine è politico: legittimare il loro potere attraverso la religione e/o delegittimare quella dei loro oppositori. Siffatta alleanza machiavellica ha un prezzo. In cambio del sostegno, i gruppi islamici sono autorizzati a monopolizzare il discorso religioso con la loro ideologia di odio, esclusione e intolleranza – moschee, mezzi di comunicazione e scuole diventano il terreno fertile per diffondere la loro ideologia.
È il prodotto di un fallimento politico. Gli Stati non riescono a mantenere fede alla loro parte del contratto sociale, non sono in grado di garantire ai propri cittadini il minimo di assistenza per quanto concerne la salute, l’istruzione e le esigenze sociali. I gruppi islamisti, pieni di soldi, colmano il vuoto, con servizi impacchettati nella loro visione ideologica del mondo.
Sarebbe facile continuare a sostenere che l’ISIS è il prodotto di una cospirazione esterna. Ma anche se sotterriamo la testa sotto la sabbia non possiamo celare e negare il fatto che l’ISIS è proprio un nostro prodotto. Siamo noi che lo abbiamo distribuito. Eppure ci stupiamo che si sia impossessato delle parole del nostro discorso religioso, alla lettera. Davvero?
Se non riconosceremo la nostra responsabilità, tutto andrà avanti come sempre. Le moschee continueranno a maledire gli ebrei, i cristiani e i miscredenti ogni venerdì. I predicatori continueranno a salutarci con il loro messaggio d’intolleranza. Le scuole continueranno a insegnarci che la religione è il marcatore principale dell’identità e della cittadinanza.
Fermatevi un istante e riflettete. Chiedetevi: quante donne sono state uccise di recente in nome della nostra religione? Quanti pakistani cristiani o appartenenti agli ahmadiyya sono stati presi di mira ultimamente? Quante chiese sono state attaccate in Indonesia e Nigeria? Quanti egiziani copti sono stati allontanati dai loro villaggi? Quante loro case e negozi sono stati dati al fuoco? Quanti sunniti stanno uccidendo sciiti? Quanti sciiti stanno uccidendo sunniti? Quanti bahai sono stati brutalmente repressi in Iran? E quanti cittadini britannici hanno aderito all’ISIS?
Sarebbe più facile voltarsi dall’altra parte. Sarebbe più facile. Ma se continuiamo a biasimare gli altri, se continuiamo a non agire e a tacere, siamo noi, noi e nessun altro, che stiamo lasciando che la nostra religione sia letteralmente sequestrata da questa interpretazione fondamentalista dell’islam.
L’ISIS è dentro di noi. Ed è giunto il momento di affrontare l’ISIS che è dentro di noi.
(Traduzione di Valentina Colombo)
di Elham Manea
Tratto da: http://www.lanuovabq.it/
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