Il “modello di integrazione Riace” continua ad essere esaltato sui principali media, e non importa se vengono violate le leggi e sfidato il buon senso. L’importante è che sia “a fin di bene”. Nessuno che si soffermi a riflettere invece sull’ingiustizia di un sistema assistenziale che costa miliardi di euro ogni anno, risorse stornate da servizi sociali ed emergenze, e che neanche ottiene lo scopo di una vera integrazione.
Il “modello di integrazione Riace” funziona e se ci sono state irregolarità nella gestione dei fondi, se si è ricorso a degli espedienti per prolungare la permanenza nello Sprar dei titolari di protezione internazionale, se delle leggi e delle norme sono state sistematicamente violate non importa. La disinvolta accoglienza “modello Riace” è “a fin di bene”. È questo il mantra che viene rilanciato ovunque in questi giorni.
Il Gip ha dichiarato, parlando del suo “ideatore”, il sindaco Domenico Lucano: “l’indagato vive oltre le regole, che ritiene d’altronde di poter impunemente violare nell’ottica del ‘fine giustifica i mezzi’”. Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, gara illecita per il servizio di raccolta dei rifiuti, organizzazione di matrimoni di convenienza tra cittadini riacesi e donne straniere senza protezione internazionale, uso di ingenti somme di denaro difforme rispetto alla loro destinazione, numeri delle presenze nello Sprar falsati… questo e altro: si saprà meglio nei prossimi giorni l’esito dei 18 mesi di indagini che hanno portato prima a sospendere l’erogazione dei finanziamenti allo Sprar di Riace e poi all’arresto del sindaco Lucano.
Ma intanto c’è chi continua a sostenere che un così bel modello di integrazione non andrebbe comunque smantellato. Le motivazioni di un giudizio così positivo? I mass media ne citano in abbondanza. “Ai migranti accolti sono offerti progetti formativi che permettono di ottenere una professione a loro congeniale”. “Vengono rinnovati dei mestieri preesistenti come la filatura della ginestra che provengono dall’antica Grecia e che altrimenti andrebbero persi per sempre”. “C’è stata una spinta all’economia locale con 50 persone stipendiate come le maestre cha fanno corsi di italiano per gli immigrati adulti. Oggi anche il loro futuro è appeso a un filo”. La parola “virtuoso” ricorre spesso: virtuoso il modello, “positivo, che piace”, virtuose le botteghe in cui gli emigranti imparano un mestiere… Per contro, il provvedimento del ministero dell’Interno è degno di un regime totalitario, denunciano i Verdi, e la Cgil Calabria commenta che interrompere “un percorso d’integrazione e di formazione” è “un fatto grave, disumano, un colpo alla Calabria, al Paese e all’Europa dei popoli”.
L’accoglienza disinvolta del modello Riace è anche spensierata. Amministra e spende spensieratamente denaro pubblico senza curarsi di renderne conto, senza pensare che ogni giorno in più all’interno dello Sprar costa ai contribuenti, che gli stipendi delle 50 insegnanti che insegnano italiano e di tutte le altre persone che assistono, formano e, secondo loro, integrano gli emigranti sono pagati con denaro pubblico, che i progetti formativi e i laboratori per apprendere mestieri vecchi e nuovi costano anche loro e raramente l’esito per chi li frequenta è un posto di lavoro o una attività regolari e rimunerative.
Se, come è stato disposto, gli emigranti saranno trasferiti entro 60 giorni, “decine e decine di persone perderebbero il posto di lavoro, con case che verrebbero chiuse, con commercianti che non vedranno un centesimo dei soldi che hanno anticipato – spiega Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione – c’è un’enormità di conseguenze che colpiscono persone ingiustamente”.
Non gli viene in mente invece l’ingiustizia di un sistema assistenziale che complessivamente costa miliardi di euro ogni anno, risorse stornate da servizi sociali ed emergenze, creato dal nulla per “accogliere” persone venute da lontano, quasi tutte mentendo sui motivi che le hanno spinte a lasciare i loro paesi e ricorrendo a organizzazioni criminali di contrabbandieri e trafficanti per raggiungere la meta.
Per l’esattezza, anzi, si tratta di un sistema multimiliardario che serve più a respingere che ad accogliere. Innanzi tutto il 60% delle richieste di asilo vengono infatti respinte. A settembre, ad esempio, le commissioni territoriali hanno esaminato 9.348 richieste e hanno concesso lo status giuridico di rifugiato al 7% dei richiedenti, protezione sussidiaria al 4% e permesso di soggiorno per motivi umanitari al 17%. Il 71% delle richieste non sono state approvate. Ma tutti i 9.348 gli emigranti sono stati assistiti per mesi, anni, in attesa di conoscere la risposta alle loro richieste e continueranno a esserlo tutti quelli che ricorreranno contro l’esito negativo approfittando del gratuito patrocinio.
Merita ricordare che si chiamano Sprar le strutture in cui si realizza la seconda accoglienza ai richiedenti asilo. La prima accoglienza, dopo gli hotspot in cui si svolgono le operazioni di soccorso e assistenza sanitaria al momento della sbarco, di preidentificazione e informazione sulle procedure di asilo, è fornita dai Cara, Centri di accoglienza per richiedenti asilo, e dai Cas, Centri di accoglienza straordinaria. Lì soggiornano gli emigranti illegali che chiedono asilo fino alla sentenza definitiva. Se ottengono una forma di protezione internazionale passano agli Sprar incaricati di assisterli nel raggiungimento di autonomia individuale e integrazione con l’attivazione di specifici progetti territoriali. Il soggiorno ha la durata massima di un anno: sei mesi prorogabili.
Lo Sprar in realtà non realizza la sua funzione, tanto meno il modello Riace: ecco dove l’apparato miliardario di accoglienza fallisce. Chi esce dallo Sprar difficilmente trova un lavoro, una occupazione regolare che lo renda davvero autonomo: prima condizione di autentica integrazione.
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