…MANGIAMO E RALLEGRIAMOCI, PERCHÉ QUESTO MIO FIGLIO ERA MORTO ED É TORNATO IN VITA, ERA PERDUTO ED É STATO RITROVATO”.
LA PARABOLA DEL FIGLIO PRODIGO O DEL PADRE MISERICORDIOSO (LUCA 15:11-32)
La letteratura mondiale consegna oggi all’uomo migliaia e migliaia di pagine di raffinata e sublime bellezza narrativa sul mistero dell’uomo, sull’universo e sul mistero di Dio. Di certo, una di questi pregiati e preziosi documenti letterari è la parabola evangelica del Figlio perduto, la quale parabola ha impegnato pittori, drammaturghi e musicisti nel renderla plasticamente più avvincente.
E’ di grande fattura artistica il quadro del pittore olandese Van Rijn Harmenszoon Rembrandt(1606-1669), titolato “Il Ritorno del Figliol Prodigo”. E’ un dipinto ad olio , databile nel 1668 e conservato nel Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo. La scena, che è raffigurata, riguarda il perdono del Padre in seguito al pentimento del figlio per la propria condotta irriverente, indossando indumenti logorati, ai piedi dell’anziano padre, che lo accoglie amorevolmente. Sulla destra si scorgono tre figure, una dei quali è identificata con il figlio maggiore, su cui traspare una luce più vivida rispetto alle altre due figure non identificate. Il particolare che incuriosisce l’osservatore è che il padre posa le sue mani sulle spalle del figlio, mani diseguali, una maschile e una femminile, quasi a rappresentare Dio come Padre e come Madre.
La parabola del Figliuol Prodigo è un testo evangelico presente solo nell’evangelo di Luca. Fa parte di un ciclo di tre parabole, che narrano oggetti, animali e persone che sono perduti e poi ritrovati.
Essa è una storia elaborata, tesa a catturare l’attenzione dei lettori-uditori per suscitare una accurata riflessione sulla benevolenza di Dio. Il titolo risalente nell’epoca patristica , può essere ragionevolmente modificato con il seguente: la parabola del Padre Misericordioso. Ci si domanda: “Perché Gesù racconta questa parabola toccante le corde più nascoste del nostro essere? All’inizio del capitolo 15 Luca esordisce con questo antefatto: “Ora tutti i pubblicani e i peccatori si accostavano a lui per udirlo. E i farisei e gli Scribi mormoravano, dicendo: costui accoglie i peccatori e mangia con loro” (Lc 15:1-2)
La parabola può essere considerata come una vivida risposta di Gesù alla protesta dei Farisei per la sua amicizia con i pubblicani e i peccatori: i Farisei nutrivano un’aspra avversione per Gesù, considerato un pericoloso sovvertitore dell’ordine sociale della comunità ebraica, basata sulla punizione e sull’esclusione dei peccatori dalla comunità religiosa e sociale.
Se vogliamo sbizzarrirci nel considerare la parabola letterariamente come un brevissimo lavoro teatrale, possiamo dividerla in tre parti o sezioni:
Atto Primo: La partenza del Figlio minore e la sua conseguente rovina (Lc 15: 11-19)
Atto Secondo: Il ritorno del figlio minore a casa e la benevola accoglienza del padre(Lc 15:20-24)
Atto Terzo: Il ritorno del figlio maggiore dai campi e la sua aspra invettiva contro il padre(Lc 15: 25-32)
Il protagonista di questo dramma teatrale è il padre. Egli anima lo svolgersi degli avvenimenti, delle azioni e delle reazioni. Il suo discorso (Lc 15: 27,31) fornisce la chiave interpretativa della parabola.
La parabola del Figlio Prodigo o del Padre Misericordioso è un racconto di ampio respiro, si è di fronte a un episodio insolito, sebbene possibile. La storia è drammaticamente avvincente. Chi ascolta o legge non può non partecipare a questo dramma familiare, in cui il padre, dialogando con i figli, cerca di mettere in ordine i loro rispettivi ruoli all’interno della famiglia.
ATTO PRIMO: PARTENZA E ROVINA DEL FIGLIO MINORE (Lc 15:11-19).
L’inizio del racconto pone in risalto la caparbia volontà del figlio minore di lasciare la casa paterna e partire per un “un paese lontano”. Per fare questo hai bisogno di contanti: egli chiede al padre la sua parte di eredità. Nel mondo antico, come anche in quello moderno, l’eredità si ottiene per via testamentaria dopo la morte del testatore. Nel diritto giudaico la legislazione che disciplina la materia di successione si trova in Nm 27:8-11; 36:7-9; Deut. 21:15-17. Sembra che non vi sia alcuna testimonianza nota che potesse gettare luce su una proceduta di successione prima della morte del possessore, sebbene fosse possibile che un genitore agiva in siffatta maniera. La richiesta del figlio minore appare irriverente, equivale a desiderare la morte del padre. Inoltre, veniva meno l’obbligo di accudirlo nella vecchiaia(Es. 20:12; Deut. 5:16) in un’epoca dove mancavano forme assistenziali per gli anziani ed essi dovevano vivere con il patrimonio a loro disposizione: il figlio disattende il suo dovere filiale di onorare il padre e la madre. La legge di successione nella giurisprudenza ebraica stabiliva che due terzi dei beni posseduti dal padre spettavano al figlio maggiore e un terzo al figlio minore. Nella parabola il padre divise i suoi beni tra i due figli, sebbene non fosse obbligato a farlo.
E’ verosimile che nella parabola il Figlio converta in denaro la terra avuta in eredità, sebbene una clausola stabilisse che il figlio poteva vendere la terra, ma il nuovo proprietario non può usufruire della terra finché il possessore è in vita. Il padre continua ad essere proprietario della parte destinata al figlio maggiore.
Probabilmente ciò che muovo il figlio minore a lasciare la casa paterna è il desiderio di costruire una esistenza autonoma all’estero. Infatti, ai tempi di Gesù molti giovani ebrei emigravano per la precarietà dell’economia palestinese.
La richiesta del figlio non deve essere necessariamente considerata un atto di rivolta dettata da un desiderio di libertà ingiustificata, senza escludere il desiderio di avventura vagheggiata dal figlio minore. Certamente, la sua disgrazia inizia proprio nel “paese lontano” dove dilapida i suoi averi , vivendo disordinatamente e sregolatamente . Perdendo il suo patrimonio, si trova nel bisogno. La situazione si aggrava con il sopraggiungere di una carestia. Si impiega presso un allevatore di porci, perdendo anche la sua purezza religiosa, oltre ad avere perso la sua identità familiare ed etnica, essendo costretto a pascolare i porci di un pagano. Vive una precaria situazione di sopravvivenza, cibandosi di carrube. Il figlio minore precipita negli abissi infernali della disperazione. Prende coscienza del suo tragico stato di degrado morale e spirituale, inizia a risalire. Vuole tornare a casa. Il suo monologare con se stesso è uno strumento letterario di Gesù,teso a far pensare gli ascoltatori, i quali conoscevano bene il detto rabbinico: “quando gli Israeliti sono ridotti a mangiare carrube, allora si pentono” oppure “quando un figlio va a piedi scalzi si ricorda delle comodità della casa paterna”.
Cosa significa “tornare in sé”?) si può pensare subito alla conversione. Ma Luca non usa la parola “metanoia”: sembra che nell’animo del figlio vi sia un graduale movimento di ripensamento e di riflessione introspettiva che porta al pentimento. Si ricorda che i servi salariati del padre hanno cibo in abbondanza. Questi servi salariati non sono altro che lavoratori a giornata senza un contratto di lavoro continuativo. Egli sarebbe disposto ad essere un lavoratore ad ore, purché esca fuori da quell’orribile degrado in cui è caduto.
Il discorso che medita nel suo cuore fa pensare che il ragazzo si è ravveduto: l’espressione “ho peccato” riecheggia nel Salmo 51:6 , mentre la formula “contro il Cielo significa “contro Dio”, perché la parola “cielo” è una perifrasi di riverenza per Dio.
Il figlio contempla dentro di sé un frasario commovente di colpevolezza e di pentimento espresso in una triplice asserzione: la confessione di colpevolezza(ho peccato), la esplicita dichiarazione di avere compromesso la sua relazione con il padre(“non sono degno di essere chiamato figlio”) e la possibile soluzione per rimediare alla sua tragica manchevolezza nei confronti del padre(“trattami ….”).
Qual è il peccato del giovane scapestrato? In primo luogo esso va identificato nell’essere venuto meno ai doveri del figlio di prendersi cura in vecchiaia del padre, e, di rimando, le conseguenze tragiche di questa inadempienza.
ATTO SECONDO: IL RITORNO DEL FIGLIO MINORE (Lc 15:20-24)
La descrizione del ritorno a casa del figlio potrebbe causare un singulto di pianto emotivo nei lettori moderni, ma gli astanti di allora avrebbero immaginato una reazione dura e implacabile da parte del padre,pensando che avrebbe applicato la normativa mosaica della messa a morte del figlio ribelle (Es 21:15,17). Invece, il padre, vedendo da lontano il figlio (un atteggiamento di attesa?), prova compassione, che non è altra la compassione divina che si manifesta in Gesù: la compassione del padre rispecchia quella di Dio. E’ una scena insolita e inaspettata quella del padre: egli corre con trepidazione verso il figlio e lo abbraccia e lo accoglie prima che quest’ultimo parli. E’ interessante notare che l’uomo antico orientale, abbarbicato nella sua dignità, non corre. Egli, correndo, avrebbe dovuto sollevare la sua lunga veste, mostrato le sue gambe, contravvenendo alle regole del decoro della cultura semitica. Di più, prima di ascoltare il discorso del figlio, lo abbraccia e lo bacia. Tutto ciò induce a pensare alla riconciliazione e al perdono preveniente del padre: egli non ha alcun indizio che mostri le intenzioni del figlio, ma è sopraffatto dalla gioia del suo ritorno a casa. Il discorso del figlio è lo stesso di quello che precedentemente muginato dentro eccetto l’ultima frase riguardante la richiesta di essere trattato al pari di un servo. (Lc 15:19b).
Il padre, commosso, ascolta la confessione del figlio, reagisce, accogliendolo con gli onori di un dignitario di corte(Lc 15:22): il padre fa indossare al figlio ritrovato il vestito più bello, lo insignisce dell’ufficio di un regale patrizio, mettendo al dito l’anello con il sigillo di famiglia, conferendogli autorità, gli fa calzare i sandali come uomo libero di alto rango sociale e, infine, ordina un grande banchetto per le occasioni speciali, allietato da musica e canti, perché “questo figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15:24).
ATTO TERZO: IL RITORNO DEL FIGLIO MAGGIORE DAI CAMPI E LA SUA IRRIVERENTE REAZIONE
(Lc 15:25-32)
Entra in scena il figlio maggiore. Anche lui fa ritorno a casa, ma dai campi. Egli è un lavoratore infaticabile e fedele al padre. Sente baldoria provenire dall’aia del podere di famiglia. Si informa con i servi intorno a questo strano fracasso di canti e grida di gioia. I servi lo informano intorno al ritorno del fratello e della reazione benevola di suo padre.Si rifiuta di entrare. Egli rigetta l’idea di partecipare alla gioia del padre per il fratello ritrovato. Per noi moderni l’atteggiamento del figlio può essere esagerato. Ma se si considera l’aspetto culturale dell’epoca di Gesù dovremmo ricrederci. L’antica legge giudaica prevedeva la morte dei figli ribelli (Dut. 21:18-21). L’immagine di un padre che abbandona una festa per smorzare l’ira del figlio maggiore sovverte le attese culturali dell’uditorio. Il figlio maggiore manca di rispetto al padre, si lascia andare ad un profluvio di dure parole di protesta. Al pari della confessione del fratello,anche la sua rimostranza è triplice: egli lamenta il fatto che lo abbia servito per molti anni, e che egli non ha mai ricevuto un capretto per festeggiare insieme con i suoi amici e che, sebbene quel figlio avesse sperperato i suoi beni con prostitute e conducendo una vita dissoluta, quest’ultimo viene festeggiato e accolto con tutti gli onori, ammazzando un vitello grasso.
Il suo moralismo sta distruggendo i legami familiari con la stessa efficacia della dilapidazione dell’eredità da parte del fratello.
Anche in questo caso il padre parla, conferendo dignità al figlio al pari di quello minore. Lo chiama “ragazzo mio”, cercando di ricucire i rapporti con il fratello minore. Risponde al linguaggio violento e irrispettoso con immagini di riconciliazione e di unità. Il padre invita il figlio maggiore a partecipare alla festa della vita.
La condotta sorprendente del padre verso i due figli è il fulcro letterario in cui si deve ricercare il significato della parabola. Il padre demolisce l’identità di entrambi i figli, i quali parlano del loro status in termini di doveri servili, distruggendo a suo modo la famiglia. La parabola non consente che ciò accada e ridefinisce le condizioni in cui la famiglia può sussistere, ossia non un rapporto con il padre fondato sul servilismo, che conduce alla rovina, ma un rapporto di libera convivenza conduce alla vita e alla gioia.
E’ il padre la figura centrale della parabola, infondendo un valore unitario alla vicenda diversificata dei due figli. L’amore del padre si muove su un piano ambivalente: corre verso il figlio minore, accogliendolo, e si muove verso il maggiore, invitandolo a sbarazzarsi della sua giustizia e a unirsi ai festanti. L’amore di Dio si storicizza in questa parabola, è un gioioso evento, amore che perdona, trionfando sul passato dell’uomo, amore che invita alla festa comune, trionfando sulla giustizia dell’uomo. Dunque, il senso della parabola è duplice: è una revisione del concetto di giustizia che l’uomo ha nella sua relazione con Dio, ed è anche una concessione gratuita del perdono dell’uomo ravveduto e pentito. L’amore di Dio vuole riunire entrambi i “perduti” nella festa dell’amore.
In altre parole, la parabola è la vicinanza del Regno di Dio come evento d’amore. Essa si staglia nel contesto della vita di Gesù, evitando di concettualizzare l’amore di Dio, ma lo rende evento. La storia di Gesù realizza siffatto evento : la sua chiamata alla sequela è una espressione di vittoria salvifica sul passato e la sua comunione di mensa offerta a molti, parlano dell’amore di Dio. Gesù fonda il suo comportamento in quello di Dio stesso, divenendo nella parabola evento. La salvezza precede il pentimento.
La parabola si impone come linguaggio performativo, ossia costringe l’ascoltatore o il lettore a prendere una decisione. Ma qual è la scelta che la parabola vuole che sia realizzata, cioè cosa Gesù sta perseguendo , parlando del figlio perdonato? Gesù vuole raggiungere una triplice finalità:
a) Gesù annuncia la salvezza dei peccatori, il perdono dei peccati. Gesù cerca i peccatori, li frequenta, mangia con loro. Tale atteggiamento spregiudicato di Gesù determina una violenta reazione dei “Giusti”, i quali, scandalizzati, lo criticano duramente. La parabola del Figlio perduto o del Padre misericordioso, a dir si voglia, risalta la benevolenza di Dio.
b) La parabola non è solo annuncio, ma è anche apologia dell’operato di Gesù: egli difende il suo comportamento amichevole verso i peccatori nei confronti della classe religiosa ebraica dominante, operando allo stesso modo dell’azione di Dio.
c)La parabola ha anche in sé un carattere missionario verso i “Giusti” : essa si presenta come stimolo per gli avversari di Gesù a rivedere il loro modo di pensare intorno a Dio e a Gesù stesso. Essa termina in maniera lapidaria(“… perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”), lasciando aperta la porta del ripensamento delle categorie concettuali religiose dei Farisei, ossia accettare l’azione di Dio che perdona il peccatore, o rifiutare l’azione di benevolenza di Dio verso il peccatore.
Se si vuole attualizzare la parabola, quale messaggio essa rivolge ai cristiani di oggi?
La parabola è un ammonimento rivolto a quei cristiani fariseizzati, che mancano di capacità di perdonare, vivendo uno stile di vita formalmente cristiano, ma essendo interiormente deficitari dei valori etico-spirituali contenuti nell’Evangelo. Essi si credono giusti e arrivati, dimenticando che anche costoro sono stati raggiunti dalla grazia donata da Dio(ammesso che veramente l’abbiano realizzata).
La grazia precede sempre i meriti umani: è grazia preveniente, è grazia a caro prezzo.
I rigoristi fariseizzati sono invitati a partecipare alla gioia, alla riconoscenza, all’adesione: l’uomo scapestrato, che agli occhi degli uomini “dabbene” è morto, perduto senza possibilità di ritorno, ha la speranza di riscatto e di iniziare una nuova vita. Non a caso Gesù autorevolmente dice che i peccatori e le prostitute precederanno i Farisei nel Regno dei Cieli.
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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