Nel sottosuolo dell’altopiano di Hasandin (distretto di Kulp, Diyarbakir) riposano ingenti giacimenti di ferro e cromo. Dal tempo dei tempi e finora andava bene così.
Ma recentemente sono apparsi veicoli e macchinari inequivocabilmente preposti alle perforazioni, ai carotaggi. Scortati – ca va sans dire – da altri veicoli, militari, carichi di soldati. Le attrezzature apparterebbero a una impresa mineraria con sede a Izmir. La cosa non è passata inosservata e gli abitanti dei villaggi della zona (Nêrçik, Dimilyan, Hêlin, Inika, Şînas, Beyrok… ) non sono rimasti a guardare.
Convocati dal governatore del distretto in merito ai progetti di sfruttamento minerario, i capi dei villaggi, dopo essersi consultati con la popolazione, hanno chiaramente espresso la loro contrarietà.
Nella convinzione che “con un intervento di tal portata, la nostra vita, il nostro lavoro di tanti anni e la natura circostante verranno distrutti”. Per cui in molti dovranno andarsene, migrare altrove. E le prospettive sono ancora peggiori per chi si rassegnasse di rimanere a vivere qui “rinchiusi in blocchi di cemento” come ha sottolineato polemicamente un anziano contadino.
Va precisato che Hasandin, la più alta montagna della regione di Kulp, è ricca d’acqua (si parla di mille litri di acqua potabile al secondo) e sia l’intero ecosistema che le attività agricole tradizionali sono imperniati su questo.
Con gli scavi, le esplosioni le vene sotterranee, le fonti verranno come minimo ridimensionate. In qualche caso semplicemente scompariranno nelle viscere della terra. Con effetti imprevedibili sui cicli vitali di piante e animali, probabilmente anche sul microclima. Quantomeno con impatti devastanti sui campi e sulla produzione agricola. Per non parlare della perdita dell’eredità storica e culturale.
Proprio quello che sta avvenendo in generale nel Bakur (Kurdistan del Nord, sottoposto all’amministrazione-occupazione turca) _ e nella regione di Kulp in particolare – a causa delle numerose dighe costruite o in costruzione.
Ancora dieci anni fa i curdi protestavano per la costruzione della diga Silvan (alta 175,5 metri, realizzata nell’ambito del Progetto per l’Anatolia Sudorientale – GAP- che prevedeva la costruzione di una dozzina di grandi dighe) che avrebbe completamente inondato il sito Geliyê Godernê (tra le province di Silvan, Lice, Kulp e Hazro) ricoprendo d’acqua una cinquantina di villaggi.
Così come la diga di Ilisu aveva sommerso il sito storico di Hasankeyf.
Senza poter escludere che lo scopo del governo AKP sia esattamente questo. Costringere la popolazione ad andarsene, trasformarla in una massa di sradicati, forza lavoro docile, ricattabile e intercambiabile.
Ma trattandosi di curdi “A sarà düra!” come dicono in Val di Susa.
Gianni Sartori
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