Un decreto tempestivamente emesso a due giorni dal secondo turno delle legislative francesi accelera il confronto-scontro tra governo e compagnie minerarie nei confronti degli ecologisti.
Premessa doverosa per chi scrive (ma che l’eventuale lettore può elegantemente saltare): oltre a non possedere un cellulare, nonostante l’età avanzata continuo a pedalare di mio rinunciando alla bici elettrica (il “motorino” per i ciclisti autentici).
Purtroppo, nonostante vari tentativi infruttuosi, non riesco invece (almeno per ora) a eliminare dalla mia vita il computer. Infatti nessuno accetta più articoli su carta, pazientemente composti e ricomposti con la macchina da scrivere.
Per cui delle due una. O smetto definitivamente di scrivere (potrebbe essere una buona idea, sicuramente apprezzata da qualche detrattore) e mi dedico ad altro (la pittura, la meditazione…?) oppure… Vedremo.
Rimanendo – per ora – immerso in tale contraddizione (ridotta al minimo, per quanto umanamente possibile: si fa quel che si può) vorrei intervenire sull’ennesimo danno collaterale (possibile, anzi probabile se le mobilitazioni dovessero tardare) causato dalla produzione di batterie per auto elettriche.
I fatti recenti. Il 5 luglio (NB: a due giorni dal secondo turno delle legislative, non certo per caso) Gabriel Attal (primo ministro in carica), Christophe Béchu (ministro della transizione ecologica e della coesione dei territori) e il ministro dell’economia, delle finanze e della sovranità industriale ed ecologica hanno sfornato un decreto con cui “EMILI”, una miniera di lithium nell’Allier (gestita da IMERYUS) veniva classificata come di “maggior interesse nazionale”. In quanto fondamentale per produrre il lithium utilizzato nella fabbricazione delle batterie per veicoli elettrici. Quelli previsti a partire dal 2028, 700mila in 25 anni.
Attribuire alla miniera tale classificazione consentirebbe all’impresa estrattrice di accelerare le procedure per ottenere i permessi per le escavazioni.
Come è noto nell’Esagono in questi ultimi decenni non sono mancate proteste, manifestazioni e occupazioni contro progetti altamente devastanti per l’ambiente. Basterebbe ricordare le mobilitazioni nella Meuse contro la prevista discarica di rifiuti nucleari e quelle più note a Notre Dame des Landes (Bretagna) contro un nuovo aeroporto di Nantes (progetto poi abbandonato proprio per la persistenza delle mobilitazioni). Così come le contestazioni per la costruzione dell’ennesima autostrada (A69) nel sud-est del paese e i mega-bacini a Saintes Solines (marzo 2023).
Senza dimenticare la tragica morte di Rémi Fraisse mentre protestava contro la “barriera” (barrage) di Sivens.
Mobilitazioni ecologiste a cui regolarmente corrispondeva una ancor maggiore mobilitazione delle forze di polizia. Come si è visto anche recentemente il 9 giugno a Castres e Toulouse (autostrada A69).
Per gli ambientalisti, la realizzazione o meno di tali progetti dipende soprattutto dalla “rapidità nella competizione tra governo e investitori da un lato e l’organizzazione delle proteste dall’altro”.
Se l’opera viene realizzata in tempi brevi, questo (come si è potuto verificare in altre circostanze) “crea un precedente, un fatto compiuto che finisce per demoralizzare, scoraggiare i dissidenti”.
Viceversa “se le proteste consentono di trascinare a lungo la discussione e il confronto, si può arrivare all’abbandono del progetto stesso”. Come è avvenuto a Notre Dame des Landes.
Possiamo dire che – in genere almeno – il tempo gioca a favore degli oppositori dei progetti, sia minerari che immobiliari.
Il decreto appena emesso rappresenta in qualche modo l’accelerazione della corsa, del confronto.
A cui le mobilitazioni – favorite forse dal nuovo quadro politico emerso dalle elezioni – dovranno rispondere in tempo breve.
Gianni Sartori
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