«Ancora una volta siamo qui a contare i morti, donne e uomini uccisi dalla fine dell’operazione Mare Nostrum e dal muro che si vuole costruire attorno all’Europa – ha dichiarato all’agenzia Nev il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia pastore Massimo Aquilante – E’ uno scenario sconcertante quanto prevedibile che speriamo provochi una scossa della coscienza europea. Chi rischia la vita su un barcone non lo fa per spirito d’avventura ma perché è disperato, perseguitato, affamato: non si facciano strumentalizzazioni di sorta su queste persone. Siamo di fronte allo sconvolgimento di una vasta area dell’Africa che l’Europa e l’Italia non possono affrontare solo con misure di sicurezza. Come Federazione delle chiese evangeliche – prosegue Aquilante – rinnoviamo la nostra proposta di apertura di un canale umanitario che consenta a profughi e richiedenti asilo di entrare in sicurezza in Italia per poi proseguire per le loro destinazioni nel quadro di un programma di accoglienza condiviso a livello europeo. Lo dobbiamo agli impegni umanitari che l’Italia e gli altri paesi europei hanno sottoscritto; ma lo dobbiamo anche alla nostra coscienza di uomini e donne che riconoscono il valore della vita e i principi della solidarietà e della giustizia».
La Fcei è attivamente impegnata in un programma denominato Mediterranean Hope che comprende varie strutture: un Osservatorio sulle migrazioni mediterranee che opera stabilmente a Lampedusa; una Casa delle Culture aperta a Scicli (Rg) come spazio interculturale da una parte e centro di accoglienza per soggetti vulnerabili (minori non accompagnati, donne) dall’altra; un ufficio per la ricollocazione dei profughi e dei richiedenti asilo che opera a Roma. Il progetto è finanziato dall’Otto per mille della chiesa valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi) e dalle chiese evangeliche della Westfalia.
«Abbiamo avviato un rapporto con chiese e associazioni nordafricane – aggiunge Aquilante – perché ci sembra importante creare reti di collaborazione con chi lavora sul tema delle migrazioni mediterranee da un’altra prospettiva. Come cristiani sentiamo la vocazione a costruire ponti di solidarietà e giustizia dove invece si vogliono costruire muri di egoismo e paura».
La tragedia del 9 febbraio è stata commentata anche dagli operatori di Mediterranean Hope impegnati a Lampedusa che denunciano la militarizzazione dell’accoglienza: «Lampedusa è espropriata della possibilità di accogliere quanti e quante arrivano dal mare in cerca di una speranza – scrivono insieme ai parroci dell’isola – Chi vive su questo scoglio in mezzo al mare sa che è un luogo di approdo e di salvezza, ma troppo spesso i lampedusani vengono messi da parte rispetto a quanto accade sulla loro isola… I lampedusani non possono offrire aiuto sulla loro terra, subiscono le scelte fatte da altri, che sono lontani da qui, che non vivono su questo scoglio, non sanno cosa significa accogliere dal mare». La richiesta alle istituzioni è che valorizzino la tradizione e la capacità di accoglienza di un’isola che, suo malgrado, è diventata simbolo delle migrazioni globali di oggi.
Fonte: Nev /Riforma.it
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