Dopo la diga di Xayaburi, il progetto approvato da Vientiane per una centrale a Don Sahong è fonte di nuove preoccupazioni. L’Ong Internatonal Rivers parla di “mancanza di trasparenza” e “seria minaccia” per la fauna ittica. A rischio buona parte della popolazione birmana, che conta sul pescato per il fabbisogno proteico quotidiano.
Yangon (AsiaNews/Agenzie) – Gli ambientalisti lanciano un nuovo allarme per il fiume Mekong, dalle foreste alla sua fauna ittica, sempre più a rischio estinzione per i progetti di sviluppo in campo energetico che non tengono conto del delicato eco-sistema ambientale. Non bastassero i timori causati dal mega-impianto di Xayaburi (da anni al centro di feroci polemiche), una nuova centrale ha da poco ricevuto il via libera dal governo del Laos a Don Sahong, lungo il confine con la Cambogia. Secondo gli esperti dell’Ong statunitenseInternational Rivers, essa costituisce una seria minaccia alla pesca e all’ambiente di tutta la regione. Progetti che nascono e si sviluppano grazie al sostegno e ai finanziamenti di multinazionali, compagnie e governi stranieri, i primi a beneficiare nel concreto dei futuri impianti e dell’energia da questi prodotta.
Ora il pericolo tocca in modo diretto anche la popolazione birmana, che rischia di vedere estinguersi l’enorme quantitativo di pesci che sino a oggi hanno popolato i fiumi del Myanmar. La diga di Don Sahong potrebbe bloccare “il solo canale di accesso” aperto ai pesci per le ondate migratorie, in quel tratto del Mekong. Il progetto metterebbe inoltre a rischio una delle poche “piscine naturali” rimaste per i delfini dell’Irrawaddy, specie a rischio estinzione e sotto tutela da tempo.
Il fiume Mekong per un tratto lungo oltre 200 km costituisce il confine naturale fra lo Stato Shan nel Myanmar e il Laos, in quella che viene definita in gergo la regione del Triangolo d’oro. Per gli esperti di International Rivers “più di 22mila indigeni” vivono nell’area e la pesca costituisce la base della loro dieta. Difatti circa l’80% delle proteine assunte dalle popolazioni che vivono lungo il Mekong, il Salween e l’Irrawaddy derivano proprio dal pesce che anima questi fiumi.
Per Ame Trandem, direttore dei programmi per il Sud-est asiatico dell’Ong americana, “il progetto di Don Sahong, ammantato di segretezza tanto che nemmeno si conoscono i veri finanziatori, è sconsiderato e irresponsabile”. E vi è anche una evidenza “mancanza di trasparenza”. Il Mekong è in condizioni “estremamente precarie” e la reale portata dell’impatto provocato da tutte queste dighe e centrali “è tutta da capire”. È chiaro, concludono gli esperti, che stanno prevalendo “interessi personali” a discapito di “studi approfonditi”.
Il Mekong nasce sull’altopiano del Tibet e scorre lungo la provincia cinese dello Yunnan, poi in Myanmar, Thailandia, Laos, Cambogia e Vietnam. Circa 65 milioni di persone vivono lungo il suo corso, ricavando sostegno dalla pesca (stimata valere 3 miliardi di dollari annui) e dagli allevamenti ittici. Ma ora il fiume, lungo 4.880 chilometri e ritenuto il secondo più ricco al mondo per biodiversità, è minacciato dai molti progetti di dighe e centrali idroelettriche. La Commissione per il fiume Mekong (Cfm), come i governi di Hanoi e Phnom Penh, hanno chiesto – invano finora – una moratoria di 10 anni sulla costruzione, mostrando le pesantissime ripercussioni sulla pesca, con un calo pari a 300mila tonnellate annue.
Fonte: http://www.asianews.it
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