Maxi studio smonta la transizione di genere: «entro 5 anni la maggior parte torna indietro»

È da molti anni che la letteratura scientifica afferma una cosa chiara: i giovani affetti da disforia di genere hanno diritto ad essere ascoltati ed accompagnati, più che avviati alla transizione di genere, per il semplice fatto che il loro disagio – che, beninteso, nessuno discute – è nella stragrande maggioranza dei casi destinato ad essere superato naturalmente. Un lavoro pubblicato nel 2008 sul Journal of Sexual Medicine affermava infatti che i livelli di disforia di genere «diminuiscono o addirittura scompaiono in una percentuale considerevole di bambini (le stime vanno dall’80 al 95%). Pertanto, qualsiasi intervento nell’infanzia sembrerebbe prematuro e inappropriato».

Nel 2012 era invece toccato all’American Academy of Child & Adolescent Psychiatry (AACAP) pubblicare un lavoro nel quale si ricorda che «negli studi di follow-up su ragazzi in età prepuberale con discordanza di genere, compresi molti non sottoposti a trattamento di salute mentale, i desideri di cambiare sesso di solito si affievoliscono con il tempo e non persistono nell’età adulta, con solo il 2,2% – 11,9% che continua a sperimentare la discordanza di genere». Anche una pubblicazione uscita lo scorso anno evidenziava come il significativo insieme di dati di cui disponiamo «suggerisce che la maggior parte dei casi di disforia di genere ad esordio infantile cessa prima dell’età adulta».

Ebbene, a questa già considerevole e coerente mole di riscontri della letteratura – qui citata solo in parte, per ovvie ragioni di spazio – si è da poco aggiunta un’altra pubblicazione della quale non si può non tenere conto. Stiamo parlando di uno studio tedesco, pubblicato sulla rivista Deutsches Ärzteblatt International; anzi, in realtà sarebbe più corretto parlare di maxistudio. Sì, perché gli autori di questo lavoro, com’è stato fatto notare, sono anzitutto andati ad esaminare tutte le cartelle cliniche dei fornitori di servizi sanitari nazionali per gli assicurati di età compresa tra i 5 e i 24 anni con diagnosi di disturbi dell’identità di genere dal 2013 al 2022.

A seguire, i ricercatori hanno poi analizzato i dati per identificare le tendenze nel numero di bambini e adolescenti con situazioni di transgenderismo, compresa la prevalenza, i dati demografici e la durata di coloro che lottano con la propria identità di genere. Fatto questo, si è scoperto un dato notevole e cioè come – nel giro di 5 anni dalla diagnosi – quasi sette minori con disforia su dieci “desistono” dai loro intenti di transizione, riconoscendosi così nella loro identità sessuale originaria. Solo il 36,4%, cioè una netta minoranza, ha quindi avuto una diagnosi confermata di disturbo dell’identità di genere confermata. Il gruppo che torna sui suoi passi con maggiore probabilità è quello delle donne tra i 15 e i 19 anni, con addirittura 72,7% che “desiste”.

Quest’ultimo dato appare particolarmente significativo, dato che è noto come negli ultimi anni il grosso del boom dei baby transgender ha avuto proprio le ragazze per protagoniste e, purtroppo, vittime di precoci trattamenti, dal blocco della pubertà a delle vere e proprie mutilazioni. Tornando allo studio tedesco, un altro aspetto centrale emerso nella maxi indagine concerne la salute mentale di questi giovani, con tre quarti (il 72,4%) dei giovani che si identificano come transgender associati ad almeno un’altra condizione psichiatrica critica. Più precisamente, i giovani transidentificati avevano maggiori probabilità di soffrire di disturbi depressivi – la maggioranza assoluta delle donne (57,5%) e circa la metà dei maschi (49,3%, femmine), nonché di disturbi d’ansia (23,5%/34,0%), disturbi di personalità instabile di tipo borderline (12,1%/17,6%), disturbo da deficit di attenzione/iperattività (12,7%/12,6%) e disturbo da stress post-traumatico (9,9%/13,6%).

Sono numeri chiarissimi che confermano come dietro la grande crescita della disforia di genere tra i giovanissimi – non sempre ma molto spesso sì – ci sia un disagio mentale e personale. Che merita di essere, anzi che deve essere seguito, ovviamente; ma non certo assecondato, per così dire, iniziando i giovanissimi a dei trattamenti che potranno danneggiare la loro condizione in modo gravissimo e irreparabile, come purtroppo spesso già accaduto.

 

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