Sembra che per parlare di utero in affitto, in questo Paese, i più accreditati siano Sergio Lo Giudice, Luxuria, Monica Cirinnà e Giulia Innocenzi. E’ un peccato, visto che nessuno di loro, vuoi per forza maggiore, vuoi per altre cause, ha mai sperimentato una gravidanza.
La voce però che manca è quella dei medici. Scarseggia, e abbiamo capito il perché: molti di loro hanno paura di finire come Barilla, come Dolce & Gabbana, come il presidente dei pediatri italiani: gambizzati mediaticamente. Eppure non sarebbe male sapere cosa dice la scienza al riguardo. Prendo allora tra le mani Godersi la gravidanza, di Carlo Bellieni, neonatologo di fama internazionale, membro della European Society of Pediatric Research, collaboratore delle maggiori riviste di pediatria in Italia e all’estero.
Non è un testo sul gender o sull’utero in affitto. E’ una guida scientifica, ma divulgativa, per le mamme in dolce attesa. Leggendolo risulta chiaro che la gravidanza è una esperienza triplice: la mamma entra in una più profonda relazione con se stessa; tra mamma e figlio, nel grembo, si costruisce progressivamente un legame biunivoco, psichico e fisico, meraviglioso e complesso; infine, la mamma cerca il sostegno di colui che la ha resa gravida.
Partiamo dal “dialogo embrio-materno”, che è anche dialogo della madre con se stessa e con la propria nuova identità. Bellieni, con il conforto della letteratura medica, spiega che si tratta di qualcosa di precocissimo: “Il bambino annidato nell’utero comunica ed interagisce con la madre, ne modifica il ritmo e le abitudini di vita, influenza i gusti… La psiche materna reagisce coscientemente e incoscientemente in funzione di quello che è l’essere umano concepito, in particolare dell’identità che possiede. L’essere umano possiede un’identità “concezionale” che gli è propria. Questa identità suscita un’attività di rappresentazione nella madre (e negli altri) che partecipa alla costruzione dello spazio materno di differenziazione e di identificazione psichica. Questo concorre alla nidificazione del nuovo essere in funzione della natura che gli è propria. Parallelamente il concepimento si accompagna nella donna ad un lavoro psichico complesso di percezione delle modificazioni del corpo, di attribuzione di queste percezioni alla gravidanza e infine di riconoscimento della presenza di un altro in sé. La donna incinta è portata ad effettuare progressivamente un legame tra la sua sessualità, la sua capacità di procreare e l’arrivo del bambino in lei…”.
Non esiste dunque la possibilità di un non coinvolgimento della madre gestazionale con ciò che le accade, cioè con se stessa; neppure esiste la possibilità che il bambino non crei un legame profondo con colei che lo nutre e lo accoglie. Il fatto che l’utero in affitto sia precisamente normato, in paesi come in cui è un business come la California, o rigidamente controllato, in cliniche chiuse simili a prigioni, in cui le donne sono tenute sotto sorveglianza, nei paesi come l’India o l’Ucraina, dimostra ad abundantiam che il timore di chi affitta e di chi pratica la mediazione è ben fondato: le madri gestanti rischiano di avere forti crisi, e quindi, talora, di desiderare il ricorso all’aborto, per un figlio che sentono nel contempo loro e non loro; oppure di voler tenere quel bambino, dopo i nove mesi, avendo imparato a percepirlo come quasi “proprio”; oppure di avere delle pesanti reazioni emotive in seguito alla sottrazione del bimbo partorito.
Bellieni ricorda anche come la scienza colga sempre di più la necessità di intensificare il rapporto mamma-figlio-padre, nei mesi della gestazione, per il benessere del futuro bambino. Questo rapporto, ancora una volta, ha una funzione sia per il bambino, sia per la coppia, a dimostrazione di come la natura non prevede solo che un figlio si generi da un ovulo ed uno spermatozoo, ma anche che sia nutrito, affettivamente, parlando da un uomo e una donna. Molti neonatologi e ginecologi, continua Bellieni, ricordano oggi al padre e alla madre, quanto possa essere utile per il feto una “interazione comunicativa” attraverso carezze, parole, canzoni… Il feto, dotato di una notevole “plasticità prenatale”, ascolta, percepisce gusti, odori, rumori… persino, diciamo così, l’atmosfera umana che lo circonda. Con conseguenze anche per la sua vita futura.
Gravidanza, si diceva, come esperienza triplice, cioè in cui è in gioco il rapporto della donna con sé stessa, della donna con il figlio, e tra la madre, il figlio e il padre. Vediamo quest’ultimo punto, dopo averlo scomposto, ponendoci cioè questa ultima domanda: ha un ruolo, il marito, accanto alla moglie gravida?
Nella gestante le alterazioni vissute dal suo corpo e dalla sua psiche, generano “un aumento vertiginoso della sua sensibilità affettiva”: “si piange molto di più, ci si arrabbia tremendamente, si è fortemente malinconici… Quello che la natura fa è spostare il baricentro della donna, come avviene fisicamente con la sua pancia, per cui la donna perde la posizione eretta e precipita nell’orbita del bambino, così la donna si avvicina al mondo del bambino, il quale ha una sensibilità estremamente più forte, per quanto protetto dall’alta soglia di stimolo che ci sarà dopo la nascita”.
E’ qui che il maschio può fornire il suo sostegno, esterno, ma non certo inutile: “E allora durante la gravidanza, in questo precipitare della donna verso il mondo del bambino, è fondamentale che ci sia un appoggio e che il maschio, il compagno, sia il custode dell’esperienza perché la donna possa abbandonarsi al contatto col suo bambino”.
Vendola può inventare neologismi, lanciare maledizioni, citare, sbagliando, brani di poesie a sua giustificazione; Renzi può parlare di “amore” e fare il romantico su twitter, quanto vuole, ma la scienza e i fatti parlano chiaro. Se molti oggi non lo capiscono non è tanto perché queste cose non siano, da un punto di vista scientifico, ben conosciute, ma perché è venuta sempre più a mancare la capacità di vivere la nascita di un figlio per ciò che essa è. Un grande miracolo, un trionfo della vera relazionalità uomo-donna-bambino; un compimento della natura affettiva dell’uomo e della donna. Diciamola così: se Vendola non capisce il male che sta facendo al suo povero bambino, è anche perché da troppi anni un figlio è, nella nostra cultura, un peso, un imprevisto, un incidente, un errore… all’interno di una alleanza non compiuta tra l’uomo e la donna.
di Francesco Agnoli | Lanuovabq.it
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