Che Marino si sia rivelato inadeguato nel ruolo di sindaco è difficile negarlo. Ancor prima dello scoppio dello scandalo di Mafia Capitale, si era distinto per gaffe davvero imbarazzanti, dalle multe alla sua Panda che non aveva il permesso per circolare in centro, alla nomina di un capo dei vigili privo dei requisiti e quindi successivamente rimosso.
L’escalation di errori, sottovalutazioni, e forse anche violazioni di legge ha solo anticipato un epilogo che sembrava scontato già pochi mesi dopo il suo insediamento. Nessuno, già allora, avrebbe scommesso sulla fine naturale del suo mandato in Campidoglio. E infatti, dopo poco più di due anni, è arrivato al capolinea, con soddisfazione di molti e dispiacere di pochi.
Tuttavia, sarebbe fuorviante e riduttivo gettare la croce esclusivamente addosso all’ormai ex sindaco,che tanto ex non è, perché si dimetterà ufficialmente lunedì e avrà in teoria venti giorni di tempo per ripensarci e tentare di formare una nuova giunta guidata da lui. Sia ben chiaro, già prima di lui Roma era stata amministrata male, molti problemi si erano aggravati e i cittadini erano insoddisfatti, tanto da bocciare sonoramente l’allora sindaco uscente, Gianni Alemanno. Il discorso sulle responsabilità del tracollo, anche finanziario, di Roma, dev’essere dunque meno superficiale ed emotivo e più ragionato e documentato. Ha fatto rumore nelle ultime ore la sortita dell’Osservatore Romano, che ha rivolto un sonoro “j’accuse” all’intera classe politica della capitale, ma soprattutto all’amministrazione Marino, accusandola di aver lasciato «solo macerie», e affermando che Roma meriterebbe assai di più e anche in fretta, visto che il Giubileo è ormai alle porte.
Ma se al posto di Marino, peraltro eletto dal cosiddetto “popolo delle primarie” tanto caro alla sinistra, ci fosse stato un altro sindaco o ci fosse stata una giunta di un altro colore politico, le cose sarebbero andate diversamente? Le strade a Roma sarebbero state migliori, i servizi pubblici più efficienti, la qualità della vita superiore? Non è affatto detto. I guasti della capitale non investono tanto la classe politica, che pure si è rivelata profondamente non all’altezza dei compiti, corrotta, contigua alla mafia e incline a un malaffare pressoché generalizzato. La macchina amministrativa romana, ancor più di quella di altre pubbliche amministrazioni, è saldamente nelle mani di una “casta” di dirigenti che fanno il bello e il cattivo tempo e che, con il loro ostruzionismo, sono in grado di paralizzare l’attuazione delle decisioni prese dagli organi rappresentativi.
Fanno molto riflettere le parole pronunciate in alcune interviste in queste ore dall’assessore ai Trasporti della giunta Marino, Stefano Esposito, rimasto sulla sua poltrona solo 70 giorni, dopo il rimpasto di luglio che avrebbe dovuto rilanciare l’azione dell’amministrazione uscente: «La struttura amministrativa vive di vita propria, non segue le indicazioni, cambia autonomamente il contenuto delle delibere, a volte le scrive male proprio per farle bocciare al Tar…». A detta di Esposito, quindi, gli uffici se ne infischiano di ciò che chiede la politica, «i dirigenti viaggiano con stipendi superiori ai centoventi-centosessanta mila euro e fanno solamente finta di farti decidere». A fare le spese di questo lassismo e autoritarismo degli uffici i cittadini onesti, in balia di una burocrazia elefantiaca, autoreferenziale e inamovibile, che tarpa le ali anche alle scelte politiche più illuminate. «Faccio degli esempi così ci chiariamo, va bene?», ha aggiunto Esposito. «Cosa ci fa un segnale di inversione a “u” in una strada pedonalizzata? Lo spiego: siamo in via di Porta San Sebastiano, tra Circo Massimo e Appia Antica, una strada importante, con ville di personaggi famosi. Chiedo spiegazioni: i funzionari balbettano, poi dicono che c’è una scuola all’inizio della via e le mamme hanno bisogno di fare inversione per portare i figli. Chissà di quale famiglia sono quei figli? Così mi metto a urlare! E con quale risultato? Le automobili là passano ancora. Chiaro come funziona? Un funzionario ha spiegato al mio capo segreteria: “Gli assessori passano, noi rimaniamo”».
Dunque le clientele, i consociativismi e le inefficienze, che hanno fatto sì che i problemi di Roma con iltempo si incancrenissero, sono imputabili a tutte le amministrazioni precedenti e ben difficilmente potranno essere superati con la bacchetta magica e con l’elezione di un nuovo sindaco. La verità è che la politica è sempre più ostaggio della burocrazia da un lato e della magistratura dall’altro. Il nodo da sciogliere, quindi, è duplice: non solo la formazione di una nuova classe dirigente competente e onesta, ma anche l’affermazione di un sano equilibrio tra i poteri, riconoscendo il primato della volontà popolare e dei suoi rappresentanti.
di Ruben Razzante | Lanuovabq.it
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