A Washington DC, lungo il National Mall, il grande viale verde che conduce fino al Campidoglio (la sede del Congresso degli Usa), hanno sfilato decine di migliaia di uomini, donne e bambini, almeno 100mila secondo Fox News. Erano i manifestanti della Marcia per la Vita, l’evento annuale inaugurato nel 1973 per protesta contro la sentenza Roe vs. Wade che legalizzò l’aborto in tutta la federazione nordamericana. Molte le autorità presenti, fra cui Paul Ryan (presidente della Camera). Ma anche un ospite speciale, apparso in video dalla Casa Bianca: il presidente Donald Trump. Si tratta di un evento storico, poiché, in tutte le sue 45 edizioni, il grande evento pro life non aveva mai registrato la partecipazione di un presidente in carica.
“La Marcia per la Vita è un movimento nato dall’amore” – ha dichiarato un Trump, più sereno che mai, nel Giardino delle Rose della Casa Bianca. Una scelta fortemente simbolica. I manifestanti pro-life sono infatti soliti regalare una rosa ad ogni membro del Congresso. “Voi amate la vostra famiglia, amate il prossimo, amate la nazione, amate ogni bambino, nato e nascituro, perché credete che ogni vita sia sacra, ogni bambino è un prezioso dono di Dio. Noi sappiamo che la vita è il miracolo più grande. Lo vediamo negli occhi di ogni nuova madre che culla il suo meraviglioso, innocente, glorioso neonato nelle sue braccia amorose. Io voglio ringraziare ogni persona qui, oggi, e in tutto il nostro paese che lavora col passione e con devozione infaticabile per permettere ad ogni genitore di godere di tutto l’aiuto necessario per scegliere la vita”. Si è trattato, sin dall’inizio di un breve, ma intenso discorso, molto emozionale e sentito, apprezzato sinceramente dai militanti pro-life. Ha lasciato di stucco quegli osservatori politici che non si aspettavano una presa di posizione così drastica da parte di un presidente che, sino a nemmeno un decennio fa, era dichiaratamente abortista.
Nel 1999, infatti, intervistato dalla Tv Nbc, Trump si era definito: “molto pro-choice”, dove per pro-choice, negli Usa, si intende chi è a favore dell’aborto legale. “Io odio il concetto stesso di aborto – aveva detto anche allora (quando era ancora finanziatore del Partito Democratico) – lo odio, odio tutto ciò che comporta. Soffro quando sento la gente che ne discute. Ma comunque credo nella libertà di scelta”. Anche quando l’intervistatore gli aveva posto una domanda sull’aborto tardivo, Trump aveva ribadito: “No, no, sono pro-choice sotto ogni aspetto”. Da abortista riluttante, comunque per la libertà di scelta, qualcosa è cambiato nelle dichiarazioni di Trump agli albori della sua corsa alla Casa Bianca, in campo repubblicano, poco prima della sua candidatura, nel 2015. I conservatori, fra i Repubblicani, non gli avevano creduto. Mossa propagandistica e opportunista, si diceva e nella durissima campagna per le primarie, i candidati che avevano un passato di militanti pro-life lo attaccavano a testa bassa. Una volta divenuto presidente, tuttavia, Trump ha dimostrato di credere veramente alla causa. Il suo intervento alla Marcia per la Vita, prima di tutto: finora i presidenti in carica più sensibili alla causa si erano limitati a interventi telefonici nel loro ultimo anno di amministrazione del loro secondo (e ultimo mandato), quando possono concedersi qualche libertà perché ormai hanno finito il lavoro e non devono essere rieletti. Così Ronald Reagan intervenne telefonicamente nel 1987 e George W. Bush nel 2008. Al contrario, Donald Trump ci mette la faccia e lo fa alla conclusione del suo primo anno di amministrazione, dunque quando il suo operato è ancora sotto la lente di ingrandimento dei media e dell’opinione pubblica, a tre anni dalla sua possibile rielezione.
La politica pro-vita rivendicata da Trump nel suo discorso è fatta di alcune mosse concrete, anche se il corpo delle leggi è ancora smilzo, a causa delle opposizioni in Congresso (che arrivano anche da una parte del Partito Repubblicano). “Nella mia amministrazione – ha dichiarato il presidente americano – difenderemo sempre il primo diritto della Dichiarazione di Indipendenza, il diritto alla vita”. La prima legge rivendicata è quella che ristabilisce la Mexico City Policy, introdotta da Ronald Reagan e ripristinata da tutti i suoi successori repubblicani: si tratta del divieto di finanziare con fondi federali le Ong che promuovono all’estero politiche di pianificazione familiare. Proprio questa settimana, il presidente ha firmato un ordine esecutivo che istituisce un apposito ufficio per la protezione dei diritti dei medici e paramedici obiettori che rifiutano di praticare aborti. Un’altra legge promossa dall’amministrazione, consente ai singoli Stati degli Usa di tagliare i fondi pubblici del programma Medicaid (programma federale che copre le spese mediche alle famiglie meno abbienti) destinate a Planned Parenthood, il più grande fornitore di servizi abortisti in America. Ancora in fase di discussione al Congresso e caldeggiata dall’amministrazione, c’è la legge contro gli aborti tardivi. Se dovesse passare, renderebbe illegali gli aborti di feti oltre la 20ma settimana, con pene che arrivano fino a 5 anni di carcere per i trasgressori.
La politica di Donald Trump paga, in termini elettorali? Per ora è una scommessa ancora molto ardua. Di sicuro la presa di posizione pro-life è ancora un rischio, stando ai sondaggi. I pro-choice sottolineano sempre che la maggioranza degli americani, almeno più del 50%, è sempre favorevole all’aborto legale. Tuttavia la tendenza si sta invertendo. Come rileva un sondaggio commissionato dai Cavalieri di Colombo, se è vero che la maggioranza è favorevole all’aborto legale in senso lato, ben il 76% degli americani è favorevole a porre limiti alle pratiche abortive e il 63% è per il divieto dell’aborto tardivo.
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