Superati gli anni bui del riduzionismo biologico, oggi anche il sapere scientifico riprende a sottolineare la centralità e l’unicità dell’essere umano. E’ di oggi, ad esempio, l’intervista a Enrico Alleva, prestigioso etologo italiano, dal 2008 al 2012 presidente della Società Italiana di Etologia e direttore del Reparto di Neuroscienze comportamentali all’Istituto Superiore di Sanità di Roma.
«Da etologo», ha spiegato, «rifiuto la parola istinto in generale, e in particolare se riferita all’uomo». Già dal terzo mese, infatti, il feto umano ha una sua cultura individuale: conosce la madre, le sue sensazioni, riconosce le persone intorno a lei e «si prepara a riconoscere il padre». Inoltre, «è programmato per cambiare il suo cervello in funzione di quello che gli accade». «E’ proprio dal confronto tra comportamenti automatici e comportamenti appresi l’unicità della specie “homo sapiens”», ha proseguito il prof. Alleva.
Un’unicità evidente combattuta da attivisti mossi da scopi ideologici, secondo i quali l’uomo non è una Creatura, ma semplicemente un “nient’altro che”, un frutto casuale dell’evoluzione, la sua morale non esiste, la sua coscienza è un banale epifenomeno del cervello. L’uomo, ci viene ricordato dai riduzionisti, è il suo DNA, il quale è condiviso per il 98% con i primati (e per il 50% con la banana). Eppure, ha commentato il prof. Alleva, «nel comportamento delle scimmie qualche primatologo, forse esagerando,ha cercato le basi per la moralità umana. Ma l’interazione più interessante per la specie umana resta quella con il cane, una specie selezionata dall’uomo a propria compagnia esclusiva».
Qualche giorno fa si è espresso negli stessi termini anche il prof. Vittorio Gallese, noto a livello internazionale per il suo contributo alla scoperta dei “neuroni specchio”, docente di Neurofisiologia all’Università di Parma. «Le neuroscienze cognitive non possono ridursi ad una traduzione neurodeterministica della natura umana, ma devono mettere al centro della propria ricerca la pienezza dell’esistenza umana e l’esperienza che ognuno di noi ne trae», ha affermato. «Dovremmo lasciarci alle spalle sia il meccanico determinismo genetico sia l’apparente netta distinzione tra natura e cultura».
Non sarà sfuggita l’importanza di queste dichiarazioni anche in campo bioetico. Mentre il prof. Alleva valorizzava la personalità del feto umano e la sua “ricerca del padre”, il prof. Gallese aggiunge: «Lo sviluppo dell’intersoggettività comincia già prima della nascita, all’interno del grembo materno. Dalle prime ore di vita il neonato svolge un ruolo attivo nel sollecitare e intrattenere un rapporto con la madre». I temi dell’aborto, delle adozioni gay e dell’utero in affitto andrebbero ripensati alla luce di queste conoscenze. Ma emerge anche il tema del gender, ovvero la trascuratezza del “dato biologico” per favorire il “dato psicologico” (si può diventare uomini anche se nati in un corpo di donna, ad esempio…). Attenzione, perché «cervello e corpo formano un sistema inscindibile: non si capisce il cervello se lo si separa dal corpo».
Fonte: http://www.uccronline.it/
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