Carlo Rocchetta Abbracciami. Per una terapia della tenerezza. Saggio di antropologia teologica, Bologna EDB, 2013
Recensione di Daniele Mangiola, DiRS-GBU
È solo ad opera di una massiccia semplificazione che ci riferiamo al cervello umano come uno. Già soltanto la distinzione tra corteccia, la parte più esterna, e sistema limbico, la parte sottostante, ci autorizza a parlare di due cervelli, sebbene interconnessi in modo meraviglioso. Una semplificazione non casuale e non tanto per le scarse cognizioni di fisiologia della gente comune. Di fatto, quando ci riferiamo al cervello siamo stati educati a pensare all’attività razionale, logica e a porla ad un livello superiore rispetto all’attività emozionale. La mente deve tenere a bada tutta la grande massa di materia selvatica fatta di pulsioni animali, istinti primordiali, fisicità cieca. Da gran tempo ormai, figli come siamo del pensiero greco (meglio: di un certo pensiero greco e per di più filtrato in un certo modo), consideriamo l’autocontrollo il livello più elevato della saggezza. Ci siamo abituati a mettere il corpo in secondo piano e a fare tutto con la mente (corteccia, soltanto la corteccia). Negli ultimi tre secoli o giù di lì raccogliamo i frutti più maturi (di una maturità che è giunta col ‘900 a putrescenza) di questa sopravvalutazione.
Si elevano da più parti, inascoltate, spesso messe a tacere, voci che riportano l’attenzione sull’altro nostro cervello, quello emozionale, più direttamente connesso con il corpo e i sensi. Il nostro corpo pensa, il nostro corpo alberga lo spirito (ma già lo diceva Paolo, 1Cor 6,19).
Una spiritualità che passa per il corpo, dunque, recupera ed eleva la nostra dimensione emozionale ed affettiva e se è vero come è vero che la spiritualità cristiana è centrata sulla dimensione dell’amore, ne deriva una apertura di questo amore a tutta la sua parte affettiva e corporea. Proprio quella parte che per lunghi secoli è stata screditata e anzi allontanata come carne.
Tutto questo è già presente lungo le pagine della Bibbia, obliterato (sublimato, direbbe qualcuno) dalle interpretazioni teologiche. Nulla di nuovo, dunque, e non potrebbe essere altrimenti, dipendenti come siamo dalla Parola di Dio. Sulle tracce di questo amore fatto di corpo e sentimenti si getta Abbracciami, edito da Dehoniane, l’ultimo saggio di Carlo Rocchetta, teologo e prelato cattolico, un saggio “di antropologia teologica”, a testimoniare l’intenzione di cercare un fondamento biblico per tutto questo.
Fondatore del Centro Familiare “Casa della tenerezza”, Rocchetta si occupa di cura pastorale alle coppie, dunque di tematiche e teologia del matrimonio e della famiglia. Come dice egli stesso nell’ultimo capitolo, il percorso di studi, a partire proprio da una teologia della corporeità, attraverso la teologia della tenerezza e la pratica pastorale alle famiglie, che lo accompagnano da vent’anni, lo hanno portato ad approfondire quello che è il segno e il simbolo dell’amore attraverso il corpo in tutte le sue accezioni: l’abbraccio. Conoscere alcuni scritti sull’abbraccio come forma terapeutica lo ha portato a riconoscere l’assenza di una riflessione teologica su questo tema.
L’abbraccio è relazione, l’abbraccio è comunicazione e l’uomo ha bisogno vitale dell’altro in cui specchiare la propria individuale umanità. L’abbraccio è segno di accoglienza, nella misura in cui il corpo si schiude per cercare l’altro, l’abbraccio è segno di protezione nella misura in cui circonda l’altro e lo serra a sé. Se la parola tace (e quando si tocca l’apice del sentimento, la parola è la prima ad eclissarsi diventando al massimo “un suono dolce e sommesso” 1Re 19,12 NRV), il corpo parla di amore. Ci sono diversi tipi di abbracci, l’abbraccio accogliente, l’abbraccio nuziale, l’abbraccio riconciliante, l’abbraccio terapeutico.
Sull’abbraccio come forma di psicoterapia altri autori hanno scritto e il primo capitolo di Abbracciami ne ripercorre la strada. La pelle non è il guscio del corpo (lo diventa crescendo, con gli anni, con l’accumularsi di ferite e frustrazioni), è la porta di accesso ad esso, ricca di recettori sensoriali in comunicazione col cervello. In particolar modo nei bambini, per i quali il contatto fisico è fondamentale nella formazione del proprio sé e del suo posto nel mondo. L’abbraccio ha rivelato potenzialità terapeutiche ancora non appieno valutate ad esempio nei casi di bambini autistici; ed è un’evidenza come un bimbo ammalato guarisca più prontamente se può godere di abbondanza di contatto fisico e di abbracci da parte dei genitori. Quattro abbracci al giorno per chi è in salute, dodici come strumento terapeutico per i mali del corpo e dell’anima. Gesù si lasciava toccare e toccava egli stesso coloro che avevano bisogno di cura.
L’archetipo eterno di ogni abbraccio si ritrova nel mistero stesso della Trinità (“Dio-Trinità-di-Amore”). Un Dio che non è un Io-solo, ma un Io-noi, Dio-Comunione, tutte espressioni di Rocchetta che chiama a sostegno finanche lo scomodissimo Leonardo Boff. Ma ancora nell’immagine di Cristo unito con la sua Sposa. Non può mancare e non manca, in un capitolo sul fondamento archetipico-teologico dell’abbraccio, l’immagine della Madre che abbraccia il Figlio (sovraccaricata di significato dal sentire cattolico, cosiccome troppo svuotata di senso dal sentire evangelico).
Dio si presenta col cuore colmo di tenerezza già dall’AT, in tante metafore dai Salmi ai Profeti; un braccio che accoglie, cura, protegge, ristora; un padre modernissimo, come quello di Osea 11,1-4, che è addirittura materno in Isaia 66,11-13. Una tenerezza che poi nel NT, nella vita di Gesù diventa evangelo proclamato e manifesto. Gesù accoglie e abbraccia i bambini testimoniando la predilezione di Dio verso i piccoli e indifesi della storia, profetizzando una “pedagogia dell’abbraccio” che aiuta a crescere e fortificarsi.
Nell’abbraccio nuziale si schiude tutto il vasto universo dell’amore tra uomo e donna, un amore che col tempo rischia di infiacchirsi. Gli abbracci mancati, il rarefarsi di quei gesti quotidiani che testimoniano l’amore e la preferenza verso l’amato portano allo sfaldamento della coniugalità. Il linguaggio degli abbracci preserva la coppia, cura le ferite e scioglie le tensioni. Quell’abbraccio nuziale ampiamente testimoniato dal Cantico dei Cantici. Mentre però Rocchetta si lascia accompagnare in questo argomento dall’evangelico Gary Chapman e i suoi 5 Linguaggi dell’amore, trova l’occasione per dimostrare come il sentire cattolico si distanzi dall’interpretazione evangelica, la quale ha ingiustamente svalutato l’amore Eros rispetto all’amore Agape…
L’abbraccio nuziale si evolve poi nell’abbraccio genitoriale, dove i due che sono uno diventano tre. Dal tipo di abbraccio che i figli ricevono dipende il loro sviluppo psico-fisico. Un’educazione fondata sui permessi e non sulle ingiunzioni fa sentire il bambino rispettato, amato, accettato. Un bimbo che non può sperimentare, rischiare di sbagliare, toccare, gustare, parlare, non può crescere secondo il suo personale e individuale ritmo biologico, si trova imprigionato in un mondo dei grandi che lo respinge perché inadatto, senza permettergli allo stesso tempo di imparare sperimentando. L’abbraccio genitoriale è ancora un abbraccio a tre in quanto il figlio si nutre anche della relazione che c’è tra i genitori.
L’abbraccio amicale può diventare il simbolo di una nuova civiltà, un’antropologia dell’accoglienza invece che della sopraffazione. Nell’amico, nel suo volto, viene incontro Dio stesso, il suo abbraccio è un tesoro inestimabile e raro. Gesù, che definisce amici i discepoli, senza dimenticare la straordinaria storia di Davide e Gionatan, legati per la vita.
Un sentire cristiano non è tale se non giunge a considerare l’abbraccio dei nemici. L’appello di Cristo è inequivocabile e non lo si comprende fino in fondo fintanto che non si abbia sperimentato nella propria vita la dimensione del perdono. Il non-abbraccio, la non-accoglienza del nemico getta in un circolo vizioso che perpetua il dolore attraverso il rancore, impedendo alla ferita di rimarginarsi. L’abbraccio che perdona accoglie l’altro per quello che è, un essere debole e fallibile, spesso ferito a sua volta. La figura della croce è il simbolo dell’abbraccio universale: un uomo con le braccia spalancate che implora: “perdona loro che non sanno quello che fanno”(Lc 23,34).
È davvero di un’altra umanità che si parla qui, un’umanità del cuore non più in contrasto con la ragione e la pratica dell’abbraccio è la scuola di questa cultura della convivialità. L’abbraccio dunque trascende la sfera del privato per diventare profezia di una nuova politica. Al di “fuori di una pedagogia della tenerezza che si faccia abbraccio, non c’è e non ci può essere sviluppo sociale pieno e pienamente realizzato”.
La croce, l’uomo dalle braccia spalancate, segno dell’abbraccio universale, è ancora ciò che rende unico il cristianesimo laddove altri (Buddha, lo Hatha yoga) danno l’immagine dell’uomo raccolto in sé, seduto, gambe incrociate.
Molti e interessanti spunti di riflessione per una pratica della vita cristiana che si immerga nell’amore e nella tenerezza offre Abbracciami, di Carlo Rocchetta. Il discorso è però non di rado dispersivo, allargato a troppi discorsi e suggestioni collaterali, bibliche e filosofiche. Troppo spesso inoltre diventa contenitore di tante dottrine tipicamente cattoliche qualche volta stiracchiate in modo da combaciare con la tematica dell’abbraccio.
È innegabile però l’essenziale su cui richiama l’attenzione: il cuore di Dio: un cuore colmo di tenerezza; i figli di Dio: una comunità che abbraccia.
Daniele Mangiola
Fonte: http://www.cristiani.info/
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