“Je suis Charlie”, gridava in coro il mondo libero all’indomani dei sanguinosi attentati alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, portati a segno dalla follia jihadista con lo scopo di spezzare per sempre le matite blasfeme dei vignettisti che avevano osato ridicolizzare Allah. Da allora sono passati più di due anni, ma la libertà di espressione – e soprattutto di critica – sembra essersi ridotta più a un diritto “ad personam” che universale.
Prendiamo per esempio il caso di Filippo Facci. Il noto giornalista è stato sanzionato dall’Ordine dei giornalisti per aver scritto nel luglio di un anno fa, sul quotidiano Libero, un articolo dove rivendicava il diritto a odiare l’Islam e i suoi fedeli. Un corsivo particolarmente aggressivo e virulento in cui l’autore del testo esprimeva però, appunto, una sua opinione. Seppure non condivisibile.
Un giovane giornalista – di cui non si conoscono nome né testata di appartenenza – dopo aver letto quelle parole, ha quindi inviato una segnalazione all’Ordine professionale. Che, a quasi un anno dalla pubblicazione del pezzo, dal titolo “Perché l’Islam mi sta sul gozzo”, ha sospeso Facci dalla professione per due mesi, con conseguente blocco dello stipendio per 60 giorni.
A renderlo noto è stato lo stesso Facci su Facebook: “Ho espresso il mio personale diritto di poter odiare l’Islam, tutti gli Islam, dunque gli islamici e la loro religione che giudico addirittura peggiore di tutte le altre: io le religioni le detesto tutte, alla maniera dei razionalisti inglesi: non sono mai stato un teo-con, non m’interessa contrapporre una religione a un’altra: tanto che ho espresso critiche durissime anche contro il Papa e il Vaticano e questo senza che nessuno mi denunciasse all’Ordine”. “Trovo riprovevole – ha aggiunto il giornalista – che il regolamento del Consiglio di disciplina permetta che una non professionista, che ho diritto di giudicare di dubbio livello culturale e di forte condizionamento ideologico, possa privare un giornalista e relativa famiglia dei mezzi di sostentamento per due mesi”.
Le polemiche, neanche a dirlo, si sono scatenate immediatamente. A levare gli scudi in difesa di Facci sono stati in particolar modo due direttori diversissimi fra di loro: Alessandro Sallusti ed Enrico Mentana.
“Filippo Facci non farebbe male a una mosca – ha esordito Sallusti su Il Giornale – e per questo non mi spaventa che abbia rivendicato il «diritto all’odio» di una religione e di una comunità che hanno generato i mostri assassini dei nostri ragazzi. Qui non parliamo di una notizia falsa o di fatti e persone specifiche. Siamo di fronte all’opinione di un intellettuale. Il problema non è condividerla o meno. È non censurarla, non soffocarla, non punirla, come abbiamo sempre invocato per chiunque, compreso per Erri De Luca quando istigò al sabotaggio della Tav”. “Mi spiace per lui – ha concluso il direttore de Il Giornale – e mi spiace per la categoria così ridotta”.
Un attacco pesantissimo all’Ordine dei Giornalisti è arrivato dal direttore del Tg di La7 Enrico Mentana. “C’è gente – ha scritto Mentana – che concepisce il ruolo del giornalista alla stregua di un altoparlante della stazione: annunci, notizie, nessuna opinione”. E ricorda che tutti i grandi del mestiere, da Montanelli a Bocca, furono anche portatori di opinioni forti. “Io con gente che sanziona le opinioni – ha scritto ancora Mentana – non voglio avere nulla a che fare. L’Ordine dei giornalisti da inutile ora è diventato anche dannoso”.
E qui veniamo al punto. Perché Filippo Facci ha certamente sbagliato. Le sue parole nei confronti dell’Islam sono state violente. Anzi violentissime. Ma si trattava comunque di un’opinione personale. E per sanzionarlo sarebbe forse bastata una censura, ovvero quel provvedimento in forma scritta che ammonisce il giornalista. Una sorta di “cartellino giallo”, insomma, senza conseguenze professionali o pecuniarie.
Questo inoltre – come ha giustamente ricordato lo stesso Facci – sembra essere l’ennesimo caso di punizione basato sul “politically correct”, che vieta ai giornalisti di esprimere critiche su una diversa cultura.
Imbattersi in articoli che offendono la Chiesa cattolica, infatti, non è affatto una cosa rara. Eppure non è cosa altrettanto comune trovare giornalisti ai quali sia stato tagliato lo stipendio per averli scritti. “Siamo arrivati al reato di vilipendio islamico?”, si chiede – a questo punto giustamente – Filippo Facci.
Non dimentichiamoci poi i casi in cui il diritto a difendere la sacrosanta libertà di opinione sconfina con la demonizzazione delle opinioni contrarie. Come nel caso della legge contro l’omofobia, che arriva al paradosso di criminalizzare chi al contrario difende la famiglia naturale composta da un uomo e da una donna. In alcuni Stati, dove sono state adottati leggi su questo modello, si è arrivati al punto di incarcerare le persone che la difendevano.
La libertà d’opinione, insomma, o esiste per tutti o per nessuno. Non possono esistere i diritti “personalizzabili”.
A chi se la prende con l’Ordine dei giornalisti, però, andrebbe ricordato che questo ente pubblico non economico ha ancora un’importante funzione. E soprattutto una grande responsabilità. Si tratta infatti di un “cuscinetto” e di un “filtro deontologico” tra i giornalisti e gli editori, proprio per garantire la libertà d’informazione. Il rischio, altrimenti, sarebbe il prevalere di logiche non professionali nella selezione dei giornalisti e nella gestione del rapporto di lavoro tra editori e giornalisti.
Infine, un dettaglio quantomeno curioso: ci sono tanti direttori e giornalisti che si indignano contro l’Ordine e che poi, però, non vedono l’ora di ritirare premi patrocinati proprio dall’Ordine dei giornalisti. E che si rivolgono a questo ente pubblico creato a tutela dei giornalisti ogni volta che attraversano problemi professionali, contrattuali o aziendali, pretendendo assistenza legale gratuita.
E’ un dato di fatto che a volte i consigli di disciplina dell’Ordine sembrano affetti da strabismo e perseguono in modo implacabile, e a volte eccessivo, solo i giornalisti di una certa parte politica.
Tanto per fare un piccolo e concreto esempio: nessuna sanzione è stata comminata a giornalisti che – su organi di stampa di orientamento di centrosinistra – a suo tempo definirono “macchina del fango” la campagna di Libero e del Giornale su Gianfranco Fini e lo scandalo della casa di Montecarlo. Un’inchiesta giornalistica datata 2010, che si è trasformata in un’inchiesta giudiziaria con strascichi penali che stanno andando avanti ancora in questi giorni. A quei giornalisti, ancora oggi, nessuno ha mai chiesto scusa. E quindi, esattamente, quand’è che abbiamo smesso di essere tutti quanti Charlie?
di Ruben Razzante | Lanuovabq.it
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