Difficile di questi tempi (con tutte le problematiche che ben conosciamo: guerre in primis) parlare anche del tragico destino di milioni, miliardi di animali. Fucilati, avvelenati, macellati… o comunque massacrati, sterminati dalle innumerevoli modalità che l’inventiva dei sapiens (se non proprio di tutti i sapiens, almeno di una parte cospicua) ha ideato. Nella realistica prospettiva – alla fine della storia – di rimanersene da soli su questo pianeta. Accucciati su montagne di cadaveri, carogne maleodoranti, ossa sbiancate…tra discariche impianti fatiscenti….a contare i sudati risparmi probabilmente.
Anche se ormai – per ragioni anagrafiche – non è più un problema mio, non posso non pensare a figli e nipoti (non solo ai miei naturalmente). A cosa lasciamo loro in eredità.
Difficile anche perché ormai i responsabili hanno imparato il giochino dello scarica barile. In sintesi (ma ovviamente poi la tecnica è più elaborata) per i cacciatori è sempre e solo colpa dei pesticidi sparsi dagli agricoltori (e viceversa), mentre per gli allevatori è d’obbligo sentirsi porre la retorica domanda “Ma non pensate alle povere bestie uccise dalla caccia?”.
Esiste poi anche la variante inversa adottata da qualche cacciatore che “ha studiato” parlando di quella che loro chiamano “selvaggina”: “Sarà sempre meglio vivere libero e poi morire per una fucilata che vivere segregati in un allevamento…”.
E via così con tutte le variabili banalità possibili. Oltre naturalmente al classico “Ma prima bisogna pensare ai bambini che muoiono di fame in Africa”. Come ci disse uno mentre distribuivamo volantini contro gli allevamenti lager. Sentendosi peraltro rispondere che “ma ci avevano detto che occuparsi dei bambini stasera toccava a lei…”. Tra l’altro in quel periodo (anni ottanta) eravamo quasi quotidianamente sul “piede di guerra” (con la Lega per i diritti dei popoli) sulla questione dell’apartheid sudafricano, ma questo il nostro interlocutore non poteva saperlo.
Cosa si annida nella mente più o meno anestetizzata di tanta gente? Ipocrisia, malafede, falsa coscienza…? Fate voi.
Per quanto riguarda l’Italia, l’ultima stagione venatoria (conclusa il 30 gennaio, un giorno prima in quanto il 31 cadeva di martedì) avrebbe comportato l’uccisione di circa 400 milioni gli animali (numero elaborato “sulla base dei carnieri giornalieri e stagionali previsti per ogni specie e per ogni cacciatore nei calendari venatori”). Ferme restando le preoccupazioni relative ai prolungamenti previsti nelle singole regioni e ai nuovi provvedimenti presi dal governo Meloni (vedi il Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica che dovrebbe diventare operativo entro qualche mese).
Su questo non le manda certo a dire l’esponente della Lav Animali Selvatici Massimo Vitturi: “Quello che si sta materializzando di fronte ai nostri occhi in questi mesi è un futuro nel quale non esisterà più la stagione di caccia come l’abbiamo conosciuta fino a oggi, soppiantata da un regime di caccia permanente nel quale gli animali selvatici saranno considerati solo un ingombrante orpello allo sfruttamento intensivo del territorio piegato all’esclusivo soddisfacimento degli interessi umani».
Ma intanto, ci informa Valentina Milani, le cose non vanno certo meglio in Namibia dove non si arresta nemmeno la strage di rinoceronti per mano dei bracconieri. Ben 87 accertati nel 2022 (praticamente il doppio rispetto al 2021), la maggior parte nel parco di Etosha. Se il numero dei selvatici ammazzati in Zimbabwe sembra essere in diminuzione, non vanno bene le cose per i pangolini in Botswana. La loro specie, insieme a elefanti e rinoceronti, sarebbe quella più ambita dalle bande organizzate di bracconieri.
Un incremento per cui, statisticamente, nel solo Sudafrica un rinoceronte viene abbattuto (soprattutto per il corno, due in quelli africani, ritenuto – a scelta – un medicinale, un afrodisiaco o un oggetto prezioso) mediamente ogni dieci ore, un elefante ogni quarto d’ora.
L’ecocidio di questi ultimi è stato particolarmente intenso in Tanzania e Repubblica democratica del Congo.
Oltre che come ingrediente per la medicina tradizionale (vedi le squame dei pangolini ridotte in polvere), i corpi degli animali selvatici abbattuti vengono venduti localmente in quanto cibo (in particolare le scimmie, gorilla compresi, ma anche serpenti, tartarughe etc). Oppure, se catturati vivi, come animali esotici per collezionisti (soprattutto per l’estero). Scontato l’utilizzo delle zanne d’avorio per oggettistica e altro.
Sempre dalla Namibia, in controtendenza, ci sarebbe qualche miglioramento di prospettiva per la sopravvivenza dei ghepardi, finora presi – letteralmente – di mira dagli allevatori che negli ultimi cinquant’anni ne avrebbero uccisi oltre diecimila. Come per il lupo in Europa, si è pensato di ricorrere ai cani da pastore “di razze turche, di grandi dimensioni e dal forte istinto protettivo” come spiegava Claudia Volonterio.
Rimane tuttavia dolorosamente aperto il problema del bracconaggio, sia per la pelliccia che per la cattura dei piccoli vivi (ma questo, come per i gorilla, implica in genere l’abbattimento della madre) per rivenderli agli emiri (costo previsto: ventimila dollari).
Per non parlare dell’irrisolto e sempre più grave problema (non solo per i ghepardi) della perdita di habitat a causa dell’espansione di centri abitati, strade, allevamenti, piantagioni…
Altro problema cronico, l’uso di pesticidi e fitofarmaci (talvolta un eufemismo per veleni) in agricoltura. Problema che in alcune aree si è andato accentuando in maniera esponenziale.
Vedi certe regioni nel sud-ovest della Russia (Stravropol, Rostov, Kransnodar, Orel…) forse anche a causa della guerra in Ucraina.
Ne ha parlato Vladimir Rozanskij denunciando che dal novembre scorso “decine di migliaia di animali selvatici sono rimasti vittime di pesticidi agricoli proibiti”.
Presumibilmente si diceva un possibile effetto collaterale del conflitto per cui -giustificandosi con una situazione di emergenza – i contadini avrebbero utilizzato ancora più spregiudicatamente sostanze ufficialmente proibite. Versandole a tonnellate nei campi.
Risultato: le desolate campagne costellate di centinaia di cadaveri di gabbiani, volpi, lepri, tassi, pernici, lupi, topi, anatre, fagiani, civette, gufi e cicogne (in diversi casi si trattava di uccelli migratori in transito). Alcuni animali vittime direttamente delle sostanze nocive, altri (volpi, rapaci notturni, sciacalli…) per essersi nutriti dei cadaveri avvelenati.
E’ anche possibile che qualcuno abbia approfittato della situazione per distribuire bocconi avvelenati (di quelli usati contro i topi) come sembrerebbe confermato dalla presenza di sangue intorno a molti cadaveri di mammiferi.
Spettacolo particolarmente apocalittico quello intorno al lago di Solenyi e in periferia di Donskaja Balka con centinaia di esemplari agonizzanti di un raro esemplare di gabbiano, volatili che si erano fermati per riposare mentre si dirigevano a svernare sulle rive del mar Rosso.
Tra le vittime più notevoli (in quanto rarissimi ) la tadorna ferruginea e il fagiano caucasico settentrionale.
Quasi un presagio di futuri lugubri scenari quello che è avvenuto a Krasnodar dove l’abitazione del governatore del Kuban, in una via centrale della città, è stata letteralmente ricoperta da decine di cadaveri di corvi imperiali. Qui giunti a morire e forse a lanciare un monito per la futura umanità.
Gianni Sartori
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