ll fascino discreto della dignità nella fragilità

Vedere il volto sprizzante di gioia di Caterina (figlia del noto giornalista italiano Antonio Socci) che nel 2009 in seguito ad un evento rarissimo subì un arresto cardiaco, fa pensare. Ancora di più fa riflettere il fatto di guardare una donna in un corpo segnato da un’attuale disabilità e desiderarne la stessa strana avvenenza. Lo stesso singolare effetto lo fanno le immagini che ritraggono Katherine Wolf, l’ex modella e Miss Samford 2002 (preliminari per partecipare a Miss America) che nel 2008, all’età di 26 anni, venne colpita da un ictus. Da allora la Wolf, sposata con due figli, è in carrozzina, ha il volto in parte paralizzato ed è sorda da un orecchio. Eppure, anche la sua persona, ha qualcosa di regale, che ispira attrazione e rispetto.

Non si può negare che Caterina e Katherine fossero entrambe bellissime anche prima della malattia, ma a qualcosa che è venuto meno si è aggiunto qualcosa d’altro, qualcosa di misterioso. L’ex modella lo spiega così: “Quando ho avuto l’ictus (…) ho messo la mia apparenza e bellezza nel loro giusto posto”. Parla di una nuova libertà dagli schemi mondani Katherine da quando è semiparalizzata, spiegando che “Dio usa tutto per la Sua gloria. Anche la nostra apparenza può essere usata da Dio”, infatti la bellezza va “ricompresa rispetto alla verità del fatto che il nostro valore è connesso al cento per cento a quello che siamo in Cristo”. Cosa significa che una persona acquista dignità nel sapersi voluta da Dio, Caterina lo spiega con il salmo 138, accompagnato dalla scritta “LA VITA E’BELLISSIMA” postata su Facebook sotto una sua spelndida foto al mare: “Sei Tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatta come un prodigio.(…) Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formata nel segreto, intessuta nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno. Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio; se li conto sono più della sabbia, se li credo finiti, con te sono ancora”. Mercoledì scorso su Libero il padre di Caterina le ha scritto una lettera per dire che “io e tua madre siamo sempre commossi quando – a chi ti chiede se sei felice – tu rispondi decisa (col tuo linguaggio): “sì!”. E sappiamo perché rispondi così. Perché sei amatissima. Perché Gesù è qui. Con noi. E non ci abbandona mai. E’ la nostra forza e il nostro conforto. E’ Lui che ci sostiene in questa lotta. Ed è con Lui che saremo poi nell’eternità, insieme a tanti altri amici. Per la grande Festa. La vita quaggiù è una preparazione alla vera Vita. Ma nessuno più lo sa. E la si butta via o la si spende male”.

Pare quindi che il segreto di questa strana bellezza segnata dalla sofferenza e della profonda dignità che vivono queste donne, opposta alla volgarità e il non rispetto che suscitano tante star all’apparenza molto più “perfette” di loro (solo se misurate a partire dagli standard mondani), nascano dal fondare la propria consistenza in questo Amore infinito. Mentre il rispetto che destano Caterina e Katherine sembrerebbe il riflesso dell’accettazione dell’essere volute così come sono. Una volta papa Benedetto XVI spiegò che solo chi si umilia davanti a Dio, cioè si lascia amare da Lui dentro i propri limiti, sa stare in piedi sicuro di fronte agli uomini. Katherine, infatti, scrive: “Nient’altro ci è richiesto per avere dignità, ma solo accettare che Lui (Dio, ndr) ci ama, ama tutto di noi, comprese le nostre imperfezioni”. Quanta tristezza invece si scorge spesso in quei volti rifatti dei vip che lottano contro i propri limiti fisici. Quanti sguardi senza profondità e quindi alla lunga stancanti, tanto da indurre all’”usa e getta”, mentre guarderesti per ore le facce di queste due donne.

Lo stesso si può dire per la venerabile Benedetta Bianchi Porro, la giovane affetta da un morbo rarissimo che rimase oltre che paralizzata e cieca anche sorda, ma che fino alla morte ricevette decine di giovani che andavano continuamente a visitarla per trarne conforto. Molti di loro hanno raccontato del fascino di Benedetta che, come Socci, ne rivelò il segreto in una lettera scritta ad un giovane malato tramite la madre: “Sono sorda e cieca, perciò le cose, per me, diventano abbastanza difficoltose (…). Avevo diciassette anni quando ero già iscritta all’Università. Poi il male mi ha completamente arrestata quando avevo quasi terminato lo studio: ero all’ultimo esame. (…). Fino a tre mesi fa godevo ancora della vista; ora è notte. Però nel mio calvario non sono disperata. So che in fondo alla via Gesù mi aspetta. (…) Le mie giornate non sono facili; sono dure, ma dolci, perché Gesù è con me, col mio patire, e mi dà soavità nella solitudine e luce nel buio. Lui mi sorride e accetta la mia cooperazione con Lui. Ciao, Natalino, la vita è breve, passa velocemente. Tutto è una brevissima passerella, pericolosa per chi vuole sfrenatamente godere, ma sicura per chi coopera con Lui per giungere in Patria. Ti abbraccio. Tua sorella in Cristo, Benedetta».

A dire che accettando Dio come sovrano, e con Lui la Sua carità, la dignità umana e la bellezza assumono una profondità senza pari. Al contrario, dal rifiuto dei propri limiti, nella ricerca continua dell’eccellenza mondana, si finisce per violentare se stessi e gli altri, rendendo la società asettica e fredda. Fatta di corpi scolpiti dal fitness e da volti disperati. E’ la faccia di un mondo che ha rifiutato Dio. Ma, diceva Dostoevsky, è proprio questo il peccato più grande, rifiutare il Suo amore, perché si priva l’anima della sua linfa vitale provocandole un male così profondo da riflettersi poi nei lineamenti, per quanto “impeccabili” possano apparire. E’strano invece quanto bellezza possa scaturire dalla sofferenza consegnate a Cristo. Eppure è quello stesso strano fascino che proviene dal crocifisso, dove Dio, sottolinea Katherine, “permette ciò che odia per realizzare ciò che ama”.

di Benedetta Frigerio | Laanuovabq.it

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