Con questo articolo vorrei esprimere lo sdegno per un principio che spesso sento ripetere in giro, circolare in vari contesti e serpeggiare fra varie persone (fra le quali alcune addirittura pur vivendo secondo tale modo di pensare pensano di essere ugualmente cristiane)!
Tale principio è quello per cui un certo tipo di ignoranza non sarebbe peccato. Di quale ignoranza si tratta? Dell’ignoranza della parola di Dio!
Prendo spunto, a tal proposito, da un episodio raccontatomi da una persona con la quale ci conoscevamo molto bene. Costui un giorno, mentre parlavamo della bibbia, mi disse che non si dedicava a leggerla perché si rifaceva a un principio che un giorno gli fu detto da un ‘ministro di Dio’, precisamente da un prete. Il principio era il seguente: “Non è fondamentale leggere la bibbia; l’importante è cercare di fare il bene e magari (anche una sola volta l’anno) andare in chiesa”.
Quando ho ascoltato queste parole ho provato uno sdegno spirituale tale da essere indotto a dire alla persona che me le ha riferite che quel principio è un principio diabolico, ché contraddice l’intero senso della parola di Dio. E, onestamente, credo che la bocca del “ministro di Dio” da cui sono uscite quelle parole sia stata usata da Satana per dirle. Infatti solo il padre della menzogna (Giovanni 8: 44) poteva ispirare una simile eresia.
Dire che non è fondamentale leggere la bibbia sarebbe come dire a un povero che non è fondamentale che egli consulti la mappa che lo guiderebbe al tesoro che – se da questi trovato – gli cambierebbe la vita! Una tale assurdità equivale a una bestemmia. Infatti tale pensiero è contrario a qualsiasi esortazione divina contenuta nella bibbia (Giosuè 1: 8; 2 Timoteo 3: 15, 16; Osea 4: 6; Apocalisse 1: 3; Colossesi 4: 16; Atti 1: 1….).
La bibbia è la mappa, è la bussola, è la luce, è la stella, è il sentiero, è la fonte di ispirazione e la custode delle verità che portano a Dio. Come si fa a dire, dunque, che non è fondamentale conoscerla?!
Se il Signore dice che “l’uomo non vive di pane solamente, ma di ogni parola che sarà uscita dalla bocca di Dio” (Matteo 4: 4), come si fa a dire che si può vivere facendo a meno della parola di Dio?! Se il pane fisico (che è utile solo alla vita del corpo, mentre – da sé – lascia lo spirito e l’anima deperiti) è ciò per cui l’uomo si affatica lavorando, quanto più egli dovrebbe occuparsi e preoccuparsi per trovare il pane spirituale della parola di Dio (tanto che il Signore dice: “Adoperatevi non per il cibo che perisce (quello materiale), ma per il cibo che dura in vita eterna, che il Figlio dell’uomo vi darà” – Giovanni 6: 27)?
Che inganno dire che si potrebbe fare a meno della parola di Dio, la bibbia!
Quanto diverse sono, invece, le parole del salmista che dicono:
– la legge del suo Dio è nel suo cuore (cioè nel cuore del vero credente) – Salmo 37: 31;
– buon senno hanno coloro che mettono in pratica la sua legge (ed ovviamente per poter mettere in pratica la legge di Dio si che bisogna conoscerla) – Salmo11: 10;
– la legge della tua bocca val meglio di migliaia di monete d’oro (e questo principio suggerisce il fatto che chi ha compreso l’importanza delle realtà spirituali ( di Dio) comprende quanto esse valgono più delle ricchezze materiali, poiché le cose spirituali dureranno anche nell’eternità, mentre le cose materiali cesseranno, andando in rovina insieme a colui che vi dovesse avere attaccato il cuore) – Salmo 119: 72;
– Beato colui che osserva la legge – Proverbi29: 18
Come non considerare il fatto che colui che disse che non è fondamentale conoscere la bibbia più che un ministro di Dio potrebbe essere un ministro di Satana. D’altra parte la bibbia non fa mistero del fatto che molti capi e ministri religiosi più che essere servi di Dio sono, invece, figli del diavolo (Giovanni 8: 39 – 44), ché ingannano se stessi e seducono le persone, sviandole dalla strada di Dio (Matteo 23: 13). E il frutto di tale inganno e la sorte di tali impostori – dice il Signore – è la geenna del fuoco, l’inferno (Matteo 23: 15).
Come dunque dare ascolto a quei “ministri” che tengono il popolo nell’ignoranza e nella cecità della Luce che la parola di Dio può dare ! (Giovanni 1: 9) Ecco perché Gesù, ammonendo i suoi discepoli (rispetto alle guide religiose cieche del suo tempo) disse: “Lasciateli, sono ciechi e guide di ciechi”(Matteo 15: 14)!
Ora, cosa significano tali parole del Maestro? Esse ci dicono che non dobbiamo seguire gli insegnamenti di guide che sono cieche, anche se queste dovessero vestire gli abiti di capi religiosi. Seguire un uomo anziché il Signore è un errore spiritualmente fatale, che ci farebbe perdere (eternamente) l’anima. Ecco perché il Signore ci esorta col dirci “Lasciateli”, ossia separatevi da loro: dai loro pensieri e dai loro insegnamenti.
Ma qualcuno, forse, un po’ stupito, dirà: “ Ma se costoro sono persino capi religiosi significa che avranno fatto un corso di studi religiosi, come – ad esempio – una laurea in teologia? Può, quindi, uno che ha la laurea in teologia essere un cieco spirituale”? A questa domanda secca va data un’altrettanto secca e precisa risposta. E la risposta è: ovvio! Uno che ha la laurea in teologia può benissimo essere spiritualmente cieco, ovvero non capire spiritualmente niente delle cose di Dio.
La teologia è una materia che insegna delle cose su Dio, una disciplina che parla di Dio. Ora, mentre una cosa è pensare delle cose su Dio, un’altra cosa è ricevere delle rivelazioni da parte diretta di Dio. Dunque è ovvio che conseguire una laurea in teologia non coincide col ricevere delle rivelazioni da parte di Dio. La teologia potrebbe impartire nozioni semplicemente umane e, quindi, anche errate rispetto alla rivelazione di Dio. Del resto erano tutti ‘laureati’ i teologi del tempo di Gesù che lo rigettarono e che, con tutti i loro titoli e studi, non riconobbero che Gesù era ed è il Messia! Com’è vero quello che dice la bibbia: “La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica”! (2 Corinzi 3: 6)
I teologi possono anche avere la lettera degli studi o della parlantina, ma magari non avere mai sperimentato la presenza di Dio nella loro vita o aver vissuto la conversione (visto che quanto forse dicono di sapere su Dio non ha lasciato loro né tempo né spazio per conoscere infondo se stessi (per accorgersi di non essere altro che peccatori)).
In effetti solo un intellettuale spiritualmente cieco, come il prete (nonostante fosse laureato in teologia al seminario) di cui parlavamo prima, poteva dire qualcosa di spiritualmente assurdo come quella che ha detto a quella persona a me nota, ossia che non sarebbe fondamentale leggere la bibbia. Infatti chiunque conosce intimamente Dio sa quanto valore ha il nutrirsi della Sua parola, per mezzo della quale possiamo assimilare i pensieri che Dio ha per noi. Altrimenti resteremmo nella condizione degli uomini naturali (cioè non spirituali) descritta dal Signore con le seguenti parole: “I miei pensieri non sono i vostri”(Isaia 55: 8)!
Lo scopo della fede – dice la bibbia – è la salvezza dell’anima (1 Pietro 1: 9). Ora l’anima (nel contesto della nostra costituzione – essendo noi uomini formati da uno spirito, un’anima e un corpo (1 Tessalonicesi 5: 23) – ) sta fra lo spirito e il corpo. Ciò vuol dire che se essa seguirà lo spirito (ovvero le cose di Dio) allora noi diverremo esseri spirituali; mentre se noi seguiremo il corpo (coi suoi istinti carnali) diverremo carnali, cioè tendenti alle cose della carne (cose ben descritte nel passo biblico di Galati 5: 19 – 21).
Cosa può, dunque, rinforzare in noi la nostra parte spirituale e farci tendere a Dio se non lo stimolo e il nutrimento della Sua parola ( dal momento che Gesù dice: “Le mie parole sono spirito e vita”)? Senza la parola di Dio noi non diventeremmo mai spirituali. “La fede (che viene da Dio e che porta a Dio) viene – infatti – dall’udire la parola di Cristo” (Romani 10: 17). Come faremmo, quindi, a far nascere e crescere la fede in noi senza nutrirci della parola divina (1 Pietro 2: 2)?
Come ha potuto quindi quel “ministro di Dio” suggerire una cosa tanto contraria a Dio stesso, il quale affinchè gli uomini fossero salvati ha ordinato – invece – che la sua parola fosse predicata e conosciuta da tutti e dappertutto (Marco 16: 15, 16)?
Non penso che servano ulteriori commenti per valutare la visione di quel “ministro di Dio”, che ha indirizzato quell’anima non sui pascoli erbosi e lungo le acque chete della parola di Dio (Salmo 23), ma verso il precipizio e il burrone della morte spirituale!
Ma grazie siano rese a Dio, che nella sua infinita sapienza e misericordia ha saputo e voluto indirizzare, poi, quell’anima, nel corso del suo pellegrinaggio terreno, verso la Fonte della vita, permettendogli di incontrare dei veri servi e ministri di Dio, che hanno saputo indirizzarla e ammaestrarla con la sua santa parola. E, così, quell’uomo ha potuto conoscere la salvezza di Dio in Cristo prima che i suoi giorni avessero fine su questa terra.
Sdegno e biasimo, dunque, per i “pastori” che non pascono il gregge, ma rispetto e onore per quelli che si prodigano nell’ammaestrare e nel cibare le pecore col cibo della parola di Dio. Se pertanto quel prete ha frodato e ingannato quell’anima (con l’indurla a pensare che potesse fare a meno dal conoscere personalmente la bibbia) vogliamo vedere, invece, l’immagine di un altro personaggio che, a motivo del suo amore e zelo per la parola di Dio e del suo desiderio di diffonderla tra le genti, può di certo essere definito un vero servo di Dio, William Tyndale. Egli si adoperò perché la bibbia fosse tradotta in inglese (la sua lingua e quella degli abitanti dell’Inghilterra), affinchè chiunque (dai bambini agli anziani) potesse conoscere la bibbia. Di lui si dice che un giorno, parlando con un chierico della chiesa d’Inghilterra (che Tyndale scoprì essere ignorante nella cose di Dio) gli abbia detto: “ Se Dio mi dà vita farò conoscere più Sacra Scrittura a un ragazzo che sta dietro al’aratro di quanta ne conosci tu stesso”. Ciò significa che Tyndale bramava che chiunque potesse conoscere la bibbia ad un livello superiore anche a quello dei religiosi e degli ecclesiastici.
Vi sembra esagerata questa prospettiva o aspettativa (santa) di William Tyndale? Ma essa è la stesa di quella del Signore Gesù, ché dice: “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei (appunto i religiosi (o casta sacerdotale) del suo tempo) voi (cioè noi suoi discepoli) non entrerete affatto nel regno dei cieli” (Matteo 5: 20).
Dunque non è né un’utopia né una velleità quella di voler e dovere conoscere la parola di Dio meglio dei preti o di chissà quale altro ministro di culto.
La bibbia è come il biglietto di invito di Dio dato agli uomini, perché questi conoscano l’indirizzo (ossia la via) per andare in cielo, ovvero nel regno di Dio. Ora, sconoscere la bibbia equivale a non leggere il biglietto con cui Dio ci vuole invitare alla sua festa. Egli ci invita non perché (come spesso fanno gli uomini) si aspetta dei regali da noi, ma, piuttosto, perché Egli stesso vuole farci un dono: la vita eterna con Lui (Romani 6: 23).
Non leggere, quindi , la bibbia equivale a non voler consultare il biglietto d’invito col quale Dio vuole farci partecipi della sua festa per le nozze dell’Agnello (Apocalisse 19: 7, 9), che si terrà un giorno nel cielo e che sarà condivisa da tutti coloro che hanno conosciuto e seguito le vie di Dio sin da quaggiù.
Nella vita si possono ignorare tante cose, senza che una tale ignoranza abbia effetti negativi sul nostro destino (né presente né futuro): potremmo ignorare quanto è grande la terra, quanto è profondo l’oceano, quanto dista la luna dalla terra, quante ossa abbiamo nel corpo o quanti capelli sul capo. Ma ignorare cosa Dio ha fatto per noi e vuole da noi è un’ignoranza datale, perché da essa deriverà e deriverebbe (se tale ignoranza non fosse colmata) la nostra separazione da Dio, sia presente che eterna. Ed essere separati da Dio significa non realizzare lo scopo per cui siamo stati creati. E in tale scopo (di Dio per noi) si nasconde il nostro destino. Attraverso le pagine della bibbia Dio ha voluto , però, rivelarci il nostro destino, poiché – come dice Lui stesso – “Io so i pensieri che medito per voi, pensieri di pace; per darvi una speranza e un avvenire” (ossia un destino felice) – Geremia 29: 11-.
Vorremo noi, dunque, trascurare la conoscenza del destino eterno di Dio per noi, occupandoci di tante cose nella vita (spesso superflue) e tralasciando, invece, la “parte migliore” (Luca 10: 42)? Facciamo attenzione al monito del Signore Gesù: “ Cielo e terra passeranno (noi compresi, dal punto di vista materiale (mentre l’anima durerà per sempre: o con Dio o separata da Lui)), ma le mie parole non passeranno” (Matteo 24: 35).
Trascureremmo noi di conoscere il piano e il destino che Dio ha in serbo per noi e per il quale siamo stati creati?!
Enzo Maniaci | Notiziecristiane.com
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