L’imposizione delle mani

Un prezioso (e incompreso) mezzo di grazia moderno

Cosa insegna la Bibbia riguardo all’imposizione delle mani e come dovrebbe o non dovrebbe funzionare questo antico rituale nelle chiese di oggi?

Come per l’unzione con olio, c’è molta confusione riguardo a queste pratiche sulle quali il Nuovo Testamento ha davvero poco (ma pur sempre qualcosa) da dire.

Come il digiuno, l’imposizione delle mani e l’unzione con olio vanno di pari passo con la preghiera. Per come Dio ha fatto il mondo, e il nostro stesso cuore, in alcune occasioni particolari noi ricerchiamo qualcosa di tangibile, fisico e visibile come conferma, o come segno, per ciò che succede invisibilmente e per ciò che catturiamo con le nostre parole.

Prima di dare un’occhiata a quello che il Nuovo testamento ci insegna riguardo all’imposizione delle mani oggi, scopriamo qual è il nostro compito andando a vedere com’è nata, come funzionava e come si è evoluta questa pratica nella storia del popolo di Dio.

I fondamenti del Primo Patto

Nella Bibbia, possiamo trovare un senso sia positivo sia negativo all’ “imposizione delle mani”, come atto “generale” (di tutti i giorni) o anche “speciale” (cerimoniale).

Nel Vecchio Testamento, solitamente, il modo generale era negativo: “stendere le mani” su qualcuno significava fare del male (Genesi 22:12; 37:22; Esodo 7:4; Neemia 13:21; Ester 2:21; 3:6; 6:2; 8:7) o, come ad esempio in Levitico 24:14, poteva significare infliggere visibilmente la maledizione di Dio sulla persona che dovrà subirla.

Troviamo anche un utilizzo speciale dell’imposizione delle mani, specialmente in Levitico (1:4; 3:2, 8, 13; 4:4, 15, 24, 29, 33; 16:21; anche in Esodo 29:10, 15, 19; in Numeri 8:12), dove il sacerdote debitamente designato “posa le mani” sul sacrificio per spostare la legittima maledizione di Dio sull’animale invece che sul popolo peccaminoso. Infatti, nel giorno dell’Espiazione, il giorno più importante del calendario ebreo, il sommo sacerdote:

…poserà tutte e due le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di lui tutte le iniquità dei figli d’Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li metterà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo che ha questo incarico, lo manderà via nel deserto” (Levitico 16:21).

Questa funzione speciale (o cerimoniale) dell’imposizione delle mani è ciò a cui si riferisce Ebrei 6:1 quando menziona, tra gli altri, i sei insegnamenti del primo patto (“la dottrina elementare di Cristo”) che prepararono il popolo di Dio al nuovo patto: “Ravvedimento dalle opere morte e della fede in Dio, della dottrina dei battesimi, dell’imposizione delle mani, della risurrezione dei morti e del giudizio eterno” (Ebrei 6:1-2).

Mentre gran parte delle citazioni del Vecchio Testamento includono il sacerdote e le cerimonie del primo patto (per trasferire la maledizione sull’animale sacrificale), due brani in particolare (entrambi in Numeri) anticipano come “l’imposizione delle mani” sarebbe stata usata nell’epoca della chiesa (per rilasciare una benedizione su un leader riconosciuto formalmente).
In Numeri 8:10 il popolo di Dio impone le mani sui sacerdoti per dichiararli ufficialmente come loro rappresentanti davanti a Dio e in Numeri 27:18 Dio incarica Mosè di imporre le mani su Giosuè per riconoscerlo formalmente come nuovo leader della nazione.

Le mani di Gesù e dei suoi Apostoli

Quando arriviamo ai Vangeli e agli Atti, possiamo notare un evidente cambiamento nella funzione tipica “dell’imposizione delle mani”. In piccola parte essa trasmette ancora un senso generale/negativo (per fare del male o per il proprio guadagno, ad esempio nel caso degli scribi e i sacerdoti che cercavano di arrestare Gesù, come possiamo vedere in Luca 20:19; 21:12; 22:53), ma adesso con il figlio di Dio tra noi troviamo una connotazione positiva di questa pratica, in quanto Gesù impone le mani sulle persone per benedire e guarire.

Il gesto più comune fatto da Gesù per guarire è toccare, che troviamo spesso con l’espressione “posare le mani” sul malato così che fosse guarito (Matteo 9:18; Marco 5:23; 6:5; 7:32; 8:22–25; Luca 13:13). Gesù “impone le mani” anche sui bambini che vanno a lui per benedirli (Matteo 19:13–15; Marco 10:16).

In Atti, dopo l’ascensione di Gesù in cielo, i suoi apostoli (in effetti) diventano le Sue mani. Qui essi, come il loro Signore, guariscono toccando. Anania “impone le mani” su Paolo, tre giorni dopo l’incontro sulla via di Damasco perché recuperasse la vista (Atti 9:12,17) e le mani di Paolo, a loro volta, diventano canali per operare straordinari miracoli (Atti 14:3;19:11), ad esempio la guarigione di un uomo malato dell’isola di Malta attraverso l’imposizione (Atti 28:8).

L’elemento di novità nei Vangeli è Gesù che si usa “dell’imposizione delle mani” per guarire, mentre negli Atti è la possibilità di dare e ricevere lo Spirito Santo attraverso “l’imposizione delle mani”. Quando il vangelo avanza in Gerusalemme, in tutta la Giudea e Samaria, fino all’estremità della terra (Atti 1:8), Dio si compiace nell’utilizzare l’imposizione delle mani degli apostoli come segno e significato visibile dell’arrivo dello Spirito Santo in nuovi posti e nuove persone – prima in Samaria (Atti 8:17) e poi oltre, anche ad Efeso (19:6).

Nella chiesa oggi

In fine, nelle epistole del Nuovo Testamento, non appena ci soffermiamo ad osservare ciò che è consuetudine nella chiesa di oggi, in Atti possiamo trovare altre due funzioni dell’imposizione delle mani che fanno da eco a quanto scritto in Numeri nei versi menzionati in precedenza (8:10 e 27:18) e impostano quello che viene affermato da Paolo in 1 Timoteo e 2 Timoteo.

In Atti 6:6, quando la chiesa scelse sette uomini affinché servissero come assistenti ufficiali degli apostoli, questi sette furono “presentati agli apostoli, i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani”. Qui, come in Numeri, troviamo un tipo di cerimonia di commissione (o mandato). Il segno visibile dell’imposizione delle mani rappresenta formalmente l’inizio di un nuovo ministero per i sette uomini, che vengono così riconosciuti pubblicamente nel loro ruolo e viene chiesta la benedizione di Dio sulla loro opera.

Lo stesso avviene quando la chiesa si muove seguendo le direttive dello Spirito Santo: “Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati” (Atti 13:2), e poi “Dopo aver digiunato, pregato ed imposto loro le mani, li lasciarono partire” (Atti 13:3). Come in Atti 6:6, questa è una formale chiamata svolta in pubblico, accompagnata dalla richiesta collettiva per la benedizione di Dio su di essa.

La chiamata al ministero

In 1 Timoteo 4:14, Paolo rimprovera Timoteo, il suo delegato ufficiale ad Efeso:

Non trascurare il dono che è in te e che ti fu dato mediante la parola profetica insieme all’imposizione delle mani dal collegio degli anziani”.

Il nostro scopo in questo momento, non è scoprire quale dono ha ricevuto Timoteo (che per inciso sia nei brani precedenti sia in quelli successivi è d’insegnamento), ma il punto è come gli anziani lo hanno introdotto formalmente nella sua chiamata. Timoteo fu infatti inviato per il suo compito specifico con il titolo pubblico di leader riconosciuto – non soltanto dalle loro parole, ma tramite la loro visibile, tangibile e memorabile imposizione delle mani. La cerimonia pubblica di cui stiamo parlando potrebbe essere ciò a cui Paolo si riferisce in 2 Timoteo 1:6 quando parla di un dono di Dio in Timoteo “mediante l’imposizione delle mie mani”.

L’ultimo verso chiave, e forse il più istruttivo, si trova in 1 Timoteo. Paolo scrive ancora:

“Non imporre con troppa fretta le mani ad alcuno, e non partecipare ai peccati altrui; conservati puro” (1 Timoteo 5:22).

In questo caso il soggetto non è la chiamata di Timoteo stesso, ma la sua influenza nella chiamata degli altri. L’ammonimento da parte di Paolo si trova in una sessione riguardo agli anziani che onorano ciò che è buono e disciplinano ciò che è sbagliato (1 Timoteo 5:17-25).

Quando le autorità come Paolo, Timoteo ed altri nella chiesa impongono le mani su qualcuno per una particolare chiamata ministeriale, essi mettono un sigillo d’approvazione sulla persona in questione e, in un certo senso, condividono con essa i successi ed i fallimenti a venire.

Imporre le mani, quindi, è l’opposto di lavarsi le mani come fece Pilato. Quando gli anziani impongono le loro mani su qualcuno per introdurlo in un ministero essi gli commissionano un preciso ruolo di servizio e lo raccomandano a coloro che egli servirà.

Dio dà la grazia

Sia con l’imposizione delle mani sia con l’unzione con olio, gli anziani vanno davanti a Dio, in circostanze speciali, con uno spirito di preghiera e richieste specifiche, ma laddove l’unzione chiede guarigione l’imposizione delle mani chiede benedizione nel ministero intrapreso. L’unzione con olio in Giacomo 5:14 affida il malato a Dio perché sia guarito; L’imposizione delle mani in 1 Timoteo 5:22 affida pubblicamente la persona in questione alla chiesa per un ministero ufficiale.
L’unzione mette il malato davanti a Dio ed esprime il bisogno di un’attenzione speciale da parte di Dio. L’imposizione invece mette davanti a Dio un leader qualificato per un ministero specifico e rappresenta l’idoneità a benedire altri.

L’imposizione delle mani quindi – come l’unzione, il digiuno o altri rituali della chiesa – non è qualcosa di magico e non conferisce automaticamente la grazia, come sostengono alcuni. Piuttosto essa è un “mezzo di grazia” e affianca parole di raccomandazione e preghiere collettive, per coloro che credono. Come il battesimo, l’imposizione delle mani è un tipo di segno e cerimonia inaugurale, un rito d’iniziazione – un modo di rendere visibile, pubblica e memorabile una realtà invisibile, sia per il candidato sia per la congregazione, e di conseguenza per tutto il mondo.

Questa pratica serve come mezzo di grazia per il candidato, per confermare la chiamata di Dio tramite la chiesa e per fornire un momento tangibile e concreto da ricordare nelle difficoltà che accorreranno durante il ministero. L’imposizione è un mezzo della grazia di Dio anche per le autorità che commissionano, le quali espandono il loro cuore ed il loro lavoro ad una persona fidata. Essa rappresenta la grazia di Dio per la congregazione e ribadisce chi sono le autorità ufficiali alle quali il candidato si sottometterà (Ebrei 13:7,17).

In tutto ciò, colui che dà e benedice è solo Dio. Egli stende ed espande il ministero delle autorità. Chiama, sostiene e rende fruttifero il ministero del candidato. Arricchisce, fa maturare, insegna alla chiesa ad amare e lavorare nel modo giusto, a ministrare gli uni gli altri, serviti dagli insegnamenti, dalla saggezza e dalla guida fedele degli anziani, dei diaconi o missionari recentemente designati.

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