Il testo di 8mila caratteri è stato stampato in cinese, inglese, francese, russo, spagnolo e arabo. Presentato oggi ad una conferenza stampa. Molte le acrobazie intellettuali sulla difesa dei credenti e la proibizione ai membri del Partito di seguire una qualche religione; i vincoli per gli stranieri; l’indipendenza e l’auto-sufficienza “scelte” dei credenti. Statistiche improbabili: si calcolano solo i credenti delle comunità ufficiali. Poca “obbiettività” e “scientificità”.
Roma – L’Ufficio di informazione del Consiglio di Stato ha diffuso oggi un “Libro bianco” sulle religioni, o meglio sulla “Politica cinese riguardo alla pratica e alla salvaguardia della libertà di religione”. Il testo di 8mila caratteri, è stato stampato in cinese, inglese, francese, russo, spagnolo e arabo. In esso si esaltano “gli importanti progressi nel garantire la libertà religiosa” nel Paese, mostrando la politica di attuazione, le garanzie legali, la “maniera ordinata” con cui sono espresse le attività religiose, il ruolo delle comunità religiose nella società.
Il testo è presentato oggi in una conferenza stampa, a cui hanno partecipato Chen Zongrong, già vice-direttore dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi (Sara); Xiao Hong, portavoce della passata Sara; Xia Yanchun, portavoce dell’Ufficio di informazione del Consiglio di Stato.
La presentazione del Libro bianco avviene poco tempo dopo che la Sara è stata demolita ed assorbita nel Fronte unito, permettendo un controllo più stretto del Partito comunista cinese (Pcc) sugli affari religiosi.
A una prima lettura, non sembra vi siano cambiamenti sulla politica o sul controllo religioso. Seguendo la conferenza stampa, si può però notare un certo tono di stima da parte di Chen Zongrong, nel definire la Cina “un Paese multireligioso fin dai tempi antichi” e la religione come “un fenomeno sociale universale nella società umana”, senza l’acredine di tradizione marxista che bollava ogni esperienza religiosa come “oppio dei popoli”, da eliminare e superare.
Nel Libro bianco si afferma invece che la Cina mantiene il principio che “le religioni devono essere cinesi nell’orientamento” e che ad esse si provvede “una guida attiva”, così che esse “possano adattarsi alla società socialista”. La “guida attiva” è uno slogan di Xi Jinping, ribadito al Congresso del Pcc lo scorso ottobre e all’Assemblea nazionale del popolo a marzo. Essa è anche un principio dei nuovi Regolamenti sulle attività religiose che fanno di tale “guida attiva” lo strumento per il controllo totale di ogni passo dei credenti ad ogni livello dell’organigramma statale.
Per il resto, il testo è pieno di acrobazie intellettuali soft che riescono a nascondere poco la dura realtà. Ad esempio, vi è l’ingenua (?) affermazione che “nessun organo di Stato o individuo può obbligare i cittadini a credere, o a non credere”, o “discriminare contro cittadini che credono, o non credono”. Ma il primo elemento discriminante è proprio il Pcc, che da anni predica che i membri non possono aderire a nessuna religione nemmeno in privato e addirittura nemmeno dopo che vanno in pensione. Per non parlare poi delle “preferenze” per l’assunzione di quadri del Partito, piuttosto che di bravi professionisti, sprovvisti di tessera del Pcc.
Un’altra acrobazia intellettuale si trova quando si parla della libertà religiosa degli stranieri in territorio cinese. Gli stranieri hanno libertà di andare in templi, chiese, moschee, ma all’interno “delle leggi e regolamenti cinesi”. Ciò significa che essi non sono liberi di incontrare qualunque persona religiosa, ma solo coloro che partecipano alle comunità ufficiali e registrate.
Ogni espressione religiosa di uno straniero deve essere “autorizzata”: l’aprire un ufficio religioso o un sito per attività religiose; gestire istituzioni religiose; reclutare studenti stranieri; reclutare seguaci; nominare personale religioso fra i cinesi; impegnarsi in attività missionarie.
Infine, vi è l’acrobazia intellettuale – un po’ ridicola – secondo cui le religioni in Cina sono state sempre “pacifiche” e “in armonia”. Il Libro bianco afferma: “I conflitti religiosi e gli scontri sono stati rari in Cina… negli ultimi 2mila anni… Lo Stato e la società hanno mantenuto una mente aperta verso le diverse religioni e credenze popolari”. Si tralascia di ricordare che spesso gli imperatori – dai Tang fino ai Qing – hanno messo una religione contro l’altra, utilizzando una o l’altra per motivi politici o di alleanza con Stati stranieri… Senza poi dimenticare il periodo di Mao e della Rivoluzione culturale in cui proprio il Partito ha tentato di annientare ogni espressione religiosa.
Un altro “falso storico” è quando il Libro bianco dice che “il principio di indipendenza e di autonomia è una scelta storica compiuta dai credenti delle religioni cinesi nella lotta che il popolo cinese ha ingaggiato per l’indipendenza nazionale e il progresso sociale”. In realtà, tutte le religioni hanno resistito al controllo e alla rottura con le comunità di altri adepti nel mondo. E nella Chiesa cattolica degli anni ’50, decine di vescovi hanno piuttosto accettato di passare lunghi anni nei lager, che aderire alle pretese “patriottiche e indipendentiste” del Partito.
L’elemento che lascia più scettici è la lista di statistiche sulle religioni. E questo nonostante Chen Zongrong abbia rivendicato uno sguardo “oggettivo” e “scientifico” verso le religioni e i credenti.
Secondo il Libro bianco, in Cina vi sono cinque religioni (riconosciute): buddismo, taoismo, islam, protestantesimo e cattolicesimo. Essi radunano 200 milioni di fedeli e sono serviti da 380mila fra sacerdoti, imam, pastori, ecc.
Le statistiche che il Libro bianco dà su cattolici e protestanti (6 milioni e 30 milioni, rispettivamente) rivelano il difetto: esso basa i suoi calcoli solo sulle comunità ufficiali, sebbene ogni religione in Cina abbia una dimensione non ufficiale. Per i cattolici si stima vi siano almeno 6 milioni di fedeli sotterranei; per i protestanti circa 60 milioni.
Se si aggiungono i buddisti sotterranei – molti gruppi e associazioni che si nascondono sotto apparenze “culturali” – o i taoisti, il numero di credenti in Cina dovrebbe superare i 500 milioni, senza contare i credenti in qualche elemento soprannaturale.
Da qui appare evidente il difetto del Libro bianco: non è un tentativo di stilare una mappa delle religioni, ma di convincere il mondo che le uniche religioni esistenti in Cina sono quelle ufficiali, permesse dal Pcc. Per esso, la religione è una concessione dall’alto del potere politico, non una dimensione innata dell’uomo, cinese o straniero.
Bernardo Cervellera | Asianews.it
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