“Uomo, fai agli altri uomini ciò che vuoi che gli altri uomini facciano a te”
(Matteo 7:12-14)
“I Miserabili” è un romanzo scritto da Victor Hugo nel 1862. Romanzo di grande spessore letterario esso narra le vicende di vari personaggi della Parigi post rivoluzione (1815-1833), con alcuni riferimenti alle vicende della Rivoluzione francese e alle guerre napoleoniche. Lo sfondo sociale è quello della gente che appartiene agli strati più bassi, appunto gente “miserabile”, persone cadute in miseria, prostitute, vagabondi, bambini della strada, studenti poveri. Il romanzo può essere definito come un racconto di vicende personali cadute in disgrazia che vogliono redimersi, una narrazione di peccato e di redenzione. Sono state realizzate diverse opere cinematografiche sul romanzo di Victor Hugo, uno delle quali, quella che personalmente ho visto, è quella realizzata nel 1978 con Richard Jordan e Anthony Perkins. Narra in particolar modo la vicenda di ex galeotto, Jean Valjean, che, fuggito dal carcere, si trova a vagabondare, senza che qualcuno abbia compassione di lui, fino a quando si imbatte nella benevolenza del Vescovo di Digne, Monsignor Myriel, il quale gli perdona il furto di preziosi candelabri e di argenteria, affermando ai gendarmi che lo avevano arrestato che l’argenteria era stato un suo personale dono. Questo atto di benevolenza determina in lui un cambiamento totale, che lo porta ad essere anch’esso magnanimo, occupando una posizione sociale rispettabile(diventa sindaco di Montreuil –sur-Mer per la sua rettitudine e benevolenza verso la gente bisognosa) con Fantine, poverissima donna, licenziata dalla sua fabbrica a sua insaputa perché era ragazza-madre(fatto inaccettabile dalla moralità del tempo) alla quale in punta di morte le promette di prendersi cura della figlia….
Il protagonista dei “Miserabili” sembra essere uscito dalla penna di Hugo in seguito alla lettura delle parole infocate di Gesù in Matteo 7:12-14: “… Tutte le cose che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele voi anche a loro, perché questa è la legge e i profeti”(v,12). Che cosa vuole comunicare Gesù ai suoi discepoli con queste penetranti parole apparentemente enigmatiche? E che relazione esse hanno con i testi precedenti? Credo che dobbiamo soffermarci particolarmente a riflettere sulla parte finale della frase, ossia “… Questa è la legge e i profeti”. Una simile formula noi la troviamo nello stesso evangelo di Matteo nel dialogo di Gesù con un dottore della legge, che lo interroga, volendo metterlo alla prova, intorno al grande comandamento. In quell’occasione Gesù rimanda il malevolo saccente scriba alla Torah, nella quale è contemplato il duplice massimo comandamento, ossia l’amore per Dio e l’amore per il prossimo (cfr.Dt 6:5; Lv19:18), che Gesù sapientemente mette insieme. Conseguentemente noi possiamo arguire che Gesù stia rimandando i suoi discepoli ad assumere un comportamento amorevole verso i propri compagni di umanità, siano essi cristiani che increduli. In tal modo l’espressione gesuana “…. Fate agli uomini tutto quello che voi volete che gli uomini vi facciano…” può essere definita come un sapiente riassunto di tutto il Sermone del Monte. La regola d’oro conferisce maggiore lucentezza divina su tutto l’insegnamento etico precedente: è la “giustizia superiore”, è la condotta distintiva del discepolo che ha iniziato il faticoso, ma gratificante viaggio insieme con Gesù. Tuttavia tale espressione non era sconosciuta prima che Gesù la riformulasse. Il filosofo greco Talete che è vissuto cinquecento anni prima di Gesù si pronunciava così: “evita di fare quello che rimproveri agli altri di fare”. Anche il retore ateniese Isocrate affermò una frase analoga: “Non fare agli altri ciò che ti riempirebbe d’ira se fatto a te dagli altri”. Lo stesso Ebraismo non era all’oscuro di una tale massima. Infatti, il famoso rabbi Hillel, commentando Lv 19:18 affermò: Non fare agli altri ciò che non vuoi che gli altri facciano a te”. Tutte queste massime sono espresse nella forma negativa del divieto. Al contrario, Gesù,che ha in mente l’insegnamento etico della Torah, la formula in forma positiva, innalzandola al rango di massima divina(“questa è la legge e i profeti”).
Se questa è la regola aurea, quale condotta il seguace di Gesù deve adottare? Se si invertissero le parti e ci mettessimo nei panni del nostro prossimo che si trova in una determinata situazione, come ci piacerebbe essere trattati in quella determinata situazione? Nei versetti immediatamente precedenti è sottolineato il profondo amore del Signore che vuole dare cose buone ai suoi. Similmente i discepoli di Gesù acquistano la libertà spirituale ed interiore a considerare amorevolmente il suo prossimo. Questo non vuol dire che il discepolo di Gesù che è alla sua sequela è chiamato a soddisfare tutti i capricci del suo prossimo. Se il cristiano adottasse una simile condotta scriteriata si troverebbe inevitabilmente scacciato nella sua dignità e schernito. No, il cristiano è chiamato ad amare il suo prossimo in maniera intelligente cogliendo i reali bisogni del suo prossimo. Con l’affermazione positiva della regola aurea Gesù vuole evidenziare che il suo discepolo debba evitare di recare ignobili offese e vessazioni al suo prossimo, ogni forma di malizia, l’uso della vendetta. La truffa e l’inganno, ma anche ha l’obbligo di soccorrerlo e di procuragli il bene, fosse anche il suo acerrimo nemico. L’invito di Gesù rivolto ai suoi seguaci di entrare per la porta stretta suona come una vera e propria affermazione della controcultura cristiana che mette sottosopra i valori convenzionali dell’uomo naturale e della società regolata secondo proprie norme e consuetudini dove prevale la scalata al successo sociale attraverso soprusi e vessazioni e la ricerca smodata di ogni forma di edonismo, il quale è vissuto attraverso una propria personale etica (è emblematica la frase: “l’importante che non arreco alcun male a nessuno”). Chi entra per la porta stretta gli spiana la strada verso la “Vita”. La vita eterna non si trova seguendo la fiumana di persone che hanno le loro regole di vita intramondana, ma attraverso la sequela di Gesù(la porta stretta), che richiede un alto prezzo da pagare, quello del dono della propria vita. Conversione e santificazione stanno alla base dell’esperienza del cristiano(“ stretta è la porta e angusta è la via che porta alla vita”), che dà vita a quell’azione controculturale all’interno di una società ad un tempo laica e religiosa, che, sebbene persegua nobili ideali di solidarietà e fraternità tra gli uomini, essa tuttavia è indulgente e lassista nell’etica, egoista e cinica nella difesa dei propri interessi, prevaricatrice, umiliando e calpestando la dignità dell’uomo stesso verso il quale ideologicamente ha una amorevole attenzione. E’ una società che non conosce la conversione e che bistratta nelle sue espressioni religiose la testimonianza evangelica di un Cristianesimo contro culturale, in cui prevale la sequela di Gesù senza condizioni e che costa la rinuncia a tutti quei modelli culturali secolari che intronizzano l’uomo e la ragione nella quotidianità della vita vissuta( la via larga e spaziosa che porta alla totale alienazione da Dio).
“…. Una piccola schiera di uomini che seguono Gesù viene separata dalla maggioranza degli uomini. I discepoli sono pochi e saranno sempre pochi. Questa parola di Gesù taglia alle radici ogni falsa speranza di efficacia. Mai un seguace di Cristo ha posto la sua speranza nel numero.-come sono pochi…, ma gli altri sono numerosi e lo saranno sempre. Ma essi vanno incontro alla loro perdizione. Quale altra può essere la consolazione dei discepoli in tale esperienza se non che a loro è promessa la vita, l’eterna comunione con Gesù?
La via di chi segue Gesù è stretta. E’ facile passare oltre, è facile non vederla; è facile perderla anche quando si è incamminati. E’ difficile da trovare. La via è veramente stretta, il precipizio su ambi i lati pericoloso… essere chiamati ad una cosa straordinaria, farla eppure non vedere e non sapere di farla… questo è veramente un via stretta. Confessare la volontà di Gesù e darne testimonianza, eppure amare il nemico di questa verità, il suo ed il nostro nemico con l’amore incondizionato di Gesù Cristo… questo è veramente una via stretta. Credere alla promessa di Gesù che chi lo segue possederà la terra, eppure incontrare, indifesi, il nemico, subire l’ingiustizia piuttosto che commetterne… questo è veramente la via stretta. Vedere l’altro e riconoscere la sua debolezza, la sua ingiustizia e non giudicarlo mai, annunziagli l’Evangelo, ma non gettare mai le perle ai porci … questa è veramente una via stretta. Finché in questa via riconosco quella che mi è stato ordinato di percorrere e la percorro preso dalla paura di me stesso, in realtà è una via impossibile. Ma se vedo Gesù Cristo precedere passo dopo passo, se guardo solo a lui e lo seguo passo per passo, sarà mantenuto su questa via. Se guardo alla pericolosità della mia azione, se guardo la via invece di guardare colui che mi precede, il mio piede sta già vacillando. Infatti, egli stesso è la via. Egli è la via angusta e la porta stretta. Bisogna trovare solo lui. Se lo sappiamo, allora percorriamo la via stretta e passiamo per la stretta porta della croce di Gesù Cristo che conduce alla vita, e allora proprio il fatto che è stretta ci dà certezza…(1)
(1) Dietrich Bonhoeffer-Sequela. Queriniana ed, Bs, 1975, pag. 168-169
Paolo Brancé | Notiziecristiane.com
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