Ho in mente un articolo preciso. È passato un giorno. Finalmente si è accorsi attorno all’albergo. Non si sente ancora nessun segno di vita. Ed ecco, l’accusa.
Il terremoto, la neve, la valanga, l’Hotel Rigopiano. I morti e il sorriso sgargiante del pompiere con la barba nera che dà una pacca a quella testolina di bambino salvato, come Marcellino-pane-e-vino. Lo hanno estratto loro, i vigili del fuoco, e sono loro a dirgli “Bravo, bravo, Chicco”. Boris come tutti è stato anch’egli preso per i piedi dalla slavina del Gran Sasso, impossibile sottrarsi, fingere di essere altrove. Siamo proprio tutti implicati l’uno con l’altro. Ci stringiamo nel nostro orto, ci chiudiamo nel pollaio a contare le nostre uova per la frittata, ma la realtà sbuca da tutte le parti, e siccome siamo bestie umane dobbiamo sollevare lo sguardo dalla terra e il nostro udito non è da vicino sensibile come quello degli amici cani, ma sente il grido – se vuole – che giunge da migliaia di chilometri.
Una cosa è insopportabile. La menzogna. La slavina vischiosa dell’ideologia, là dove gli specialisti della morale battono il loro pugno sul petto degli altri. Boris non contesta il dovere di esaminare i fatti e capire se si poteva far di meglio contro la tremenda forza scatenata dalla natura. Esiste una responsabilità degli uomini, e le colpe della politica e delle burocrazie primeggiano come sempre. Quelli che erano al potere prima, e vennero accusati per i terremoti sotto la loro giurisdizione, ora si scatenano contro i successori: pan per focaccia, come se il risultato fosse uno a uno… e non due a zero contro il popolo.
Il fatto non sussiste, il marchio dell’infamia sì
Ma qui ho in mente un articolo preciso. Non su internet, bensì sulla prima pagina del più autorevole e diffuso quotidiano italiano. È passato un giorno. Si è finalmente accorsi attorno all’albergo di Rigopiano. Non si sente – in quel momento – nessun segno di vita. Ed ecco, l’accusa. La formula Sergio Rizzo, un giornalista molto severo sui numeri e le carte. È stato lui soprattutto a inchiodare i politici di ogni ordine e grado alla definizione di “casta”. In questo articolo le sue carte e i suoi numeri abbandonano ogni rigore, affondano nel sospetto propalato come anticamera della verità.
La prima osservazione è sacrosanta: «Lo spazzaneve non è mai arrivato. E arrivata invece la slavina». Poi la leggenda nera. «Dove sorgeva il resort a quattro stelle abbattuto da quella terribile valanga c’era un tempo soltanto un casolare. Una costruzione di campagna in una zona destinata a pascolo che sarebbe stata ampliata abusivamente occupando una porzione di suolo pubblico per realizzare, appunto, la residenza alberghiera di cui stiamo parlando. Questo, almeno, secondo i giudici. Manco a dirlo, infatti, la vicenda finì anche al centro di una indagine giudiziaria con il coinvolgimento di due sindaci del Comune di Farindola, due assessori, un consigliere comunale e un paio di imprenditori. Tutti rinviati a giudizio in seguito a una delibera del settembre 2008 con la quale era stata concessa al costruttore la sanatoria per l’occupazione abusiva del suolo pubblico. I magistrati arrivarono a ipotizzare che per ottenerla fosse stato distribuito ai politici qualche zuccherino: alcune migliaia di euro e magari certe assunzioni di favore. Il procedimento è andato avanti tre anni. Finché a novembre del 2016 la faccenda si è chiusa con l’assoluzione di tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste”».
Boris si scusa per la lunga citazione. Ognuno si faccia la sua sintesi. La mia è questa, estratta come succo da allusione e mezze parole. Quest’hotel è abusivo. Per realizzarlo il proprietario ha distribuito mazzette ai politici. Infatti c’è stato un processo. Il risultato sancito dal tribunale? Assoluzione. La formula è: «Il fatto non sussiste». Se il fatto non sussiste, perché allora il Corriere getta il marchio dell’infamia? Siamo al giustizialismo della morte. L’avviso di garanzia, il rinvio a giudizio, il sospetto prevalgono sulla sancita innocenza. Perché? È civiltà questa?
Foto Ansa
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