Di fronte alla violenza maschile esercitata contro le donne.
«Io non sono quell’uomo che ti oltraggiò fino ad attentare alla tua vita. Ma so che in me, non fosse altro che per una cultura millenaria sopravvissuta fino ad oggi, si trova qualcosa di quell’uomo. Perciò so che il rifiuto della violenza verso le donne mi riguarda anche personalmente». Con questa frase e mettendoci la faccia, con una mia foto, ho partecipato il 25 novembre all’iniziativa dei social contro la violenza verso le donne.
Tante cose possono essere e sono state dette sulla violenza di genere verso le donne. Potremmo commentare le statistiche relative agli immigrati o su particolari gruppi etnici, oppure sugli italiani, a Nord come al Sud o sui diversi ceti sociali. Potremmo guardare all’Italia nel suo insieme o ad altri paesi europei ed extraeuropei. Coglieremmo forse aspetti utili a elaborare strategie di contrasto, ma il dato resterebbe sostanzialmente invariato. I casi di uomini che manifestano la loro frustrazione per un abbandono, un tradimento o per scelte non condivise da parte delle «proprie» donne, con violenza psicologica, stalking, o aggressione fisica sono un fenomeno trasversale massiccio e diffuso che non accenna a ridimensionarsi.
Scrivo a partire da una modesta esperienza comunitaria che stiamo facendo da qualche anno, con la costituzione di un gruppo maschile, con l’obiettivo di riflettere sulle questioni di genere. Il nostro lavoro è stato in questi mesi soprattutto mirato a creare uno spazio protetto da un patto di riservatezza, nel quale, ciascuno possa esprimersi liberamente e senza il timore del giudizio, nel quale provare a costruire la narrazione del proprio sé. Uso il termine «costruire» deliberatamente, perché proprio nel corso del nostro lavoro, abbiamo scoperto che, non essendo abituati a parlare di noi, non avevamo una storia da raccontare, ma solo frammenti di identità insufficienti a rispondere alla fondamentale domanda: chi sono?
Molti di noi hanno scoperto di essere come dei pozzi profondi, dentro i quali, se lasci cadere un sasso, aspetti invano il tonfo. Lo spazio inesplorato della propria interiorità, e la mancata connessione con il sé, costituiscono un problema che si manifesta anche nella nostra vita di relazione e d’amore, e che emerge di tanto in tanto in sogni e strane fantasie.
Cerco di spiegarmi. Esistono uomini prepotenti e violenti con le proprie donne. E ne esistono altri che sanno essere galanti e gentili fino a un certo punto. Uomini dei quali non diresti a tua figlia di starne alla larga, perché non evidenziano risvolti problematici della loro personalità. Tuttavia è nelle circostanze della relazione, quasi sempre dinanzi a un diverbio, a una palese e verbalizzata differenza dei desideri dei partner, o ancor di più, dinanzi alla fine dichiarata di un amore, che dalle profondità di quel pozzo emergono lati e aspetti «violenti» insospettati perfino dallo stesso soggetto.
Perché in fondo al pozzo non ci sono solo le violenze subite nell’infanzia o modelli paterni, materni o religiosi, sbagliati, ma c’è una cultura millenaria che ha affermato in molti modi l’inferiorità della donna, e il diritto dell’uomo di disporre della vita e del corpo della «propria» donna. Questo è nascosto perfino a se stessi, ed emerge in particolari circostanze spingendo talvolta a comportamenti irrimediabili. Dunque anche uomini che non abbiano essi stessi subìto comportamenti violenti, dovrebbero esercitare un’attenta vigilanza su se stessi.
Quando nel credo apostolico affermiamo che Cristo «discese agli inferi», io penso alla sua discesa anche in questo «pozzo interiore», per venirci a liberare dal potere del male e della morte. La salvezza dell’evangelo è al tempo stesso evento puntuale, che ha avuto luogo una volta e per tutte nella croce di Cristo, ma è anche un processo terapeutico costante, che dura tutta la vita, mediante il quale i demoni, anche quelli che hanno origine in guasti culturali plurisecolari, vengono scovati e sfrattati.
Una comunità cristiana, tristemente consapevole di aver partecipato a quella cultura misogina, può essere anche il laboratorio nel quale, nell’incontro con la Parola, nel dialogo e nella preghiera, un nuovo modo di essere maschi può venire alla luce, una modalità che ritrova nella mascolinità di Gesù, un modello nonviolento cui ispirarsi.
Immagine: via istockphoto.com
di Massimo Aprile | Riforma.it
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