La normativa europea dovrà anche tutelare i minori online. L’Europa salverà i bambini dagli orchi digitali? Il Digital Services Act (Dsa), ovvero il Regolamento UE 2022/206 dovrebbe servire a questo. Ma il condizionale è d’obbligo.
Qualche settimana fa mi sono trovata a conversare con un’elegante signora di nome Letizia, classe 1938, nonna di due nipoti in età adolescenziale, e ho approfittato per chiederle cosa pensasse di Internet, di questi cosiddetti “telefoni intelligenti”, di come hanno trasformato le nostre vite. Sorpresa dalla domanda, ma contenta che qualcuno si interessasse al suo parere sul tema, quasi fosse un evento straordinario, mi ha risposto: «È come se ci avessero tolto la terra da sotto piedi». Poi ha continuato, descrivendomi lo smartphone come un piccolo televisore ipnotizzante che disturba il tempo che passa con i suoi nipotini impedendo spesso di dialogare con loro, di farsi raccontare come va a scuola, cosa li appassiona. «È difficile interessarli alle storie di famiglia, tramandare i rituali. Se non stanno a guardare Tik Tok o Instagram o altre cose così, devono rispondere ai messaggi di tanti amici» ha spiegato nonna Letizia e poi guardandomi con gli occhi umidi ha concluso: «Alla fine ci si sente quasi inutili, inadeguati senza un posto nelle loro vite e forse, e nemmeno in questo nuovo mondo».
Ma perché parlare di nonna Letizia? Una cosa alla volta. Prima analizziamo il Digital Services Act (Dsa), cosa intende cambiare, e i dubbi che solleva.
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In quale contesto si inserisce il Dsa
Il Dsa arriva dopo un lungo vuoto legislativo di venti anni, cioè dalla direttiva E-Commerce che nel 2000 mirava a regolare (e assicurare il decollo) della nuova e promettente economia on-line. Questo ritardo appare inspiegabile, considerato che solo qualche anno dopo l’arrivo di nuovi contenuti e prodotti nello spazio digitale, come le piattaforme social e le app e la diffusione dello smartphone, ha radicalmente trasformato questo spazio che viene imprudentemente reso accessibile ai minori: «Una fascia di popolazione che risulta maggiormente esposta all’influenza di contenuti dannosi in quanto ancora priva di una maturità e di una capacità critica tali da consentire una corretta e non lesiva fruizione di determinati immagini, suoni o parole», scrive Daniela Messina, su Agenda Digitale del 15 giugno 2021. La professoressa dell’Università Parthenope di Napoli ricorda che nel nostro Paese «la tutela dei minori non solo deve sostanziarsi nella necessaria individuazione di norme e presidi sanzionatori a protezione della dignità e della riservatezza dei singoli, ma deve volgere lo sguardo anche al percorso di crescita del minore al fine di garantire un’equilibrata evoluzione della sua personalità mediante la previsione di ulteriori e più specifici limiti e garanzie». Un sistema di tutele specifiche è incardinato negli artt. 2 e 3 Cost., per poi realizzarsi nell’art. 31, comma 2, che attribuisce alla Repubblica uno specifico compito di protezione nei confronti della maternità, dell’infanzia e della gioventù «richiedendo a tal fine la predisposizione di appositi istituti». In aggiunta, l’art. 21, comma 6 stabilisce standard di protezione per quanto attiene alla diffusione di contenuti audiovisivi laddove il limite esplicito del buon costume riguarda «la garanzia della dignità, del pudore sessuale e dell’equilibrio psichico e morale dei minori».
Per circa venti anni quindi oltre al vuoto legislativo europeo è mancata anche l’introduzione di un quadro giuridico ad hoc a livello nazionale, né ci sono stati interventi per vietare tali prodotti ai minori in attesa di verificare la loro sicurezza. In questo vuoto un manipolo di aziende extraeuropee in malafede, ha diffuso tra la popolazione un dispositivo progettato per iniettare una molteplicità di dipendenze intense, così come era successo in precedenza con le sigarette. Questa volta però la creazione di dipendenza è abbinata alla potente tecnologia persuasiva per realizzare il monitoraggio e la monetizzazione del comportamento umano, e del cambiamento di tale comportamento. A tal fine gli algoritmi sono stati costruiti per far leva sulle debolezze e gli istinti più bassi degli utenti innescando una regressione sociale su scala mondiale.
Alison Beard, nell’articolo È ora di riinquadrare le Big Tech (Time to Rein In Big Tech?) apparso su Harvard Business Review (numero di novembre-dicembre 2021), offre i dettagli di tanta devastazione. I cinque giganti americani Gafam (Google Amazon Facebook/Meta Apple e Microsoft) «non solo sono cresciuti in modo sorprendente, ma operano anche in regime di monopolio nella maggior parte dei settori del mercato tecnologico». La Beard precisa che «nel 2020 hanno guadagnato collettivamente quasi 200 miliardi di dollari su ricavi di oltre 1 trilione di dollari». Ma al successo di tali aziende e ai ricchi stipendi dei loro dipendenti non è corrisposto un maggiore benessere per i cittadini, utenti dai quali esse hanno estratto dati personali e intimi fonte primaria dei loro profitti. «I salari della classe media e bassa ristagnano, le piccole imprese stanno lottando per sopravvivere, le infrastrutture, l’istruzione e l’assistenza sanitaria rimangono sotto-finanziate, la criminalità informatica è in aumento, e la società è sempre più polarizzata a causa della disinformazione e del vetriolo online». Per di più, «dai mercati sviluppati a quelli emergenti, coloro al di fuori della tecnologia catturano solo una piccola parte del valore che essa crea».
Forse l’aspetto più terrificante per una civiltà avanzata è che in questa economia chiamata “dell’attenzione”, cioè basata sull’interazione ossessiva con gli schermi, una fonte importante di profitto proviene da numerose forme di sfruttamento, abuso e indottrinamento dei minori, molto difficile da realizzare nell’economia reale. I dettagli emersi durante le audizioni di Frances Haugen e decine di esperti hanno portato anche il Presidente degli Stati Uniti a scagliarsi contro i social network in diverse occasioni, accusandoli pubblicamente «di condurre esperimenti sui bambini a fine di lucro». Solo parole?
Gli effetti di tanta libertà d’azione, senza responsabilità né timore di sanzioni (e ancora meno timore di Dio), emergono dal crescente numero di studi scientifici internazionali condotti nell’ultimo decennio. Questi dimostrano che lo smartphone e i prodotti a cui fa accedere (social network, giochi on line, etc.) presentano una pletora di rischi e pericoli per bambini e adolescenti e non solo. L’elenco dei danni spazia da quelli fisici a quelli psicologici e relazionali: sviluppo precoce di miopia, aumento di dolori muscolo-scheletrici, obesità, disturbi del sonno, diminuzione delle capacità cognitive, fatica a concentrarsi, malattie mentali, eccessiva attenzione per il corpo, disturbi dell’apprendimento e del linguaggio, aggressività, isolamento, depressione, apatia, diminuzione dell’empatia, cinismo, e ansia sociale.
Capite bene che il pericolo dell’adescamento da parte di orchi e altri criminali è quindi solo la tragica punta di un iceberg che tutti noi tolleriamo, spesso ignorandone la vastità.
Di recente, la questione dell’impatto del digitale sui minori è stato al centro dei lavori della VII Commissione Istruzione Pubblica del Senato composta da 23 membri di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, tra i quali Liliana Segre, che ha avviato un’indagine conoscitiva (Impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento), nel corso della quale «neurologi, psichiatri, psicologi, pedagogisti, grafologi ed esponenti delle Forze dell’ordine hanno sostenuto, ognuno dal proprio punto di vista scientifico, che le implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche dell’abuso di smartphone e videogiochi sono le stesse della cocaina», e lo stesso vale per il web e i social progettati per creare dipendenza. Nel giugno 2021, il Documento della VII Commissione comunicato alla Presidenza della Repubblica ha confermato: «Affidare totalmente la crescita di bambini e adolescenti alle tecnologie informatiche nuoce gravemente al loro sviluppo psicofisico, relazionale, cognitivo, intellettivo». (Alvaro Belardinelli, su Tecnica della scuola, 10 luglio 2021)
Anche l’Onu esprimendosi sui diritti dei bambini in relazione all’ambiente digitale attraverso il commento generale n. 25 della Carta e della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia (Uncrc) ha stabilito formalmente che questi diritti vanno tutelati anche nel mondo digitale, confermando il principio che non esistono i diritti digitali ma esistono i diritti che devono essere rispettati anche nell’ambiente digitale.
Per questo c’era grande attesa per il Dsa. Migliaia di associazioni che si occupano di tutela dei minori hanno tenuto l’attenzione alta durante tutto il percorso di approvazione e sono intervenute più volte per contrastare le intrusioni delle lobbies che miravano a ridurre l’impatto economico delle tutele introdotte.
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Cosa prevede – in teoria – il Digital Services Act (Dsa)
Con il Dsa vengono stabilite le regole che i gestori di piattaforme on line dovranno rispettare per proteggere gli utenti digitali europei. In particolare, viene imposta la trasparenza sulla profilazione e il funzionamento delle piattaforme online, con obbligo per i fornitori di collaborare con le autorità e sottoporsi ad audit indipendenti.
Josephine Condemi, su Agenda Digitale dell’11 agosto 2022 spiega che il Dsa si rivolge alle seguenti tipologie di servizi digitali:mercati online, social network, piattaforme di condivisione dei contenuti, piattaforme di viaggio online e di alloggio, app store, servizi di intermediazione (es. provider Internet e register di domini), servizi di cloud e hosting web, piattaforme di economia collaborativa.
Alcuni tra i cambiamenti più importanti rilevati sono:
• restrizioni per la “pubblicità mirata”, quella pratica che permette di studiare l’utente mentre usufruisce dei servizi digitali per personalizzare al massimo l’offerta di contenuti pubblicitari. Queste restrizioni diventano divieti laddove gli stessi servizi sono rivolti anche a un pubblico di minori e di categorie vulnerabili;
• divieto di ricorrere a tecniche ingannevoli per manipolare o influenzare le scelte degli utenti (attraverso modelli di dark pattern, cioè “percorsi oscuri” per spingere gli utenti a compiere certe azioni che altrimenti non avrebbero compiuto – come per esempio dare il consenso al trattamento dei propri dati personali – o renderne più difficili altre);
• obbligo per le piattaforme di rimuovere “tempestivamente” (sulla base delle leggi nazionali ed europee) contenuti illegali non appena esse ne vengano a conoscenza e trasparenza nell’uso dei sistemi di raccomandazione;
• obbligo per i siti di vendita on line di verificare l’identità dei propri fornitori prima di vendere i loro prodotti. (Una tutela contro le truffe).
L’accordo stabilisce inoltre obblighi precisi per le piattaforme, proporzionati alle dimensioni, all’impatto e al rischio e affida alla Commissione la supervisione delle grandi piattaforme online, ovvero quelle con più di 45 milioni di utenti attivi come Google, Apple, Facebook/Meta, Amazon, Microsoft. La Commissione potrà imporre sanzioni fino al 6% del fatturato globale o addirittura il divieto di operare nel mercato unico dell’Ue in caso di ripetute e gravi violazioni.
Il Dsa ha ribadito, all’art.24, la priorità degli interessi del minore su quelli commerciali e pubblicitari. La novità apportata dal Dsa rispetto al divieto imposto dalla direttiva Ue 2018/1808 sui servizi audiovisivi, è che oltre alla sanzione a posteriori, si chiede alle piattaforme di svolgere valutazioni di impatto dei rischi sistemici che riguardano eventuali effetti negativi per l’esercizio dei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e familiare e alla libertà di espressione e di informazione, del diritto alla non discriminazione e dei diritti del minore, sanciti rispettivamente dagli articoli 7, 11, 21 e 24 della Carta.
Gli Stati membri avranno l’obbligo di assicurare che i fornitori di piattaforme di video sharing soggetti alla loro giurisdizione adottino misure adeguate a tutelare i minori dalla diffusione di contenuti che possano nuocere al loro sviluppo fisico, mentale o morale. Inoltre, a garanzia del grande pubblico viene richiesto un analogo intervento per contrastare la diffusione di materiale che istighi all’odio e alla violenza. Ma cosa si intende per “odio e violenza”? Chi decide se un post contro l’aborto o la carriera alias istiga all’odio o alla violenza?
All’interno delle piattaforme inoltre saranno anche implementati meccanismi trasparenti e di facile uso per permettere agli utenti di segnalare materiale lesivo, sistemi di controllo parentale e strumenti di verifica dell’età.
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Applicazione
Il provvedimento tanto atteso entrerà in vigore al più presto nel luglio 2023 per le grandi piattaforme e nel gennaio del 2024 per tutti gli altri.
«Il Dsa sarà applicato dalle autorità nazionali e spetta agli Stati membri dell’Ue designare l’autorità o le autorità preposte a livello nazionale» I cosiddetti Digital Services Coordinators dovranno essere indipendenti ed dotati di sufficienti risorse tecniche, finanziarie e umane per svolgere i loro compiti. La competenza per la supervisione e l’esecuzione spetta allo Stato membro della sede principale del fornitore. Ma la Commissione Europea ha la competenza esclusiva per la supervisione e l’esecuzione degli obblighi specifici imposti alle grandi piattaforme (Vlop, Very Large Online Platforms) e ai grandi motori di ricerca (Vlose, Very Large Online Search Engine). Questo in palese contrasto con il principio di sussidiarietà che è previsto dai trattati Ue e che prevede la massima autonomia dei Paesi membri.
Tra le critiche mosse da Amnesty International al provvedimento c’è quella dell’uso di espressioni ambigue come «laddove esse [le piattaforme] hanno la ragionevole certezza che l’utente è minorenne» che di fatto riduce la loro responsabilità. Inoltre non si è fatto abbastanza per rivedere il modello di business distruttivo basato sulla sorveglianza. Si rimprovera anche alla Commissione di non aver voluto garantire un’adeguata protezione dei diritti dei cittadini, poiché la protezione offerta ai minori non è stata estesa a tutti gli utenti.
Tutti gli osservatori concordano che il Dsa ha il potenziale di cambiare l’ecosistema digitale, come ha detto anche l’ex-dipendente di Facebook/Meta Frances Haugen durante l’audizione al Parlamento Europeo lo scorso autunno, ma questo dipenderà dalla sua applicazione rigorosa. E qui la strada è tutta in salita considerato l’asimmetria tra mezzi di cui dispongono i giganti del web e le scarse risorse della Commissione Europea, come denunciato dalla stessa Vice-Presidente esecutiva, la danese Margrethe Vestager, nel documentario del canale tv tedesco DW, The Opaque Worlds the Rise of Big Tech.
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Perché diamo ancora gli smartphone ai bambini?
Senz’altro l’introduzione del Dsa costituisce un grande passo avanti rispetto alla necessità di riprendere il controllo dello spazio digitale. Sorprende che nonostante la scia di infinite piccole vittime, lo sbrindellamento del tessuto sociale e l’indebolimento delle nostre democrazie non sia stata rimessa in questione l’esenzione dalla responsabilità, poiché persino i Senatori americani la vogliono cancellare. In ogni caso, adesso tutti gli occhi sono sull’applicazione di quanto l’Europa è riuscita a fare e su come si concluderà la partita in corso sul Trasferimento dati Ue-Usa (dove le norme sul trattamento dei dati personali non ci sono o non sono altrettanto stringenti che da noi).
Qualche giorno fa la vice-presidente della Commissione, Vestager, ha dichiarato che ci vorranno due anni prima che il Dsa diventi operativo, e nel frattempo stanno affacciandosi nuovi prodotti ancora più potenti proposti dagli stessi personaggi inaffidabili, come per esempio il Metaverso.
Più rassicurante è stato Vít Rakušan, il vice Primo ministro e Ministro dell’interno Ceco intervenuto da remoto alla Conferenza europea sulla sicurezza dei minori online che si è svolta lo scorso luglio a Bruxelles, ed ha promesso che durante la presidenza ceca dell’Europa ci saranno progressi nella tutela dell’infanzia online.
Possiamo davvero tollerare che i nostri bambini e ragazzi continuino a essere torturati impunemente per altri due anni? Come possiamo dare ancora questi dispositivi ai minori? È urgente l’intervento delle autorità nazionali affinché sia vietato l’utilizzo di smartphone sotto i 18 anni (come l’automobile), e sia introdotto l’obbligo di registrazione con un documento di identità per l’utilizzo dei prodotti digitali come i social network e le app. Poi, tassiamo gli extra-profitti di queste aziende (che non pagano tasse!) per finanziare progetti di educazione emotiva e relazionale dei minori. Renderemo anche giustizia ai milioni di vittime di questa “involuzione digitale” scomparse nel silenzio generale. Una cosa è certa, non possiamo delegare lo sviluppo e la crescita di bambini e ragazzi, a una tecnologia tanto comoda e conveniente quanto malvagia e fuori controllo.
E nonna Letizia? Ecco, è tempo di restituire ai nonni il loro posto nella vita dei nipoti, mettendoli in condizioni di contribuire come si deve alla loro crescita serena e al loro sano sviluppo emotivo e affettivo. I nonni, custodi della memoria e pazienti agenti della trasmissione intergenerazionale e culturale, scopriranno che proprio in questo nuovo mondo il loro ruolo è più importante che mai.
Articolo di Sara Pongiluppi, già pubblicato sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 113 di dicembre 2022
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