Siamo soli nell’universo? O una vita simile a quella terrestre mosse i primi passi anche su altri pianeti? Sono queste le domande che accompagnano in orbita la delicata missione euro-russa ExoMars 2016, decollata il 14 marzo scorso dalla base russa di Baikonur in Kazakistan con l’obiettivo di preparare il primo atterraggio sul pianeta rosso.
Nato dall’accordo fra l’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e l’agenzia russa Roscosmos, ExoMars è un progetto europeo in cui l’Italia occupa un ruolo di primo piano: sia dal punto di vista economico – con 350 milioni di euro su 1.3 miliardi totali d’investimento l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) è il primo contributore – sia dal punto di vista scientifico, perché è l’industria italiana (Thales Alenia Space e Finmeccanica) ad aver integrato i veicoli attualmente in volo.
Ne abbiamo parlato con Stefano Voglino, ingegnere del Politecnico di Torino che a soli trentatré anni ha seguito da vicino la preparazione della missione.
Com’è fatto, nella realtà, il pianeta che nella fantasia ha dato il nome ai «marziani»?
«Marte è il quarto pianeta del sistema solare, le sue dimensioni sono un terzo di quelle terrestri. È un pianeta simile alla Terra ma senza acqua, anche se un tempo doveva esserci: abbiamo osservato canali, kanyon, montagne, ghiacciai; anche Marte ha i suoi poli ghiacciati. Tuttavia oggi ci appare come pianeta desertico, fatto di rocce e polvere. Ovviamente anche Marte ha le sue stagioni, i suoi fenomeni climatici: tempeste di polvere, fulmini. Possiamo dire che è un cugino della Terra alla lontana».
Perché studiare Marte? Perché questa missione è importante?
«Stiamo cercando di studiare Marte per diversi motivi. La prima è una ragione analogica: se supponiamo che un tempo Marte fosse simile alla Terra, è ancora più interessante chiederci che cosa gli sia successo. Dal momento che anche su Marte vi era l’acqua, è ipotizzabile che vi fosse anche un principio di vita… Le missioni ExoMars indagheranno proprio questo, la possibile esistenza di vita sul pianeta. Nel dettaglio, questa prima missione ha un duplice obiettivo: studiare la composizione dell’atmosfera marziana e identificare un sito d’atterraggio sicuro. A queste rilevazioni seguirà nel 2018 un secondo lancio finalizzato all’atterraggio di un rover in grado di esplorare in maniera approfondita la superficie del pianeta. In prospettiva, quando l’uomo comincerà e volare verso altri mondi, Marte sarà sicuramente una delle prime destinazioni. È importante capire quali risorse naturali saranno a disposizione degli uomini che potranno giungervi».
Si tratta, fa piacere dirlo, di una missione europea. Mentre sulla terra fatichiamo ad andare d’accordo, nello spazio si vola insieme alla Russia.
«Sì, è una missione euro-russa. L’Italia è uno dei paesi guida, ma vi hanno partecipato anche la Francia, che ha realizzato la navicella che sta portando la nostra capsula di atterraggio, la Germania, la Spagna. Al giorno d’oggi le missioni spaziali non sono più portate avanti dai singoli stati, è l’Agenzia Spaziale Europea che lavora in collaborazione con i diversi paesi. In questo caso l’Esa ha collaborato con la Russia, che ha fornito i razzi vettori necessari al decollo (non a caso il lancio è avvenuto in Kazakistan, dalla storica base di Baiconur). Dopodiché, come lasciamo la nostra atmosfera, non ci sono più consuetudini diplomatiche né giurisdizione. In orbita rappresentiamo l’umanità».
Si potrebbe dire che uno Stato mondiale nello spazio esiste già…
«Senza dubbio sulla ricerca spaziale i diversi paesi hanno da tempo imparato a mettere da parte le loro divergenze politiche. In questa prima missione i russi hanno messo a disposizione la tecnologia che ci ha permesso di portare le nostre navicelle in orbita. Dalla prossima missione la collaborazione sarà ancora più stretta: agli europei navicella e robottino, ai russi il modulo di atterraggio. Ognuno ha la sua specialità. In generale le industrie italiane sono forti nell’assemblaggio della componentistica. I russi eccellono nei lanciatori, una specializzazione che deriva dalla loro storia recente, dalla ricerca in ambito militare e nucleare».
Se capisco bene questa missione è soltanto una prima tappa verso l’effettivo atterraggio su Marte…
«Questa prima missione si compone di due moduli: durante il primo modulo la navicella che viaggia da Terra verso Marte si fermerà in orbita per studiare l’atmosfera marziana e identificare il sito di atterraggio. Il secondo modulo, su cui l’Italia è davvero protagonista, prevede invece un tentativo di atterraggio. Sganciarsi dalla navicella, iniziare la fase di discesa e atterrare senza incidenti portando sulla superficie del pianeta tre preziosissimi strumenti che servono per lo studio della superficie marziana. L’obiettivo finale, da realizzare con il secondo lancio del 2018, è l’atterraggio di un piccolo robot in grado di muoversi sulla superficie di Marte. Per il momento siamo sicuri che ci scorresse dell’acqua. Quindi la grande domanda è: in passato vi è stata vita?»
Per quando è previsto l’arrivo della navicella attualmente in viaggio?
«Parliamo di corpi in movimento per cui si tenga sempre presente che le distanze sono relative. In questo momento Marte ci sta venendo incontro, è per questo che il lancio era particolarmente importante, per cercare di guadagnare dal fatto che Marte sta viaggiando nella nostra direzione. La velocità di crociera della navicella è di 10 chilometri al secondo. Cercheremo di aggrappare Marte nel momento di massima vicinanza. All’incirca tra sei mesi, in ottobre».
A quando, invece, il primo essere umano su Marte?
«L’obiettivo è lontano ma non impossibile. Stando alle stime delle agenzie internazionali tra il 2020 e il 2030 dovremmo tentare un ritorno sulla Luna; da quel momento si prevede un altro trentennio di preparazione prima di tentare l’approdo su Marte. Il problema principale, oltre alla lunghezza del viaggio, è quello di sopravvivere all’esposizione delle radiazioni solari. Sulla Terra siamo protetti dall’atmosfera, ma in orbita un essere umano è esposto a un flusso letale di radiazioni. Una volta giunti, Marte ha una sua atmosfera ma è molto rarefatta e con meno ossigeno, perché essendo più piccolo la sua gravità ne trattiene meno».
Le recenti imprese di Samantha Cristoforetti hanno riacceso la fantasia degli italiani sullo spazio. Come vive un esperto del settore questa passione popolare, molto spesso disinformata?
«Mi piace sempre ricordare che questo tipo di missioni vengono finanziate dalle agenzie aerospaziali che a loro volta sono finanziate dagli Stati, e, in fin dei conti, dai cittadini. C’è dunque un contributo pubblico, di tutti, alla ricerca aerospaziale, per cui è giusto che i risultati di questi avanzamenti ritornino al pubblico, anche se in forma semplificata o divulgativa. È un dovere delle agenzie e degli operatori del settore quello di rendere trasparente la ricerca, i risultati che si raggiungono. Penso sia giusto che tutti si occupino e partecipino alle missioni cui contribuiscono. Ogni ritorno d’immagine è utile ad avvicinare le persone all’attività scientifica».
A proposito di «persone comuni», un’obiezione popolare potrebbe appunto essere: «a cosa ci serve la ricerca aerospaziale»?
«È una domanda ricorrente: con tutti i problemi che abbiamo a terra, a cosa serve l’esplorazione spaziale, perché andare così lontano? Innanzitutto c’è un considerevole ritorno scientifico, di conoscenza, perché quello che è successo su Marte potrebbe un giorno accadere alla Terra, e dal momento che è un pianeta morto forse è meglio comprendere le cause di certi meccanismi. Ma c’è anche un secondo ritorno, collaterale, meno conosciuto ma comunque importante: la ricerca aerospaziale stimola piccoli miglioramenti tecnologici in tutta la nostra vita quotidiana. Si è giustamente parlato della missione di Samanta Cristoforetti anche per le sue ricerche svolte in ambito medico, sulla cura all’osteoporosi. Ma la ricerca aerospaziale promuove l’innovazione a tutti i livelli, basti pensare alle telecomunicazioni o ai nuovi materiali, che in concerto diventano cellulari, occhiali da sole, pannolini… In pochi sanno che i pannolini dei bambini furono inventati e sviluppati proprio per gli astronauti!»
Foto: Trasferito da de.wikipedia su Commons. Original source: taken from Viking Orbiter Raw Image Archive on CD-ROM (PDS) (info;order), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=753960
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