«L’Europa non è un posto dove andare a cercare fortuna. Va bene se hai un titolo di studio o hai una proposta di lavoro, altrimenti è meglio che rimani in Africa». È il pensiero che Josiah Timothy Tinat, 31 anni, nigeriano che dal 2007 gioca nel Cus Cagliari Hockey, esprime in maniera schietta e lucida nel suo libro «Perché migriamo?» (ESB Print, aprile 2016). In 113 pagine Tinat racconta le storie di sei africani che, arrivati in Europa pensando di trovare «il paradiso», hanno vissuto il fallimento dei propri sogni.
«La maggior parte delle persone che viaggiano su un barcone rischiando la vita, vengono in Europa con l’idea che qui guadagneranno subito dei soldi. Non condivido questo tipo di approccio all’immigrazione. Non sono contro la migrazione, che è una cosa bella, ma facciamola senza rischio, legale, secondo modalità che garantiscano il rispetto e la dignità della persona. Non arriviamo in Europa, o in Italia, solo con l’idea di ricevere cibo, abitazione e lavoro».
Fanno molto effetto le parole che ascolto da Tinat, soprattutto a fronte dei continui sbarchi sulle coste europee e delle tragiche morti in mare.
«Non parlo certo dei siriani che scappano dalla guerra, e di quei soggetti vulnerabili che fuggono da gravi situazioni di conflitto – specifica Tinat –. Parlo dei nigeriani e di coloro che provengono da altri paesi dell’Africa, che non sono in guerra, che hanno un’idea sbagliata dell’Europa e dell’Occidente. Dopo la fine della schiavitù, siamo rimasti ancorati all’idea che gli europei siano una sorta di dio. Molti si mettono in viaggio perché pensano di giungere in un posto dove vive una razza superiore, più bella e più intelligente di noi. Accecati poi da quello che si vede in Tv e sui media, molti africani arrivano in Occidente con l’idea di poter fare soldi facilmente».
La realtà europea invece si rivela essere ben altra, anche qui c’è disoccupazione, povertà e il sogno di trovare la felicità si infrange miseramente. Per arricchirsi alcuni si affidano a persone senza scrupoli, e finiscono per vendere droga in strada o diventano manovalanza per la criminalità organizzata, mentre altri continuano a vivere ai margini, spaccandosi la schiena con lavori sottopagati o elemosinando agli angoli delle strade.
«Ho raccontato queste storie per mettere in luce una realtà che spesso non vediamo o che non abbiamo il coraggio di denunciare. Molti africani quando arrivano in Europa scoprono una realtà completamente diversa da quella che sognavano. Il 99% degli stranieri non ha il coraggio di tornare indietro o non può farlo: hanno venduto tutto quello che avevano per affrontare il viaggio, oppure i genitori si sono indebitati per mandarli in Occidente. Molti si chiedono: cosa dico alla famiglia? Da dove ricomincio? Così ci si sente costretti a rimanere qui, rischiando tutto, anche la propria vita. Non c’è il coraggio di tornare indietro e neanche di dire ai propri fratelli di non partire: stiamo nascondendo questa verità per vergogna. C’è chi si fa fotografare vicino a belle macchine o fuori a lussuose abitazioni, ma la verità è un’altra». E non sempre è accolta con favore. «In genere gli italiani mi fanno capire di condividere questo mio pensiero, anche se in pochi hanno il coraggio di dire ciò che veramente pensano, perché temono di essere giudicati razzisti e contrari all’accoglienza. Devo dire che anche molti africani non sono contenti delle cose che dico».
Timothy Tinat è convinto che gli africani debbano abbandonare l’idea distorta dell’Occidente che rimane per molti un chiodo fisso, e debbano iniziare a pensare di far fruttare le risorse esistenti nei propri paesi.
Senza giri di parole, gli chiedo se lui tornerebbe in Nigeria. «L’anno scorso mi sono sposato con Martina, ma prima del matrimonio le ho detto che il mio desiderio è di tornare a casa, perché per me l’Africa è casa. Mi manca soprattutto quella gioia di vivere che provavo al mio Paese. Lì anche se uno è povero, non sta bene, ha la certezza di avere la famiglia, gli amici, sa di essere parte di una comunità più ampia. Qui invece c’è molta più solitudine, non si conoscono neanche i vicini di casa propria. Il mio sogno è dunque di tornare in Nigeria, dove per il momento vado almeno una volta l’anno, per ritrovare forza».
Timothy è anche un credente, da sette anni frequenta la chiesa battista di Cagliari. «Sono nato in una famiglia evangelica molto credente: ogni giorno ci svegliavamo alle 6 del mattino per pregare e leggere la Bibbia insieme. In Nigeria frequentavo una chiesa battista e quando sono arrivato in Sardegna, non mi sono subito accorto che proprio vicino casa ce ne era una. Quando ho visto l’insegna della chiesa battista, la domenica successiva sono andato al culto e da quel momento ne sono diventato parte. Per motivi di lavoro – finito il campionato sportivo, lavoro in un bar sulla spiaggia durante i mesi estivi – ho poco tempo a disposizione, ma in Nigeria ero leader del gruppo giovani e, sebbene lo stile di vita qui è diverso, mi piacerebbe condividere alcune idee sul lavoro giovanile in modo da avvicinare i ragazzi al Signore».
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