Quando l’Esercito della Salvezza sbarcò in Italia nel 1887, qualcuno avrà – forse – sperato in un nuovo Rinascimento sociale. Un manipolo di benefattori in divisa, pronti a combattere la povertà con la stessa grinta di un Garibaldi che sbarca a Marsala. Ma, a distanza di oltre un secolo, il bilancio è piuttosto desolante: meno di 200 membri – ministri di culto compresi – sparsi per il Paese in circa una ventina o meno di centri. L’Italia, patria di santi, poeti e realisti, sembra aver detto loro con garbo: “No, grazie”.
Nel mondo anglosassone, questa organizzazione è ben nota, ma in Italia la loro presenza è rimasta più un pittoresco aneddoto che una realtà significativa. Si autodefiniscono un esercito, con tanto di uniformi e gradi militari – soldati, sergenti, colonnelli – ma senza combattere alcuna battaglia. A capo dell’organizzazione c’è un generale, Lyndon Buckingham, una sorta di piccolo papa in divisa, che regna da Londra, il loro personale “Vaticano”. Ma come diceva Flaiano, “in Italia, la linea più breve tra due punti è l’arabesco”. E così, anche quest’esercito ha trovato nella nostra penisola un terreno scivoloso.
Eppure, malgrado l’iconografia militaresca, l’Esercito della Salvezza non è mai riuscito a conquistare il cuore degli italiani. Forse perché, in un paese dove si discuteva seriamente se indossare il cappello in chiesa fosse un segno di rispetto o di superbia, l’idea di un esercito che non combatte ma sfila in divisa non ha mai realmente attecchito. Dopo oltre un secolo, la loro armata conta davvero poche anime: un risultato che fa più tenerezza che altro.
La loro dottrina, poi, in un Paese come l’Italia, non ha certo contribuito a far breccia. Il loro manuale, “Ordini di battaglia”, condanna senza mezzi termini le pratiche omosessuali, definendole “innaturali” e contrarie al “progetto di Dio”. Un conservatorismo rigido che, almeno sulla carta, sembrerebbe non lasciare margine di manovra. Come diceva Montanelli: “Gli italiani sono più indulgenti con i peccatori che con i puritani”. E qui si vede.
Ma, come spesso accade, la vita è più complicata dei manuali. Poco più di un anno fa, l’Esercito della Salvezza ha accolto festosamente un noto attivista fiorentino della comunità LGBTQ+ insieme a suo marito. La cerimonia, che si è svolta con tutti i crismi, ha visto la “benedizione” dei vertici dell’organizzazione in Italia, Andrew e Darlene Morgan, immortalati sorridenti nelle foto di rito con il neofita appena conquistato alla loro fede. Se non fosse tutto vero, sembrerebbe una scena tratta da un film di Sordi.
Questo episodio, che ha fatto alzare più di un sopracciglio, rappresenta, a nostro pur modesto avviso, l’apoteosi dell’incoerenza. Da un lato, una dottrina che predica il rigore morale e la condanna dell’omosessualità; dall’altro, un’apertura improvvisa e inaspettata. Come si concilia l’accoglienza di un attivista LGBTQ+ con le severe condanne scritte nero su bianco? Si tratta di un sincero passo avanti o di una maldestra giravolta?
E così, mentre l’Esercito della Salvezza continua a sfilare tra fanfare e divise, l’Italia sembra aver tirato le somme. Dopo più di un secolo, il verdetto è chiaro: un rifiuto educato, ma inequivocabile. Dopotutto, come diceva Montanelli, “Gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore”. Ma qui, il vincitore non si è mai visto. Un esercito senza battaglie, nel Belpaese, resta solo una curiosità folkloristica. E in questo caso, anche un po’ fuori luogo.
Pietro P.
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