Ogni mese il Mapa celebra i suoi progressi con un rapporto: a settembre 2013, dopo un lavoro di due anni, 70 villaggi della provincia di Kandahar sono stati “ripuliti” dalle mine e da altri residuati bellici. A ottobre 7 distretti della provincia di Takhar sono stati dichiarati “mine free” e sono stati simbolicamente consegnati al governo locale e ai cittadini. Sminare in effetti significa ricominciare a vivere: i terreni possono essere adibiti a edilizia o ad agricoltura, si possono costruire strade e scuole.
La Convenzione di Ottawa sulle mine antiuomo aveva stabilito il traguardo del 2007 per distruggere le scorte negli arsenali e del 2013 per “liberare” il territorio dell’Afghanistan. Se il primo obiettivo è stato raggiunto, per il secondo il governo ha invece ottenuto una proroga fino al 2023. Quello che fa più paura, in questo momento, non sono più le mine, sensibilmente ridotte, ma gli altri residuati bellici, come il proiettile di mortaio inesploso che ieri ha ucciso i 4 bambini a Syedabab, nonostante da anni siano attivi programmi di informazione nelle scuole e nei villaggi.
In ogni caso la battaglia per rendere inoffensivi i residuati bellici esplosivi è ancora lunga: Mohammad Sediq Rashid, direttore del Macca, ha detto che dal 2008 ad oggi sono morti 53 civili afghani, per lo più bambini. Da luglio a tutto settembre 2013, i feriti sono stati 72, nel 90 per cento di casi maschi (sono loro che escono con più libertà nei campi a giocare), e per l’86 per cento di età inferiore ai 18 anni. Quanto alla tipologia degli ordigni, nell’83 per cento dei casi si tratta di Erw, residuati bellici esplosivi.
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