Su un’antica tavoletta di argilla babilonese risalente al 1000 a.C., sono impresse in caratteri cuneiformi le seguenti parole:
“La gioventù di oggi è corrotta nell’anima, è malvagia, empia, infingarda. Non potrà mai essere ciò che era la gioventù di una volta e non potrà mai conservare la nostra cultura”.
Un’espressione alquanto preoccupante ma ripetitiva in ogni generazione. Quante volte abbiamo sentito ripetere la frase: “Ai miei tempi certe cose non erano permesse…!” quando gli atteggiamenti erano giudicati troppo spregiudicati oppure offensivi?
Gli adulti (attribuzione alla loro età anagrafica) troppo spesso si sentono autorizzati a decretare nei confronti dei giovani giudizi frettolosamente decadenti, risultanti dai tratti di dati raccolti da fonti diverse. E’ la storia ciclica, la tendenza di ogni generazione che vede la catastrofe in quella più giovane. L’annullamento dei movimenti legati al ‘68, ha disperso le ideologie che li aveva sorretti collettivamente. Dal ‘68 a oggi si è verificata la regressione dei principi etici sostituiti da punti di riferimento indipendenti. I giovani sono alla ricerca di se stessi in un oceano di una società ambigua, dove regnano confusione e contraddizione, risultati che portano alla chiusura di se stessi e all’apatia.
Lo stravolgimento delle fondamenta umane, la caduta dei valori e delle ideologie hanno contribuito senza dubbio a rendere i giovani insicuri e senza un obiettivo. Un ruolo primario lo svolge la tecnologia, infatti, è più importante essere in rete che essere presente della storia e farne parte. Il modo di comunicare ha disperso la capacità di percepirsi e di vivere in pluralità; osserviamo uno schermo e ne udiamo la voce ma i sentimenti dell’anima sono assenti e pertanto è faticoso e difficile percepire le vibrazioni del nostro simile orientate verso traguardi che lo restituisce alla storia. La priorità attuale è vivere al presente cogliendo le opportunità anziché progettare il futuro. Ciò non vuol dire che i giovani siano asettici e mancanti di valori o ideali, tutt’altro, ciò che cambia è l’ordinamento sociale che è maggiormente rivolto alla propria sfera personale; la famiglia, l’amore e l’amicizia ritenuti punti cardinali.
Dovremmo considerare che i giovani non sono eterogenei all’interno della società contemporanea, bensì hanno una capacità individuale dimostrabile attraverso l’attitudine di sviluppare la propria cultura e la propria professione autonomamente e spesso distante dal pensiero di massa. È opportuno, che gli adulti, analizzino profondamente gli aspetti differenti per capirne le vere inquietudini attribuendone il giusto significato a un universo giovanile di migliaia di diverse oggettività. I repentini cambiamenti nell’età giovanile rendono i percorsi spesso ambigui e incompiuti, la cui frammentarietà della concretezza complessa acuisce un fragile equilibrio.
L’adolescenza è sempre più una fase della crescita essenzialmente incerta, drammatica, sofferta, solitaria, incompresa da una prospettiva; epica, mitizzata, rimpianta dall’altra.
Nell’immaginario del mondo adulto spesso è considerata incoerente ed estrema, in instabile successione tra l’angoscia di un’età temuta e l’infondatezza di un’età sognata. La concentrazione sui distanti rapporti rendono problematico e incespicante la relazione tra i ragazzi, sfiduciati nei confronti del mondo adulto per l’incapacità di essere compresi, laddove i grandi, spesso distratti e disattenti ai bisogni dei giovani, ma più frequentemente oppressi dai sensi di colpa e costantemente preoccupati di poter commettere errori fatali.
Negli ultimi decenni scienziati, psicologi e numerosi luminari attraverso molteplici studi basati sulle condizioni giovanili e i disordinati fenomeni, prestando attenzione alle prassi con cui gli adulti articolano una teoria derivante dai comportamenti degli adolescenti, hanno definito che la qualità della risposta educativa è corrispondente alle correttezze degli insegnamenti educativi di chi guida il fanciullo.
LA SOLITUDINE ADOLESCENZIALE
Il progressivo estraniamento dall’ambito familiare è guardato dagli adulti con preoccupazione e rammarico. Tra questi ultimi prevale spesso il sentimento di chi si sente estromesso, esautorato, quasi che l’esistenza dei figli possa fare a meno dei genitori.
Il comportamento che dovrebbe invitare alla riflessione è l’alternanza dell’umore altalenante e contrastante fra le richieste di affetto e il coinvolgimento genitoriale nelle loro emozioni riprodotte dalle loro relazioni amicali (specie con coetanei di sesso opposto) con atteggiamenti di freddezza emotiva che assumono nell’immediato. La situazione di sofferenza e dispiacere, riconosciuta consapevolmente come una normale condizione di crescita prende distanza dalla reciproca dipendenza della fanciullezza. Nei processi di sviluppo, i vari aspetti della personalità non tracciano coerentemente le stesse dinamiche. Per molti giovani l’affermazione della propria maturità è consuetudinaria mentre per molti altri con evidenti incapacità, esprimono atteggiamenti infantili che li espongono a rischi autolesionistici.
“Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita.” Pr. 24:3
COSA FARE? COME INTERAGIRE
Il mondo intimo dei giovani è chiuso, troppo spesso misterioso, complicato, contraddittorio, imperscrutabile, non si apre se non per pochi istanti. L’accesso al segreto giovanile si guadagna con fatica, attraverso l’invalidazione del giudizio, mettendo da parte le proprie convinzioni o i luoghi comuni come“ è noto”, “già detto”, “si sa già”. E’ necessario mantenere la visione scevra da stereotipi, cogliendone unicità interrogando sul significato irreperibile dell’esperienza personale; rispettarne la personalità, consentirà di mettere in atto azioni e gesti sintonizzati sulla situazione e spronandoli a raggiungere obiettivi consoni ma elevati.
Vi è la necessità di non rinunciare al proprio compito e di affinare la capacità di cogliere le esigenze, quantunque non palesemente manifesti, di mantenere vivo il dialogo e il confronto con i giovani, i quali hanno la tendenza di soddisfare se stessi e il grande bisogno di affetto, di gioire per le proprie conquiste e la necessità di avere conferme.
Gli adulti maggiormente capaci nel rapporto con i giovani trovano anzitutto un’essenziale gratificazione e un inestimabile profitto nel fatto di esserci, nell’essere disponibili ad ascoltare, comprendere e raffrontarsi.
Figlio mio, non disprezzare l’istruzione del Signore e non aver a noia la sua esortazione, perché il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto. E voi, padri, non provocate a ira i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e nell’ammonizione del Signore.” Efesini 6:4
COSA CHIEDONO I GIOVANI E QUALI SONO LE LORO BATTAGLIE?
Il quadro emergente della società giovanile contemporanea perlopiù mostra adolescenti tristi, trasandati, timorosi, aggressivi che non gioiscono della propria giovinezza ma la guastano (non riuscendo a realizzarsi poiché individui) agendo in branco ed esasperando atti di vandalismo, bullismo, violenza e devianti ideologie. Inutile porre domande in senso compiuto, le risposte spontanee dei fanciulli potrebbero essere infinite e probabilmente i risconti esaustivi sarebbero sterili.
Fintanto che non si comprenda l’urgenza di attivarsi per aiutare i giovani in una realtà dove l’immagine del mondo è prioritario, rispetto al valore umano psicologico e spirituale e non si percepisca l’urgenza l’intervento per aiutare i giovani a superare vincendo il combattimento interiore e le comunicazioni del contesto circostante, non si avrà la cognizione della gravità e dell’efferatezza delle battaglie che i giovani dovranno affrontare.
“Ragazzi, vi ho scritto perché avete conosciuto il Padre. Padri, vi ho scritto perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Giovani, vi ho scritto perché siete forti, e la parola di Dio rimane in voi, e avete vinto il maligno. Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno. 1°Giov 2:13-14
LA FEDE COME MEZZO DI COMUNICAZIONE
E’ innegabile che il genere umano di ciò che trasmette l’ 80 o il 90% avviene in forma comportamentale inviando in modo cosciente soltanto una piccola parte dell’informazione mentre in modo inconscio comunica con lo sguardo e l’espressione del viso, la gestualità. Inflessione della voce e il linguaggio del corpo. Il corpo rivela il nostro mondo interiore, decifra le emozioni e le aspirazioni, la gioia e la delusione, la generosità e l’angoscia, l’odio e la disperazione, l’amore, la supplica, la rassegnazione e la vittoria; e difficilmente inganna; Ciò significa, che non è sufficiente sorridere e avere un’apparenza gradevole; se vogliamo toccare il cuore degli altri, dobbiamo prima cambiare il nostro cuore. Per parlare di Dio, non è sufficiente centellinare il messaggio, occorre una chiara identità cristiana; più decisiva è la personalità personale più autentica risulterà l’intesa con i giovani. Infatti, quando esprimiamo il concetto di speranza e salvezza, non solo comunichiamo qualcosa, ma prima di tutto esprimiamo noi stessi.
Il linguaggio è uno “specchio del nostro spirito” e potrebbe risultare incolore e inefficace. La bellezza della fede non si lascia schiacciare dalle situazioni avverse ma accompagna lungo un percorso spesso scosceso e buio Non dobbiamo costringere ma convincere tramite il grande tesoro con cui siamo benedetti. Con semplicità senza forzature il sottolineare che rivolgersi a Cristo sia l’unica soluzione perché ama incondizionatamente e si fa carico dei dilemmi del genere umano, può rappresentare per molti ragazzi la cura miracolosa. Le persone (in questo caso i fanciulli) in ascolto percepiscono se si è convinti del contenuto del discorso, oppure sono recitate dottrine. “Dio è Amore” può apparire banale, o straordinariamente toccante. Testimoniare della gioia dopo aver incontrato Dio nell’intimità del proprio cuore, può dar seguito a un commovente stimolo che li conduca a conoscere il Signore tramite il messaggio pervenuto dalla Sua Parola. Non occorre essere brillanti oratori, è opportuno parlare candidamente con l’ autorità del vissuto e dell’esistenza incentrata su Cristo evitando di aggiungere frasi fatte e ricette noiose.
Un cristiano, primariamente non è un soggetto infallibile ma è soprattutto una persona felice ed è capace di trasmettere agli altri l’amore per la vita e per il prossimo da comprendere e consolare. Diversi animi sono stati avviliti dalla tristezza, ciononostante sono donne e uomini che, dopo aver sofferto molto, sono diventati comprensivi, cordiali, accoglienti e sensibili di fronte al dolore altrui: hanno imparato ad amare.
L’amore stimola quel che di meglio c’è in un uomo. In un clima di accettazione e di affetto, i grandi ideali si risvegliano. Per un fanciullo, è più importante crescere in un ambiente di autentico amore, che in un clima di “compatimento” formale e senza affetto. Se manca l’amore, mancano le basi per una sana crescita. Per improntare una forma al ferro, occorre batterlo e modellarlo con delicatezza, quando è riscaldato dal calore e non quando è freddo.
Attraverso i genitori, i figli dovrebbero scoprire l’amore di Dio. Occorre il linguaggio dell’amore, preparando e dissodando la terra in modo che sia fertile nell’accogliere il seme. Nei primi anni di vita ogni bambino fa una scoperta fondamentale, di vitale importanza per il suo carattere: “Sono importante, mi capiscono e mi vogliono bene !”; oppure “mi trovo sempre in mezzo, disturbo !”
Se manca questa certezza, conseguentemente potrà risultarne una persona incapace di stabilire delle relazioni durevoli o di svolgere seriamente la propria professione; e soprattutto sarà difficile per essa credere veramente nell’amore di Dio, in altri termini credere che Dio sia un Padre che comprenda e perdoni giustamente per il bene del figlio.
“Quando uno si accorge di essere amato, acquista una gioiosa fiducia nell’altro: comincia ad aprire la propria intimità. La trasmissione della fede comincia a tutti i livelli con un linguaggio non verbale. È il linguaggio dell’affetto, della comprensione e dell’autentica amicizia. Importante è far conoscere il progetto di vita individuale, ma è primariamente essenziale l’ incoraggiare gli altri a lasciarsi affascinare e conquistare dalla figura luminosa di Cristo, accedendo intimamente nella vita cristiana in corrispondenza all’amore e, allo stesso tempo, sperimentando una grande avventura: “L’avventura della fede”.
In Isaia 43:1-7 comunica una delle volontà divine: Dio vuole guardare negli occhi tutti dicendo: “Tu sei prezioso ai miei occhi perché sei degno di stima ed io ti amo… Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani…non temere io sono con te…”
Credere in Dio significa camminare con Cristo, pur in mezzo a tutte le lotte che sosteniamo, verso la casa del Padre. Il nostro linguaggio è molto limitato. La fede è un dono di Dio, e lo è anche il suo perfezionamento. Possiamo invitare gli altri a chiederla, insieme a noi, umilmente dall’alto. L’ obiettivo del nostro parlare di Dio consiste nell’indurre tutti a parlare con Dio.
LA MIA ESPERIENZA PERSONALE
Ciò che mi ha colpito positivamente vivendo fra i giovani è la limpidezza d’animo, mentre negativamente è la totale mancanza del senso di trasgressione. Spesso quando commettono azioni riprovevoli, le attivano senza malizia e senza secondi fini e se quest’aspetto è favorevole, contrariamente diventa problematico contenerli perché non si rendono conto della loro faciloneria, come se non sapessero distinguere il male dal bene. Benché si comportino da “grandi” emotivamente sono bambini. I genitori in questo senso potrebbero intervenire aiutandoli a superare le intolleranti frustrazioni.
Per gli adulti imbattersi nel mondo adolescenziale significa abbandonare l’isola felice dell’infanzia per avventurarsi in un terreno insidioso che confronta turbamenti continui, passaggi solitamente contrassegnate da profonde fatiche emotive soprattutto da parte dei familiari, i quali lamentano le difficoltà di comunicazione sino ad apparire inconcludente o indecifrabili, pur ammettendo che la difficoltà è data dalla diversità delle generazioni e il mondo degli adulti è guardato dagli adolescenti con diffidenza e distanza.
In sintesi, il rapporto creatosi (definiti i miei ragazzi) è soddisfacente e mi gratifica perché per alcuni di loro, rappresento un riferimento; non sono una persona su cui poter contattare solo quando tutto va bene o per chiedere un favore e per ridere insieme, ma soprattutto una cui poter raccontare quando soffrono o ci si sentono disperati o si vedono precipitare il proprio mondo. Qualcuno con cui parlare e che non banalizza nulla di ciò che provano o pensano; un adulto cui chiedere di stare con loro, di condividere alcune esperienze. Grazie ragazzi.
“In quel momento i discepoli si accostarono a Gesù, dicendo: “Chi è dunque il maggiore nel regno dei cieli?”. Ed egli, chiamato a sé un piccolo fanciullo, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità io vi dico: Se non cambiate e non diventate come i piccoli fanciulli, non entrerete affatto nel regno dei cieli. Chi pertanto si abbasserà come questo piccolo fanciullo, è lui il maggiore nel regno dei cieli. E chiunque accoglie un bambino come questo nel nome mio, riceve me.” Matteo 18:1-5
Da donna vivo il prestare attenzione ai ragazzi come una «missione», un compito in cui le qualità richieste per essere di supporto ai giovani sono rapportate innanzitutto alla mia fede da cui traggo i suggerimenti, alla personalità psicologica e spirituale, alla stabilità emotiva, alla maturità personale, alla capacità comunicativa senza dimenticare l’essenzialità nel ricorrere a Dio per ricevere saggezza, sapienza e discernimento.
“La mente dell’uomo pensa molto alla sua via, ma il Signore dirige i suoi passi”. Pr.16:9
Lella Francese
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