L’epidemia di ebola, iniziata alla fine del 2013 in Africa occidentale, soprattutto in Guinea, Sierra Leone e Liberia, ha provocato circa 11 mila vittime con un totale di 26 mila casi registrati. Il virus si è diffuso velocemente in altri paesi, fino ad arrivare negli Stati Uniti e in Spagna, accompagnato da panico e disinformazione. All’inizio di maggio l’Oms ha reso noti i dati relativi alla diffusione del virus, dai quali emerge che in Liberia è praticamente scomparso. Il calo dei casi è stato graduale a partire dall’estate 2014, sebbene continuino a registrarsi delle morti per il virus. Saverio Bellizzi, epidemiologo di Medici Senza Frontiere ha commentato queste notizie con noi.
Sembra che la situazione si avvicini alla fine, è davvero così?
«La situazione è davvero migliorata, soprattutto nell’ultimo mese, non mi sbilancerei a dire che il virus è debellato, ma se le cose continuano così presumo che in non molto tempo la situazione finirà. L’ultima settimana epidemiologica ha visto solo 18 casi, che se paragonati ai 200 casi a settimana di un paio di mesi fa, i dati parlano da soli. Questo è stato possibile per diversi motivi: molte organizzazioni sono scese in campo dopo l’estate con una formazione adeguata a far fronte alla situazione e c’è stata molta più consapevolezza da parte delle autorità locali, con un maggiore coinvolgimento e sensibilizzazione anche a livello rurale».
Ricordiamo la difficile gestione dei malati e dei morti che permetteva la diffusione del virus: cosa è cambiato?
«Sicuramente la situazione è cambiata molto dall’inizio o dalla fase intermedia dell’epidemia: nelle zone rurali, soprattutto in Guinea, era difficilissimo convincere gli abitanti della reale esistenza della malattia, di come affrontarla e prevenirla. Con il tempo, l’azione concertata e capillare di diverse organizzazioni unita agli effetti di ebola, che ha decimato le famiglie, hanno sensibilizzato fortemente all’esistenza della patologia».
E in occidente?
«Come avevamo ribadito tempo fa, quando la grande paura era nata, qui siamo molto preparati per reagire immediatamente, con consapevolezza e preparazione completamente diversa: si è avverato quello che era previsto ovvero che i casi sono stati pochissimi, erano stati infettati in paesi dove c’era l’epidemia, e soprattutto i fatti hanno dimostrato come nessun caso è arrivato dagli sbarchi di migranti nel sud del nostro paese».
La risposta al virus è stata lenta: che quadro ci da sulla gestione delle epidemie?
«Il quadro è specifico a seconda del tipo di epidemia: l’unica organizzazione che da tempo affrontava l’ebola era Medici Senza Frontiere nei suoi centri, quindi per quasi cinque mesi in Guinea solo questa organizzazione gestiva la situazione, incredibile in quel momento. Con estremo ritardo, dovuto ai tempi di preparazione, sono arrivate anche altre organizzazioni: quando tutti sono entrati in blocco, soprattutto in Liberia, le varie situazioni sono notevolmente migliorate. Questo è stato il quadro per l’ebola: nessuno era preparato, il virus non era mai arrivato in altri paesi quindi si è diffuso il panico; se fosse stata un’epidemia di colera o meningite, l’esperienza per affrontarla sarebbe stata maggiore, ci sono delle terapie e la reazione sarebbe stata più veloce. Spesso ci sono delle epidemie di morbillo, ma esistono i vaccini e si sa già come intervenire. La dinamica è stata molto interessante, quasi “vecchio stile”: è cominciata con una sottostima e una volta che il disastro ha raggiunto il livello umanitario si è intervenuti, sono piovuti tanti soldi e numerosi organizzazioni sono entrate in gioco dando un forte impatto».
Se tornasse il virus ebola, ora la preparazione è adeguata ?
«Non credo si ripeterà una situazione del genere poiché quando accade un disastro così la memoria rimane, sia dal punto di vista culturale sia come forze messe in campo. Parallelamente varie sperimentazioni di terapie e di vaccini stanno andando avanti. La situazione nel futuro non sarà come quella dell’ultimo anno».
Qual è la prossima ebola? Quale epidemia stiamo ignorando?
«A parte le epidemie particolari, che fanno molto clamore, metterei l’accento sulle epidemie ben conosciute che causano molte morti, soprattutto nei bambini. Queste si sottostimano, soprattutto quando parliamo di vaccinazioni. L’impatto che hanno in Africa le epidemie di morbillo, uccidono molti bambini e una vaccinazione può salvare la vita. La contrarietà alla vaccinazione dei bambini si sta diffondendo nel mondo occidentale e questo causa morti. Non bisogna abbassare la guardia e sensibilizzare nuovamente le persone all’importanza delle vaccinazioni, anche per le patologie che conosciamo da molti anni e che non giudichiamo pericolose».
Quindi l’epidemia più pericolosa in occidente è quella culturale, per esempio contro i vaccini?
«Esatto, è proprio questo».
Matteo De Fazio
Copertina: “12737 PHIL disinfection Ebola outbreak 1995” by Photo Credit: Content Providers(s): CDC/ Ethleen Lloyd – This media comes from the Centers for Disease Control and Prevention’s Public Health Image Library (PHIL), with identification number #12737. Note: Not all PHIL images are public domain; be sure to check copyright status and credit authors and content providers. . Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.
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