Il 25 gennaio del 1655, Andrea Gastaldo, dottore in giurisprudenza, con la piena approvazione del duca di Savoia, emana il seguente ordine: “Che ogni capofamiglia, insieme ai membri di quella famiglia, appartenente alla religione riformata, di qualsiasi rango, grado o condizione, nessuno escluso, abitante e con proprietà a Lucerna, San Giovanni, Bibiana, Campiglione, San Secondo, Lucernetta, La Torre, Fenile e Bricherassio, abbandoni nel giro di tre giorni dalla data della pubblicazione, suddetti posti… ciò deve essere fatto pena la morte e la confisca di case e di beni, a meno che entro il limite di tempo prescritto si converta alla religione cattolica romana”. Siamo nelle valli Valdesi del Piemonte. Il fondatore del movimento valdese fu un mercante di Lione, Pietro Valdo, che tra il 1173 ed il 1175, dopo aver concesso tutti i beni di sua proprietà ai poveri, si dedicò ad una vita votata alla povertà ed alla predicazione itinerante.
Pochi anni dopo Pietro Valdo fu accusato d’eresia e dovette vivere, con il seguito, in clandestinità. I pochi che rimasero sul suolo italiano si ritirarono nelle valli alpine.
L’accusa?
I Valdesi volevano sovvertire la tradizione cristiana, secondo l’idea di santa romana chiesa, poiché rinnegavano la fede per abbracciarne un’altra alle cui fondamenta vi era un patto con il diavolo.
In Italia i Valdesi si riparano nelle valli alpine del Piemonte, ed in questi luoghi avviene la tragedia del 1655.
L’editto del gennaio 1655 prevedeva che i Valdesi abbandonassero i luoghi citati per ritirarsi nei territori a monte, nei borghi di Angrogna, Bobbio Pellice, Villar Pellice e Rorà.
Nei giorni seguenti furono intavolate delle trattative, che portarono all’esilio dei soli capifamiglia, che si radunarono nella località di Angrogna. Le trattative continuarono sino ad aprile, quando il marchese di Pianezza, incaricato di affrontare i Valdesi, non si fece trovare nel luogo stabilito.
Il 16 aprile del 1655 il marchese lasciò la valle per ricongiungersi con il suo esercito, che marciava verso le valli Valdesi.
Inizia la persecuzione sistematica condotta da cattolici e soldati.
Un testimone afferma: “la moltitudine armata si gettò sui valdesi nella maniera più furiosa. Non si vedeva altro che il volto dell’orrore e della disperazione. I pavimenti delle case erano macchiati di sangue, le strade erano disseminate di cadaveri, si udivano gemiti e grida da ogni parte…. In un villaggio torturano crudelmente 150 donne e bambini, dopo che gli uomini erano fuggiti. Decapitarono le donne e fecero schizzar fuori i cervelli ai bambini. Nelle città di Villaro e Bobio, la maggior parte di quelli che si rifiutarono di andare a messa e che avevano più di 15 anni, fu crocifissa a capo all’ingiù, e quasi tutti quelli che erano di età inferiore furono strangolati.”
All’orrore non vi è mai fine.
“Uomini scannati posti al ludibrio dei viandanti, pargoli strappati al seno materno e sfracellati contro le rocce. Fanciulle e donne vituperate, impalate lungo le vie.”
Una nuova strage degli innocenti!
Bimbi di pochi mesi strappati alle madri e lanciati, con forza, contro le rocce affinché morissero nel momento in cui le madri subivano violenza barbarica.
Tutto questo in nome della Religione.
Avete letto bene, in nome della Religione!
Il triste resoconto del comportamento dei controriformati non si conclude nelle righe precedenti.
I miliziani, al soldo dei Savoia, provocarono mutilazioni di ogni genere prima di procedere con il colpo di grazia, anche se, molto spesso, non era necessario secondo il loro modo di agire.
Preferivano lasciare che la vittima morisse, lentamente, di fame o dissanguata.
Una delle torture preferite consisteva nel mettere dei sacchetti di polvere da sparo in bocca alle vittime e, poi, dar loro fuoco.
Tra le più atroci torture perpetrate, in quest’angolo di Piemonte, vi era quella di traforare i calcagni dei malcapitati ed, attraverso le ferite, far passare delle corde che servivano al trascinamento della vittima per le vie del paese.
Ho parlato del comportamento dei soldati, ma i preti cattolici?
Parteciparono attivamente oppure cercarono di fermare il massacro?
Utilizzo il caso di Cipriano Bastia per spiegare il comportamento ecclesiastico.
Cipriano Bastia, a cui era stato ordinato di rinnegare la religione valdese e di accettare quella papale, rispose:
“Piuttosto rinuncerei alla mia stessa vita o vorrei essere trasformato in cane!”
Un prete che assisteva la scena aggiunse:
“Per ciò che hai detto rinuncerai proprio alla vita e sarai dato in pasto ai cani!”
Bastia fu gettato in prigione per alcuni giorni sino a quando, ormai sfinito dal digiuno, venne trasportato in strada e dato in pasto ai cani randagi.
Le atrocità maggiori furono perpetrate ai danni dei piccoli.
I bambini erano fatti a pezzi, decapitati o uccisi, in vari modi, davanti agli occhi dei genitori.
Una di queste madri, Maria Pelanchion, fu denudata ed appesa, a testa in giù, ad un ponte per essere bersaglio degli spari dei soldati.
I Valdesi si armarono ed iniziarono a contrattaccare le forze cattoliche. A San Secondo di Pinerolo toccò ai piemontesi subire una disfatta. Le relazioni parlano di oltre 1000 morti tra i soldati al comando del marchese di Pianezza.
Nel frattempo alcuni Valdesi, fuggitivi, si erano recati a Parigi per far conoscere al mondo la disgrazia in corso nelle valli piemontesi. Successivamente cercarono di scuotere gli animi dei Paesi Bassi e dell’Inghilterra. La reazione della duchessa di Savoia non si fece attendere. Chiese al cardinal Mazarino di impedire l’accesso, dei profughi valdesi, in Francia. Il cardinale oppose un secco rifiuto, garantendo alla duchessa che i sudditi francesi non lasceranno la nazione per aiutare i “ribelli”.
Le notizie circolarono velocemente sul suolo europeo. I Re di Svezia e Danimarca e le città di Berna e Ginevra manifestarono appoggio al popolo valdese.
Viste le richieste degli ambasciatori, di molti paesi europei, la duchessa di Savoia si dichiarò stupita che le corti dei principali paesi potessero ascoltare tali smoderate dichiarazioni circa le stragi e le torture subite dai ribelli.
Dichiarò che non si erano consumate atrocità, ma solo punizioni moderate verso i sudditi ribelli.
Tra una trattativa ed una strage si giunge al 18 agosto del 1655.
A Pinerolo furono firmate le Patenti di Grazie che garantivano il perdono, da parte dei Savoia, ai Valdesi per la ribellione e ripristinavano le libertà civili e religiose.
Le patenti di grazia non risolsero integralmente la questione valdese.
I ribelli cercarono vendetta per le torture e le stragi degli innocenti, ma i risultati furono scarsi.
Nel 1664 il duca di Savoia firmò le nuove patenti che sarebbero rimaste in vigore sino al 1685, anno delle nuove persecuzioni.
Questa è un’altra storia….
Fabio Casalini | viaggiatoricheignorano.blogspot.com
Bibliografia
Storia della tortura. George Riley Scott. Mondadori 1999
Il libro nero dell’inquisizione. Natale Benazzi e Matteo D’Amico. Piemme 1998
The history of the evangelical churches of the valleys of Piedmont. Samuel Morland. 1658
Antistoria degli italiani. Giordano Bruno Guerri. Mondadori 1997
The Israel of the Alps. Alexis Muston. 1866
Annotazioni
Il termine Pasque piemontesi è riferibile al fatto che i massacri avvennero a partire dal 25 aprile 1655. La Pasqua quell’anno cadeva il 14 aprile. I primi resoconti furono redatti da Samuel Morland, in bibliografia, che utilizzò la datazione del calendario giuliano, ancora in vigore, all’epoca dei fatti, presso i paesi protestanti. Nel XIX secolo, per mano di Alexis Muston, in bibliografia, si iniziò a parlare di Pasque Piemontesi in riferimento al periodo nel quale avvennero le torture e le stragi degli innocenti.
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