Le nostre tasse rendono i poveri ancora più poveri

tasse2Che la crisi stia colpendo l’Italia, con particolare durezza, lo sappiamo fin troppo bene. Fra chi ha perso un lavoro, stenta a pagare l’affitto, affrontare le spese quotidiane (in una frase “ad arrivare alla fine del mese”) la situazione è tutt’altro che positiva. Di certo non sono di conforto i dati macroeconomici che ci dicono che, nell’ultimo trimestre, il Pil è cresciuto dello 0,3%: il dato, nella sua freddezza, dice poco o nulla a chi – al momento – si è rassegnato a vedere le proprie condizioni di vita peggiorare in maniera continua.

Più in linea con la situazione che molte famiglie vivono ogni giorno sono purtroppo i dati sulla povertà che si espande a macchia d’olio. Secondo l’Inps, dal 2009 ad oggi, i poveri sono aumentati di ben quattro milioni in sei anni: «Abbiamo un aumento dell’incidenza della povertà di circa un terzo, con la percentuale delle famiglie che si trovano al di sotto della soglia di povertà salita dal 18 al 25%, da 11 a 15 milioni di persone si trovano in questa condizione nel giro di sei anni» ha detto una settimana fa il presidente dell’istituto di previdenza Tito Boeri in un’audizione della commissione Affari istituzionali alla Camera dei Deputati.

Povertà ma anche maggiore disparità fra ricchi e poveri. Secondo un recente rapporto pubblicato dall’Ocse dall’inizio della crisi la perdita di reddito disponibile è stata più elevata per il 10% della popolazione più povera (-4%) rispetto al 10% più ricco (-1%): nello specifico in Italia la fascia più alta guadagna 11 volte quella più bassa, contro una media Ocse di 9,6 volte. Anche l’indice Gini che misura le diseguaglianze è cresciuto parecchio: da 0,313 del 2007 è arrivato a 0,327 del 2013. Al contrario la media dell’euro area, nello stesso periodo, è cresciuta di appena un punto su mille, da 0,314 a 0,315.

Ci hanno sempre insegnato che i Paesi con una struttura fiscale più “socialista”, anche nel senso lato del termine, hanno tassi di diseguaglianza minori rispetto a quelli “liberisti”, anche qui in senso lato. Tralasciando il fatto che la disparità può essere contenuta anche per il solo fatto di ridurre il reddito dei più ricchi senza beneficiare i più poveri (se tolgo ad A senza dare a B alla fine la disparità fra A e B sarà minore, senza che per questo B migliori le proprie condizioni) il teorema, di solito, funziona. Francia e Germania, così come i Paesi scandinavi, hanno una pressione fiscale maggiore e una disparità di reddito minore rispetto a Gran Bretagna e Stati Uniti. In Italia, invece, il principio salta.

Secondo i dati della Banca Mondiale il nostro Paese ha infatti un total tax rate pari al 65,4%: appena poco meno della Francia (66,6%) ma molto più alto di Germania (48,8%), Stati Uniti (43,8%) e Gran Bretagna (33,7%). Eppure la nostra disparità di reddito è fra le più alte: come si vede nel bel grafico del Sole 24 Ore su 23 nazioni europee prese in considerazione il nostro indice Gini si posiziona al sesto posto (dietro a Gran Bretagna, Grecia, Estonia, Portogallo, Spagna), mentre per pressione fiscale siamo ben al secondo posto. Ciò vuol dire che siamo in assoluto il peggior Paese europeo per rapporto fra tasse e disparità di reddito.

I dati ci dicono una cosa molto chiara: lo Stato sociale e la spesa pubblica, in Italia, non funzionano. Almeno non servono ad attuare quella livella sociale che, a detta di alcuni, sarebbe il compito principale di tasse e spesa pubblica: al contrario le imposte in Italia finiscono per incrementare le disparità risultando così, oltre che ingiuste, profondamente immorali. Lo Stato si trasforma così in una grande reificazione dello sceriffo di Nottingham che ruba ai poveri per dare ai ricchi, alimentando una macchina pachidermica sempre più fine a se stessa.

C’è da chiedersi se questa situazione sia ancora tollerabile oppure se, al contrario, non si debba cercare una via d’uscita. Pensare che modo per ridurre, davvero, le diseguaglianze un paio di idee ci sarebbero. La prima è ridurre le imposte sulle famiglie che, a oggi, sono decisamente troppo tartassate. Sarebbe una strada per promuovere la più importante agenzia di sicurezza sociale (oltre che ovviamente luogo degli affetti più sinceri e duraturi) che si possa trovare in Italia e nel mondo.

Poi, se si vuol fare ancora qualcosa, si potrebbero detassare le donazioni liberali verso enti caritatevoli aumentando le deduzioni oggi vergognosamente limitate al 10% del reddito complessivo dichiarato (per un massimo di 70mila euro). Si favorirebbe, così, una solidarietà destinata ai veri poveri e bisognosi e non a chi pensa di vivere serenamente sulle spalle altrui. Solo così si potrà avere un Paese più equo. Sempre che questo sia l’obiettivo di chi ci amministra.

di Matteo Borghi

da: Lanuovabq.it/

Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook